La “scoperta” della necessità di non prendere fischi per fiaschi in fatto di accuse, indagini e processi per reati vari, in particolare quelli contro la Pubblica Amministrazione e di non confondere un “avviso di garanzia” con una sentenza passata in giudicato per stabilire chi può e chi non può, chi deve e chi non deve essere “messo fuori” dalle funzioni pubbliche e dalle relative competizioni elettorali, ha fatto venire a galla la grottesca “dipendenza” della politica, dei suoi valori e delle sue norme (in particolare di quelle non scritte) dallo stato, oramai, di dipendenza, anche culturale dal potere giudiziario e dalla sua devianza, rappresentata dal Partito dei Magistrati.
E’ inutile evocare oggi, nell’era della cultura “telematica” delle “verità” che non sono tali solo perché ci sono scritte su internet, giudizi come quelli di Benedetto Croce sul “partito degli onesti” e sulla onestà dell’uomo politico che è quella che si concreta nel fare buona politica.
Si è preso atto che solo ora, di fronte alla realtà di situazioni di molti loro esponenti, i Cinquestelle hanno cambiato opinione. Ora sostengono che l’ostracismo politico può e deve essere inflitto solo a seguito di una condanna, magari in primo grado.
Questa storia della fissazione dei “gradi” di presunzione di innocenza (o meglio, come ha, per un lapsus, “confessato” un Senatore 5 S, “presunzione di colpevolezza”) è grottesca al pari, se non di più, dell’iniziale “dogma” grillino degli effetti di un semplice avviso di garanzia.
Ci sono delle situazioni, frequenti nella vita politica, nelle quali qualsiasi “fissazione” di norme, di regole, di paletti, è assurda e dannosa e nelle quali una giusta soluzione non è data da pretese comparazioni formali di casi in base e da astratte classificazioni legali.
E’ l’essenza dell’etica, dei valori politici che debbono imporsi nella società e nella cosa pubblica, che si ribellano a troppo angusti giudizi in base ad articoli e formule fissi.
Si può concepire, anzi si deve farlo, che si combatte una battaglia di moralità attorno ed in favore di una persona accusata di gravissimi delitti. Sissignori: una battaglia di moralità politica.
La candidatura (e l’elezione) di Tortora al Parlamento Europeo mentre era addirittura “in vinculis” con accuse infamanti, fu una vera e santa battaglia politica e di moralità politica,
Ci sono situazioni, accuse, processi, specie con gli andazzi delle “lotte” dei nostri magistrati, in cui il groviglio di pesanti imputazioni non convince. Eppure quelle situazioni ritengono ed impongono un giudizio eticopolitico negativo immediato.
Parlo, ad esempio, dell’”affare stadio” di Roma. Sono convinto che la contestazione dell’” associazione a delinquere” sia alquanto zoppicante, per la mancanza di una vera “serie indeterminata” di reati-fine.
E delle contestazioni, come quella di “traffico di influenze” mi lasciano assai perplesso.
Eppure quell’episodio della travagliata vita della Giunta Raggi è di per sé, senza che si debba attendere una sentenza in non so quale grado, un grave brutto immondezzaio, che implica un giudizio politico-morale assai severo.
Se Berlusconi era oggetto di quindici o venti procedimenti penali, essi erano da considerare assai meno rilevanti di uno solo ai fini del giudizio politico sul personaggio.
Che cosa sia una “persecuzione” giudiziaria, un “golpe giudiziario” non è stabilito da nessuna norma e nessun politologo, ammesso che abbia osato rilevare fenomeni del genere, ne ha mai stabilito una formale definizione.
La “moralità politica” scoperta all’improvviso da questa o quella forza politica per le sue battaglie, è la più elastica, ma, al contempo, pare che non abbia altro metro, altre fondamenta, che quelli offerti di qualche pezzo di carta con il timbro di un processo.
Quando imperversava “Mani Pulite”, Ciampi si preoccupò di “epurare il suo governo” dagli eventuali “inquisiti”.
Fu cacciato via il Sottosegretario delle Finanze, in quota Socialdemocratica, che era il Colonnello Pappalardo, del COCER dei Carabinieri, deputato, che risultava imputato, nientemeno, che di un reato militare “diffamazione di superiore ufficiale”, di cui quasi tutti i Parlamentari, Ministri e Sottosegretari ignoravano persino l’esistenza nel nostro giure. Aggiungo che, poi, Pappalardo fu assolto da quell’enigmatico crimine.
Insomma: ci possono essere personaggi sottoposti a processi e, magari, condannati, che per tale situazione meritano solo solidarietà. E ce ne sono di non perseguiti penalmente, magari anche assolti, che sono da considerare screditati e da tenere alla larga.
Il tutto diventa assai più complesso quando la magistratura, come da noi oggi in Italia, si pone come partito ed usa palesemente i suoi poteri secondo disegni di “lotta” a questa o a quella forza politica a questo o a quel personaggio.
Ma il problema vero è l’esistenza o meno di una forza morale, di principi etici diffusi e di una classe politica che sia nutrita di tali convincimenti.
E’ questione di cultura, fondamento del senso dello Stato e metro dei giudizi su situazioni e persone.
Quelli che ostentano un moralismo di recente e strumentale acquisizione sono i meno adatti ad affrontare tale questione.
E i meno credibili.
Per non parlare della retorica e dell’arte di muovere le masse con false crociate di moralismo. E dell’arte di farle acquietare, magari col solito ritornello che, “tanto, sono tutti uguali”.
Mauro Mellini