PORTO EMPEDOCLE (AG) – La Procura distrettuale antimafia ha aperto un’inchiesta in merito ai fatti accaduti domenica 7 settembre durante la processione di San Calogero quando a Porto Empedocle la vara del santo viene portata fino alla palazzina dei Messina, boss di questa provincia che ha conosciuto la guerra di mafia tra “Stidda” e “Cosa Nostra”, i morti ammazzati nel corso di regolamenti di conti, le vittime innocenti, cadute per essersi trovate nel posto sbagliato al momento sbagliato.
A dare notizia dell’inchiesta e ricostruire cosa accadde il 7 settembre, lo rivela oggi il quotidiano Repubblica con l’articolo a firma di Salvo Palazzolo dal titolo “Il commissario che ferma l’inchino ai superboss nel paese di Montalbano”.
Come riportato dal quotidiano, “San Calogero eremita è scortato dalle donne dei padrini al 41 bis, i terribili fratelli Messina. Antonina, la moglie di Gerlandino, il capomafia che sparò al maresciallo Guazzelli, applaude. Concetta, la moglie di Salvatore, pure lui all’ergastolo, lancia occhiate ai portatori della vara. Daniela, la moglie di Fabrizio, indica la strada. Le donne dei padrini vogliono essere sicure che il santo arriverà fino al loro regno, in via da Verrazzano, nell’ultima casa di questa periferia. E ci arriva. Ora, la vara viene poggiata e San Calogero guarda la palazzina a tre piani che è diventata il simbolo della mafia più sanguinaria della provincia di Agrigento. Da un balcone, appare la mamma di Gerlandino, la signora Giuseppa, che in mano tiene un cesto pieno di muffoletti e di bottiglie d’acqua, per rifocillare i portatori del santo. Che ringraziano. E poi ritornano in processione tra la folla esultante”.
Ma questa volta, a differenza di come troppo spesso accade nel corso di tante processioni religiose con tanto di “inchino” di Santi e Madonne ai boss locali, gli uomini della polizia scientifica, sotto le direttive del commissario Cesare Castelli, travestiti da turisti filmano la scena dell’atto di devozione nei confronti dei familiari dei boss.
Ma non soltanto l’ “inchino” viene descritto nell’articolo che pubblica anche il video delle esternazioni della madre di Gerlandino Messina, adirata con Papa Francesco per l’anatema contro i mafiosi.
“I mafiosi non devono ’prendere la grazia di Dio’ – dice la donna riferendosi alla volontà del Papa – ma quando muoio io, ho detto ai miei figli, da casa mi portate direttamente al cimitero, perché i preti fanno uno più schifo dell’altro…” –continua la madre del boss lanciando accuse nei confronti degli uomini di Chiesa, coinvolti in scandali.
Accuse riferite anche ad un sacerdote locale: “A Porto Empedocle c’era pure un prete che aveva l’amante e faceva messa…”.
Solo Dio può giudicare, ne il Papa ne altri, conclude la madre dei Messina, sostenendo che è per questo che le sue figlie non vanno più a messa…
Intanto, l’Arcivescovo di Agrigento, mons. Francesco Montenegro, opportunamente informato, resta in attesa di comunicazioni da parte delle competenti autorità al fine di valutare attentamente la situazione e prendere decisioni pastorali in merito.