Quella di Giovanni Paparcuri – l’autista sopravvissuto alla strage del Giudice Chinnici, collaborando poi con i Giudici Falcone e Borsellino per l’informatizzazione del maxiprocesso – non è una ricerca di riconoscimenti, di elogi, di gratificazioni. Giovanni non ne ha bisogno. Non vive di prebende celate dietro spilline, bandierine e gloria.
Mi sono permesso di prendere questo post dalla bacheca Facebook di Paparcuri, perchè conoscendolo so che uomo è e di che pasta è fatto.
Questa è una denuncia senza se e senza ma, nei confronti di un’antimafia fin troppo discutibile che utilizza le vittime di mafia come souvenir da mostrare, annullando quanto di buono la società civile ha fatto nel corso di decenni.
Gjm

“E’ doveroso fare una precisazione – scrive Paparcuri sulla sua bacheca – se oggi, giornata della memoria, il mio nome come vittima di mafia, non viene citato come gli altri anni, non mi importa proprio nulla. E’ solo una questione di principio, nè viene meno il mio senso del dovere, ho fatto e farò sempre quello che ritengo giusto, prova ne sia che oggi sono stato a Bagheria a rendere testimonianza e solidarietà, nè ho mai parlato di categorie di vittime, per orgoglio e carattere non mi sono mai sentito una vittima di categoria inferiore.
Siete voi che fate nascere queste differenze, l’antimafia non si fa così. Sorgono in continuazione e dovunque soggetti che si fregiano del titolo di associazioni antimafia, soggetti che, se vai a vedere sul piano pratico, non sopperiscono per nulla alle inadempienze delle istituzioni, e che altro non fanno che arrecare un danno all’intero panorama dell’antimafia sociale.
Io rispondo soltanto alla mia coscienza e ripeto per l’ennesima volta non debbo dimostrare niente a nessuno. Penso anche che a quanti che si permettono di parlare di mafia, che probabilmente un mafioso vero in vita loro non l’hanno mai visto in faccia, non si debba proprio rispondere, ma a certi individui che la mafia e i mafiosi li hanno “conosciuti” solo dai libri o ascoltando qualche comica in cerca del suo triste momento di gloria, voglio dire che prima ancora che venissero emanate i benefici a favore delle vittime (legge 302 del 1990, oppure la 312 del 1999) il sottoscritto a proprie spese si è costituito parte civile contro Cosa Nostra già nel 1984 (periodo in cui chiunque se la sarebbe fatta addosso), e quando nel 1985 il mio stipendio era di soli 660 mila lire, ho pagato di tasca mia 750 mila lire per la registrazione della sentenza, né ho avuto nessuna associazione dietro le spalle che mi tutelasse o che mi esprimesse solidarietà. Oppure dove eravate voi quando il dr. Falcone o il dr. Borsellino sono stati lasciati soli? Io e pochi amici siamo rimasti al loro fianco e dopo la loro morte non abbiamo sentito la necessità di sventolare lenzuola o altri vessilli perché avevamo la coscienza pulita.
Né mi sono arreso dopo la strage, continuando a dare tutto me stesso con serietà e sacrifici non indifferenti.
E per continuare il mio impegno non ho bisogno né di sponsor, né di associazioni, né di tessere, né sponsorizzo alcuno, e lo faccio soltanto per i ragazzi e per questo bambino che vedete in foto, tutto il resto è relativo.
Oggi, su 900 nominativi, leggere 16 nomi, avrebbe fatto perdere soltanto 5 minuti di tempo, e noi che siamo, al pari degli altri, anche vittime, potevamo dire: finalmente qualcuno si ricorda di noi, non è giusto ricordarsi di noi soltanto quando facciamo venire la pelle d’oca a chi ci ascolta nel raccontare la nostra esperienza, non siamo dei “souvenir” a convenienza, mi spiace dirlo, ma la realtà è questa.
E nonostante tutto il sorriso non lo perdo, rimango soltanto deluso da chi aveva preso degli impegni (non mantenuti) che io non ho chiesto, né preteso”.