Commentando a caldo la “reazione” all’interrogazione di Capezzone sul caso del “pentito”, assassino “protetto”, incaricato al pubblico servizio delle indagini sul crimine da lui commesso, raccomandato da illustri magistrati, etc. etc. reazione rappresentata ahimè, solo dallo squallido e vergognoso commento di un certo Davide Mattiello, deputato “antimafia” collaboratore, guarda caso, di Don Ciotti, in forza al gruppo c.d. Democratico della Camera, renziano ma fiducioso in Civati, mi è venuto spontaneo definire cotanto personaggio “emblematico” del contorno politico-culturale di una giustizia ingiusta e strumentale, di una paurosa voragine di moralità di fronte ai più rivoltanti episodi, di una mancanza del senso della giustizia giusta (che altra non ve n’è). E, di conseguenza, di un parlamentare come non dovrebbero essercene ed, invece, purtroppo, ce ne sono tanti.
Dico subito che non è mancato, nelle mie riflessioni (che sono solito fare, talvolta anche a lungo, su ciò che ho pubblicato) un momento di resipiscenza e di timore di aver esagerato, non nei giudizi su questo allarmante personaggio, sulla logica, la moralità, il buon gusto, la responsabilità sociale e politica della sua “protesta” (che tale era la sua dichiarazione) per l’”impertinenza” di Capezzone (e, quindi, di tutti noi che ci stiamo battendo di fronte a tante vergogne di questo caso). Mi sono domandato se fosse lecito ricorrere alla definizione di questo Mattiello come un personaggio emblematico.
Essere garantisti, infatti, impone una naturale diffidenza verso certe definizioni, che, se non importano in modo assoluto l’esistenza di un pregiudizio, certo non favoriscono quella necessaria, inestinguibile capacità di critica delle nostre stesse opinioni e dei nostri giudizi.
Dico questo perché sia ben chiaro che, magari, non sembri che del “caso Mattiello” voglia fare di una paglia una trave, “estendendo” a cuor leggero lo sdegno nella vicenda di quello squallido assassino, Varacalli, nei confronti di quanti la possano pensare diversamente da me e da noi. Ma devo dire che questo mio scrupolo, questa mia disponibilità a moderare i miei stessi impulsi mi hanno ancor più convinto che nossignori: c’è un caso Mattiello che, se non è ripugnante come quello Varacalli è, da un punto di vista sociale e politico, ancor più grave e pericoloso di quello.
Con tutto il rispetto della libertà di pensiero e di opinione, che ritengo di potermi vantare di possedere in misura un po’ più rilevante di un Don Ciotti e dei suoi allievi, io credo che quella disgraziata dichiarazione del Mattiello sia la sintesi teorico-pratica della malagiustizia che imperversa nel nostro Paese.
Che ha detto l’”operatore sociale” prestato alla politica ed al Parlamento” (non a caso senza voti di preferenza, ma grazie alla “blindatura” delle liste “chiuse”)?
Ha detto che di fronte ai delitti di un criminale falso pentito, profittatore della protezione dello Stato e di quella, ancor più sfacciata di certi suoi osannati servitori-padroni, assassino crudele e disinvolto, calunniatore e falsario, e di fronte all’impudenza di magistrati preoccupati solo di “limitare il danno” (del resto da loro stessi, almeno in parte, provocato), invece di levare un grido di orrore e di sdegno, o, magari, di incredulità per così vergognosi avvenimenti, un uomo, un Deputato, sente il bisogno di dire che “non si devono delegittimare i pentiti”. Hanno commesso nuovi delitti? Non delegittimateli! Hanno ucciso, calunniato, fatto arrestare, fatto soffrire lunghe detenzioni a degli innocenti? Va bene ma state zitti, se no li delegittimate!
Delegittimare: togliere la legittimità
Cioè la legittimità del loro essere i veri giudici di altri uomini, arbitri della loro libertà e della loro vita. Una “legittimazione” fondata sul colpevole silenzio sui loro delitti. Un silenzio complice della cattiva coscienza di chi delega alla parola di questi orribili mercanti di vergogna, di questi assassini con la lingua dopo essere stati assassini con le armi e con la violenza fisica (e prima di tornare ad esserlo in tal modo) la facoltà di condannare colpevoli ed innocenti.
Condannare innocenti, perché rilevare l’innocenza di un accusato da un pentito è, per la logica e l’etica del molto onorevole Mattiello, una “delegittimazione”, un regalo alle mafie.
Se questa non è l’etica della giustizia ingiusta, l’etica della violenza vergognosa consumata in nome dello Stato, l’etica di una funzione vergognosa quanto quella dei pentiti che dovrebbe tranquillamente essere professata (come da alcuni è professata), anche dai magistrati che con tale mezzo “combattono la mafia”, io non so cos’altro si pretenda per arrivare a dire “Basta!!!”.
Francamente vorrei proprio che questo “operatore sociale” prestato al Parlamento riflettesse anche lui a tutto ciò, senza continuare a ripetere le litanie dell’antimafia alla Don Ciotti, alla Di Matteo, alla Caselli, etc. etc. Ho fede nella ragione e credo che tutti gli uomini abbiano il dovere di usarla. Sì, Mattiello è oggi l’emblema di un obbrobrio culturale, politica, mentale. Vorrei che domani lo divenisse anche di un grande ritorno alla ragione, alla giustizia. Se è pretendere troppo, non mi pentirò di averlo sperato. Solo continuerò a dovermi valere di quella figura, di quel nome: Mattiello: giustizialista lottatore antimafia per antonomasia. Perché altri capiscano e, magari ritrovino la ragione.
Mauro Mellini