Non è stato reso abbastanza noto al grande pubblico il gesto, veramente inusuale nel nostro Paese (e non solo), del presidente della Confapi (Confederazione piccole imprese) che ha suggerito di sospendere le erogazioni di contributi alle imprese da lui rappresentate per stornare i relativi fondi per riorganizzare i Servizi di Sicurezza stoltamente smantellati per le ben note beghe tra i nostri potentati. Un gesto, oltretutto, assai intelligente, perché le piccole imprese dovranno subire enormi danni del protrarsi dello stato di soggezione al pericolo del terrorismo.
Ma anche caso unico, purtroppo, in un Paese in cui il denaro che si spende più facilmente, e con applausi di non disinteressati lobbisti e tifosi, è quello che si spreca per le baggianate più assurde e per i baggiani più pericolosi.
Leggevo ieri un brillante scritto di Massimo Bordin sulla deposizione di Nino Di Matteo al processo Borsellino quater. Che, come Bordin si affretta a spiegare, non è un “quarto grado di giudizio”, ma è un altro processo, il quarto, per l’assassinio del Magistrato, che si è dovuto celebrare perché il processo originario è risultato, tanto per chiarirci subito le idee, un “bidone”, una “bufala”, con condanne di innocenti in base alle dichiarazioni del pentito Scarantino (perché si dice “il falso pentito” ora, come se tutti gli altri fossero la bocca della verità?).
Sulla parola del “falso” presunto pentito Scarantino, definito nella requisitoria del P.M. al primo processo, più o meno la bocca della verità, benché avesse ritrattato due volte, la Corte d’Assise aveva dato retta al P.M. ed a Scarantino (ma non alle sue precedenti ritrattazioni) dispensando varii ergastoli. Chi era il P.M. autore di cotanto servizio alla causa della giustizia? Era Nino Di Matteo. Il quale, l’altro giorno, è andato a testimoniare al processo che, anche per suo merito si celebra per la quarta volta. “Sembrava del tutto veritiero” (Scarantino) “ma poi intuii che era mendace”. Ma guarda quale fine intuito! Già. Ma il “testis qualificatus” Di Matteo non ha voluto sottolineare che questa “intuizione”, così acuta dell’inattendibilità dell’intermittente “collaboratore di giustizia” l’ha avuta dopo aver pronunziato la sua brillantissima ed efficacissima requisitoria ed ottenuto la splendida vittoria della condanna dei calunniati innocenti.
Cose che capitano, certamente. Ma secondo Di Matteo chi “tenta di cedere” alle minacce della mafia deve andare in galera. Chi invece cede mentalmente agli imbrogli ed alle calunnie dei mafiosi, merita un monumento e si gloria di essere il P.M. più temuto dalla mafia.
Poi è venuto il processo per la c.d. “trattativa”. Non la trattativa Stato-Scarantino. Almeno questo no. Ma a rifletterci bene si direbbe che “ad ognuno la sua trattativa”.
E poi il solito metodo, oggi in voga tra politici (ne è maestro Renzi) ed anche tra i magistrati: “chiodo scaccia chiodo”, recitava l’antico proverbio. “Una baggianata copre l’altra e la fa dimenticare” ne è la versione aggiornata.
E, per fare dimenticare, anzi prevenire il “redde rationem” e la necessità di far dimenticare anche la seconda baggianata, magari un attentato, minacciato con “pizzini” anche in caratteri fenici. E sceneggiate di confraternite di tifosi, con contatti con gli extraterrestri, che minacciano quanti non prendono sul serio la baggianata, i pizzini, il bidone, le tesi giuridiche del reato di “tentativo di subire le minacce della mafia”.
Ingroia, personaggio chiave di questo giuoco, ha concluso il suo intervento alla manifestazione a Roma dei fanatici dell’Antimafia Demenziale, intimando a Mattarella, che poi, piaccia o non piaccia, è il Presidente della Repubblica, di andare a rendere omaggio a Di Matteo. Rendere omaggio alla topica del processo taroccato per l’assassinio di Borsellino, alla cui taroccatura ha contribuito in modo rilevantissimo la “tardività” dell’”intuizione” delle falsità di quel malandrino “pentito”.
Ma un interrogativo è naturale, anche se sembra che magistrati, ministri, giornalisti si vogliano guardar bene dal porselo: “Chi paga?” E già, perché la tardività di quella “intuizione” è costata, costa e costerà allo Stato milioni di euro.
Altrettanto ne è costato, ne costa e costerà il cosiddetto “processo per la trattativa”. Poi ci saranno stati i “premi” in denaro al bugiardone.
A Di Matteo, oltre alla scorta che manco il Presidente della Repubblica ne ha una così numerosa, è stata assegnata una speciale auto blindata antibomba con un marchingegno che impedisce tutt’intorno siano fatte esplodere eventuali bombe via radio. Peccato che poi, a quel che sembra, se questa macchina passa vicino ad un ospedale blocca i dispositivi elettronici di rianimazione etc..
La vita di Di Matteo deve essere difesa ed eventuali sintomi di veri attentati vanno tempestivamente contrastati e sventati.
Ma oggi, a forza di strilli dei suoi tifosi, di baggianate, di minacce e di querimonie, è il personaggio più difeso d’Italia. Non vorrei che i fondi cui il buon cittadino Casasco è pronto a rinunziare per le piccole imprese, finissero, invece che per la lotta al terrorismo che minaccia la Nazione, per aumentare il “prestigio” del P.M. del processo Borsellino, anzi del “padre dei quattro processi” e della c.d. trattativa, con qualche ulteriore misura protettiva (un po’ esagerata) di ultimissimo modello.
Dobbiamo fare i conti anche con i “pizzini” della mafia scritti in caratteri fenici quando si affrontano cose serie. Anzi tragiche. Di fronte alle quali anche le cose più ridicole non fanno ridere.
Mauro Mellini