
Si tratta del pentito agrigentino Daniele Sciabica, che si era autoaccusato di quattro omicidi e un fallito agguato con tre feriti, ma non può essere processato.
La decisione di “non luogo a procedere per mancanza delle condizioni di procedibilità” è stata assunta dal gup di Palermo, Guglielmo Ferdinando Nicastro che ha accolto l’eccezione formulata all’udienza precedente dall’avvocato Monica Genovese – difensore del pentito – motivata dal fatto che “l’estradizione dalla Germania fu concessa per altri motivi che nulla hanno a che vedere con questi fatti”.
Una storia complessa quella di Daniele Sciabica, primo pentito “stiddaro”, che venne arrestato il 4 agosto del 1993 ad Amburgo
Il 13 luglio 1994 il tribunale di Amburgo condannò all’ergastolo lo Sciabica e un altro imputato, accusati di aver commesso un omicidio in Germania.
Successivamente, Sciabica chiese di essere trasferito in Italia per scontare il resto della pena ai sensi della Convenzione sul trasferimento dei condannati.
Gli omicidi dei quali il pentito si è autoaccusato avvennero nell’ambito della guerra di mafia tra Cosa Nostra e Stidda che negli anni ‘80 e ‘90 insanguinò, in particolare, la provincia agrigentina e quella nissena.
Sciabica all’epoca dei fatti avrebbe fatto parte del clan stiddaro dei Grassonelli, e si era autoaccusato per aver preso parte agli omicidi di Antonio Messina , Giuseppe Messina e Gerlando Messina, rispettivamente nonno, padre e zio del boss Gerlandino Messina, nonché per quello di Pietro Gambino, per il quale aveva chiamato in concorso l’onorevole Riccardo Gallo Afflitto, le indagini a cui carico vennero successivamente archiviate.
A seguito della decisione del Gup, Sciabica – anche se reo confesso – potrebbe non pagare mai il conto con la giustizia italiana.
Già in passato lo Sciabica, dopo aver chiesto di essere trasferito dalla Germania in Italia per scontare il resto della pena ai sensi della Convenzione sul trasferimento dei condannati, aveva fatto ricorso tramite il proprio legale alla Corte europea dei diritti dell’uomo, nel tentativo di sottrarsi a quanto previsto dal nostro ordinamento giuridico per i reati per i quali era stato condannato in Germania, lamentando che il periodo di detenzione in Germania sarebbe stato non superiore ai quindici anni, mentre in Italia la detenzione minima prevista è di 26 anni.
Andrebbe però ricordato come la sentenza della Corte europea dei diritti dell’uomo (Seconda Sezione), seduta del 21 ottobre 2014, nel rigettare la richiesta del condannato, mette in evidenza come lo Sciabica nel chiedere di essere trasferito in Italia per scontare il resto della pena ai sensi della Convenzione sul trasferimento dei condannati, avesse accettato le conseguenze legali che deriverebbero dall’eventuale trasferimento e – in particolare – quelle che autorità giudiziarie italiane potessero avviare un procedimento penale contro di lui, giudicarlo e privarlo della libertà personale per un altro reato diverso da quello per cui era stato condannato.
Una storia dunque complessa quella del pentito Daniele Sciabica, il quale prima si autoaccusa di delitti che non gli erano stati imputati, salvo poi tramite il proprio legale, tentare di sottrarsene alle conseguenze, adducendo come motivazione il fatto che “l’estradizione dalla Germania fu concessa per altri motivi che nulla hanno a che vedere con questi fatti”, nonostante come riportato nella sentenza succitata, avesse accettato di poter essere giudicato per reati diversi da quelli per i quali era stato condannato in Germania…
Gian J. Morici