Bel discorso quello di Mattarella agli uditori giudiziari in tirocinio.
“Equilibrio…ragionevolezza…riserbo”.
E, poi “mettete da parte il rischio dell’arbitrio”, “interpetrazioni creative della legge, la sovraesposizione o i provvedimenti singolari”.
E l’incitamento ad “una sana arte del dubbio”.
Ed ancora: l’invito a “rifuggire da quel sottile condizionamento che deriva dall’importanza del proprio ruolo”.
Ottime cose, che i giovani magistrati farebbero bene a meditare e mai dimenticare.
Ma perché questi giovani prendano proprio sul serio quanto detto dal Presidente, occorrerebbe che le parole di questi non fossero state dirette a loro, agli “uditori senza funzioni”, ma che essi avessero potuto leggerle nel testo di un discorso fatto dal Capo dello Stato ai Magistrati in funzione. A quelli più noti, più arroganti, di Palermo o di Milano, di Roma, di Bologna.
A quelli cui il discorso andava fatto, a quelli cui quelle parole andrebbero ripetute ogni giorno. Sentire che il Presidente lo fa, invece, a loro e non a chi va fatto con la maggior durezza è come dire: ricordatevi che, una volta che entrerete in funzione di tutto ciò potrete riderne quanto volete. Sono cose che si dicono. State tranquilli. E prendete esempio…
Mauro Mellini