Sono molti i segnali che possono aiutare a capire quanto l’Italia sia un paese alla deriva, per colpa – e non solo – dei suoi governanti.
Tra tutti, quello che ritengo più forte e significativo è l’incapacità da circa venti anni di darsi una legge elettorale stabile e condivisa.
A questa ormai storica idiosincrasia tutti i Governi che si sono succeduti hanno dato un contributo, ma il Governo Renzi ha raggiunto forse la vetta del cinismo e dell’indecenza.
Presentata come “LA” riforma, e machiavellicamente assoggettata al ricucimento del rapporto con Berlusconi, la riforma della legge elettorale doveva essere il fiore all’occhiello del decisionismo renziano.
Il simbolo della capacità di abbattere i muri e le staccionate, e di creare un insieme di regole condivise.
Perché la legge elettorale non è nient’altro che questo: l’insieme delle regole che un Paese democratico si dà per scegliere chi lo debba governare.
Non può, non deve, non dovrebbe essere uno strumento per gli interessi di pochi.
Come se nel campionato di calcio le regole sul rigore e il fuorigioco le stabilisse sempre la squadra che gioca in casa, in base alle capacità dei suoi giocatori.
Le regole, invece, dovrebbero essere stabilite in base a cosa conviene al Paese.
Già. Le regole.
Ma in un Paese refrattario a qualsiasi minimo rispetto della convivenza comune, come si poteva pensare che qualcuno potesse decidere di stabilire delle regole?
Eppure il Renzi ha cercato di farcelo credere.
E cosa rimane di tutto questo a quasi un anno di distanza?
Poche cose, nessuna nobile.
Una riacquisita baldanza del berlusca.
Una percentuale di votanti alle regionali più da stato del midwest americano che da Pianura Padana.
E soprattutto, una sequenza di ridicoli nomignoli studiati ad arte per la stampa politico-gossippara: italicum, mattarellum, e così via fino all’italicum 2.0, perfetta crasi tra un soprannome da codice di Hammurabi e una nuova release di un governo giovanilista.
Però Dudù sta bene e non è gay, e di questo, almeno, possiamo essere soddisfatti.
R.C.