È l’argomento del momento: pubblicare o non pubblicare le immagini dei terroristi islamici?
L’appello lanciato al senso di responsabilità di chiunque faccia informazione, non può essere lasciato cadere nel vuoto. Fin dai primi attentati terroristici avvenuti in Europa, ci siamo interrogati in merito all’opportunità di pubblicare immagini e notizie che riguardavano i terroristi del sedicente Stato Islamico. Da una parte le ragioni del non divenire portavoce di chi voleva spargere il terrore nel nostro paese, dall’altra quelle di un’informazione che aveva dei precisi doveri nei confronti dei propri lettori.
La scelta è stata quella di informare in maniera responsabile, evitando accuratamente immagini o notizie che potessero contribuire a glorificare gli autori di tanta barbarie, stando ben attenti a non trasmettere i loro messaggi propagandistici per non aiutarli nell’opera di proselitismo trasformandoci nella cassa di risonanza del network jihadista.
Nel corso di questi anni, e non soltanto da quando è stato proclamato il cosiddetto Califfato di al-Baghdadi, avevamo compreso le potenzialità di un’informazione senza confini, capace di mettere in contatto mondi e persone tanto distanti fra loro, quanto diverse. Il mondo di internet.
Quel mondo che ha soppiantato i più tradizionali mezzi di comunicazione di massa. Lo avevamo capito noi, lo avevano ancor meglio compreso terroristi e rivoluzionari di tutto il pianeta. Avevamo anche provato in più circostanze a spiegare le potenzialità della rete e la sua pericolosità.
Nel corso di questi anni abbiamo visto, esaminato e cercato di capire migliaia di informazioni, documenti, immagini, video. Immagini di guerra, esecuzioni, giuramenti, bombardamenti, attentati, che giorno dopo giorno alimentavano in noi un orrore mai provato prima.
Abbiamo provato sgomento e rabbia quando un noto giornale inglese pubblicò una lista di nomi di cittadini americani indicati dello Stato Islamico come obiettivi da colpire, trasformandosi così in utile strumento dei terroristi.
La giornalista Luisa Pace, in quella circostanza, scrisse alla redazione del giornale rassegnando in maniera rispettosa le proprie rimostranze a chi pur di fare uno pseudo-scoop metteva a rischio la vita di ignari cittadini. Non ottenne alcuna risposta!
Poco tempo dopo, erano alcuni organi stampa italiani a seguire la scia del giornale inglese, pubblicando una kill-list che comprendeva i nomi, gli indirizzi e ogni indicazione utile a individuare dieci nostri connazionali.
Una lista di nomi di persone da uccidere, che la stampa pubblicava senza interrogarsi sulle possibili conseguenze della scelta scellerata che avevano fatto. Quella lista l’avevamo reperita da giorni, ne avevamo dato genericamente notizia, ci eravamo assicurati che le autorità ne fossero a conoscenza.
Il nostro senso di responsabilità, quello a cui tutti oggi fanno appello, ci aveva impedito di trasformarci nel megafono di al-Baghdadi.
Alla stessa maniera in cui avevamo biasimato chi trasformava le persone in potenziali bersagli, avevamo apprezzato la serietà di bravi giornalisti come Toni Capuozzo che pur potendo fare lo scoop fornendo generalità e indirizzi di persone che lo Stato Islamico indicava affinchè venissero uccise, ne dava invece genericamente notizia senza mettere a rischio la loro vita. Questo è per noi il “senso di responsabilità”!
L’uso della testa e non della pancia, o ancor peggio quello di chi anziché usare la pancia svende consapevolmente la vita di tanta gente per un attimo di notorietà o per quei pochi euro con i quali viene pagato un articolo.
Dalla bestialità di questi ultimi, si arriva allo stupidario di questi giorni. Dopo che la stampa francese, con in testa il direttore di Le Monde, BFMTV, radio Europe 1 e la tv France 24 hanno annunciato di non voler più diffondere nomi e immagini che facciano identificare i terroristi; dopo che lo “stupidario” dei media trova sponda in una classe politica francese inadeguata che vorrebbe avanzare una proposta di legge che renda anonimi i terroristi; anche buona parte della stampa italiana sembra si voglia adeguare e seguire come un gregge di pecore i fautori dello “stupidario mediatico”.
La scelta di rendere anonimi i terroristi non rendendone noti nomi e volti per evitare episodi di emulazione e la propaganda jhadista, ha in sé il germe della stupidità di quanti hanno pensato che fosse sufficiente cancellare i profili jihadisti dai social network per impedire ai terroristi di poter comunicare. L’unico risultato è stato quello di intralciare le attività investigative impedendo di seguire i profili più pericolosi e ricostruire la rete dei loro contatti.
L’ISIS continua infatti a lanciare i propri proclami, a far propaganda e proselitismo attraverso una miriade di canali e di profili che vengono nuovamente creati dopo la prima cancellazione. I profili, inseriti in gruppi e liste, poche ore dopo la loro cancellazione recuperano infatti presto tutti i contatti, mentre per gli inquirenti serviranno giorni di lavoro per rintracciarli nuovamente.
A chi serve non pubblicare i volti dei terroristi o non renderne noti i nomi? A seminare il terrore sono le loro gesta, che tutti continueranno a pubblicare, non i loro volti o i loro nomi che, viceversa, potrebbero esser d’aiuto nelle attività investigative.
Il conoscere il volto del nostro nemico può infatti permettere ai cittadini di ricordare di averlo già visto in precedenza. Ricordare dove lo si era visto, magari con chi, e ogni altro particolare che portato a conoscenza delle autorità può essere utile al fine di scoprire eventuali covi e complici.
Non è forse proprio questa la funzione di taluni programmi televisivi che mirano al ritrovamento di persone scomparse? Non è forse questa la funzione di foto e identikit che più volte ci sono stati mostrati per avere notizie utili alla cattura di criminali?
E quante volte grazie a questo si è riusciti a trarre in arresto individui pericolosi? In passato abbiamo avuto prova noi stessi del fatto che pubblicare nomi e volti di terroristi avrebbe potuto aver un ruolo positivo nell’esito di un’indagine.
Fu in occasione del passaggio di Siddhartha Dhar (Abu Rumaysah) da Parigi. Il noto terrorista inglese, venne infatti notato da un testimone che avendolo incontrato in strada, lo aveva riconosciuto grazie ad una fotografia pubblicata quello stesso giorno sul nostro giornale.
Nonostante il testimone si fosse precipitato immediatamente presso la più vicina stazione di polizia dove segnalava l’accaduto riferendone con precisione ogni dettaglio, la cattura di Siddhartha Dhar non fu resa possibile solo grazie alla stupidità di un funzionario di polizia che ritenne prioritario l’orario della fine del proprio servizio.
Il nostro testimone veniva contattato dall’antiterrorismo francese soltanto il giorno dopo. E Siddhartha Dhar proseguiva indisturbato il suo viaggio verso la Siria…
Per ironia della sorte, il testimone di quell’episodio, che aveva riconosciuto il terrorista da una fotografia pubblicata su questo giornale, era un ex giornalista di Le Monde Diplomatique. Una testata del gruppo Le Monde, quello stesso del quale il direttore oggi si fa capofila per rendere anonimi i terroristi…
Dovremmo dunque “responsabilmente” pubblicare quanto è utile a generar terrore o favorire nuovi attentati, stando ben attenti a non rendere note le notizie che potrebbero aiutare ad individuare altri terroristi?
Noi la nostra scelta l’abbiamo fatta da tempo: non saremo mai i portavoce del terrorismo, pur dando ogni notizia e informazione utile ai lettori.
Ecco perché continueremo a pubblicare le foto e i nomi dei terroristi, dissociandoci dalle linee che lo “stupidario mediatico” vorrebbe imporre.
Cari amici “giornalisti responsabili”, pensate davvero che i nomi e i volti dei terroristi siano il loro mezzo di propaganda? Pensate davvero che, pur continuando a pubblicare le loro gesta, renderli anonimi servirà a neutralizzarli?
Se qualcuno volesse confrontarsi pubblicamente sul tema, siamo pronti a farlo dati alla mano ma non chiedeteci di non rendere noti nomi e volti dei terroristi, mentre continuate imperterriti a diffondere le notizie che alimentano il terrore e che rischiano di trasformare le persone in bersagli.
Noi continueremo a pubblicare i nomi e i volti di questi criminali, nella speranza che possano servire alle indagini, voi continuate pure a pubblicare le kill-list…
Gian J. Morici