L’America non è certamente il paradiso delle libertà e della democrazia. Non lo è sicuramente, a maggior ragione in materia di politica estera, dove dietro un’apparente facciata di promozione della libertà utilizzata per giustificare ingerenze politiche, si nasconde, si fa per dire, la politica di una potenza che difende i propri interessi. Gli Stati Uniti hanno commesso grandi errori ed orrori, ne commettono tutt’ora, continueranno a commetterne.
È ovvio pertanto che gli USA siano soggetti a critiche, anche dure, viste le smanie espansionistiche che dal dopoguerra in poi hanno contraddistinto la politica americana. Uno Stato che utilizza lo strumento della Giustizia Planetaria per difendere esclusivamente i propri interessi economici e politici, non può assolutamente trasformarsi in una sorta di polizia del mondo.
Detto ciò, mentre trova giustificazione l’antiamericanismo che caratterizzò la sinistra del dopoguerra, che portò l’allora Partito Comunista Italiano ad aderire quantomeno ideologicamente alle posizioni sovietiche, unitamente a quello di una destra post-fascista che continuò a nutrire una forte avversione dopo la bruciante sconfitta dettata dalla scesa in campo degli USA nel corso della seconda guerra mondiale, non trovano spiegazione alcuna le grandi contraddizioni che emergono dal quotidiano confronto sui temi della politica in quell’arena nella quale si sono trasformati i social network.
I social network, da possibile strumento di democrazia, sono diventati lo sfogatoio di repressi di ogni sorta che, aprioristicamente ed acriticamente, esprimono le proprie opinioni, spesso fondate sulla conoscenza del nulla in merito all’argomento trattato, dando la stura a quanti non aspettavano altro che di potere esprimere opinioni – salvo rare eccezioni – altrettanto poco qualificate e spesso inqualificabili.
Collante dei divertenti – se non fossero terribilmente legati a situazioni reali – compendi di autentiche castronerie e di ignoranza assoluta, l’antiamericanismo in risposta all’imperialismo americano. Scopriamo così che il popolo italiano è favorevole all’autodeterminazione dei popoli. Lo abbiamo scoperto in occasione della secessione della Crimea dall’Ucraina. A difendere questo principio, fondamentalmente giusto, spesso sono coloro i quali in Italia hanno condannato i propositi secessionisti della Lega Nord o quelli datati degli indipendentisti siciliani. Evidentemente, dietro ogni cosa esiste un mistero della fede per noi inscrutabile. Anche nel caso della Crimea il principio potrebbe essere giusto, se il rovescio della medaglia non fosse l’annessione alla Russia di Putin con tutte le conseguenze che avrebbe nei delicati equilibri mondiali e, soprattutto, nei confronti di una maggioranza ucraina che rischia un’invasione militare da parte del Cremlino che avrà la necessità di collegare la penisola acquisita, illecitamente ed illegittimamente, al proprio territorio.
In questo caso a nulla vale l’autodeterminazione dei popoli visto che quello ucraino dovrebbe subire tacitamente ingerenze e forse anche azioni militari. Che sia Putin la risposta giusta da contrapporre all’imperialismo americano? Una Russia democratica contrapposta ad uno Stato canaglia e dittatoriale?
Primo strumento di una democrazia evoluta è la libertà di stampa. Con l’ascesa di Putin al potere i giornalisti morti o scomparsi in Russia, come indicato da alcune fonti russe, sarebbero più di duecento. Ufficialmente senza un colpevole. Dozzine quelli documentati da associazioni ed organizzazioni internazionali che a seguito dell’omicidio della giornalista Anna Politkovskaja, uccisa a Mosca nel 2006, cominciarono ad interessarsi al fenomeno. La stragrande maggioranza dei giornalisti colpiti da questa strana “epidemia”, monitorata da associazioni e fondazioni russe come la Glasnost Defense Foundation e il Center for Journalism in Extreme Situations, facevano parte di quella schiera di giornalisti che ritenevano la libertà di stampa un diritto fondamentale per qualsiasi Paese civile e democratico.
Improvvisamente ed inspiegabilmente, per molti europei, in particolare per gli italiani, il leader russo con il suo governo sono diventati sinonimo di libertà e democrazia da contrapporre alla canaglia statunitense. Mosca andrà a costituire l’asse Mosca-Pechino-Tehereran? Sembra che anche questo non preoccupi chi vive quel sentimento antiamericano, giustificatissimo per carità, che ci porta a guardare ad altre nazioni nella speranza di contrapporre una democrazia allo “Stato canaglia”. Escluso che la democrazia possa essere rappresentata da Putin, proviamo a dare un’occhiata ai potenziali partner del Cremlino.
L’America è sempre stata condannata per il grado di inciviltà manifestato con l’applicazione delle pena di morte. Una condanna giusta, sacrosanta, ineccepibile visto anche il numero degli errori giudiziari. Nella civilissima Teheran il problema degli errori giudiziari è invece quasi inesistente. Grazie al fatto che la pena capitale è prevista per una serie infinita di reati (omicidio, stupro, terrorismo) o per semplici aspetti di carattere morale (adulterio, blasfemia, omosessualità), si può essere quasi certi che un eventuale condannato qualcosa nella sua vita l’avrà pur commessa. Altro non fosse che l’essersi accompagnato per una volta ad una prostituta. E il fondamentalismo dove vogliamo metterlo? Forse è meglio lasciar perdere, anche l’Iran non sembra un esempio di democrazia da seguire.
Resta comunque la Cina. Un altro esempio di grande democrazia del quale si parla poco. Una condanna a morte negli Stati Uniti? In Italia si mobilitano tutti. Destra, sinistra, centro, cattolici, atei, opinionisti e persino chi non ha un’opinione propria.
La Repubblica Popolare Cinese, per chi non lo sapesse, è il paese nel quale vengono eseguite il maggior numero di condanne capitali, seguito subito dopo dall’Iran. Inutile dire che anche in questo caso la pena di morte è prevista ed applicata come sanzione in un numero inverosimile di casi.
A questo si aggiunge il fiorente mercato clandestino degli organi legato alle esecuzioni capitali che ha visto coinvolti politici di primo piano e strutture sanitarie statali. Ma è dai praticanti del Falun Gong (disciplina che cerca di migliorare il corpo, la mente e l’etica) che chirurghi, guardie carcerarie, militari e altri criminali ricavano la “materia prima”. A partire dal 1999, lo stato cinese ha represso il movimento Falun Gong, i cui principi fondamentali sono “verità, compassione e tolleranza.” Torture, lavori forzati e uccisioni, sono state le risposte del governo cinese a un movimento pacifico.
Decine di migliaia di praticanti del Falun Gong sono stati utilizzati per i trapianti d’organi. Bastava una sola firma di un funzionario di polizia e il povero malcapitato finiva in un campo di lavori forzati. Il sistema, realizzato in Russia da Stalin e da Hitler nel Terzo Reich, fu copiato nel 1950 da Mao.Se inizialmente questo consentì a società multinazionali di poter avere in subappalto manodopera a basso costo (sedici ore al giorno di lavoro senza paga e poco cibo), ben presto si è trasformò nella “fattoria degli organi”, dove la manodopera meno produttiva o ormai inutilizzabile viene macellata e rivenduta sul banco carni di quegli ospedali, anche pubblici, che commerciano in organi. Una stima del 2005 indica in 340 i campi di lavoro e in 350.000 detenuti, dei quali almeno la metà per il solo fatto di appartenere al Falun Gong.
Per molti, resta ancora un altro esempio. Un altro partner di Mosca, Teheran e Pechino: La Corea del Nord!
A prescindere dalle folli minacce nei confronti del mondo sull’utilizzo di armi nucleari, il ”democratico” leader della Corea del Nord, Kim Jong-un, pare abbia il vizietto di accoppare senza molti complimenti i suoi oppositori politici. Parenti compresi. Basti pensare a come ha ordinato l’esecuzione dell’intera famiglia dello zio, l’ex tutore Jang Song-thaek, eliminando anche alcuni suoi fedelissimi. Tra le vittime del leader coreano anche donne e bambini. Tutti i familiari di Jang, compresi figli, figlie e i due figli dei suoi due fratelli. A completare il capolavoro di democrazia e civiltà del simpatico Kim, l’aver dato vivo in pasto ai suoi cani il cugino, vicepremier, fatto arrestare in parlamento per aver tramato contro di lui.
È facile fare gli opinionisti quando si vive in Italia e si può scrivere liberamente ciò che si vuole senza correre il rischio di finire in pasto ai cani. Peccato che tra tutti questi difensori di libertà e democrazia che guardano con occhio benevolo Cina, Russia, Iran e Corea del Nord, ad oggi non e abbia incontrato uno solo disposto a trasferirsi lì. E penso proprio che se costoro fossero costretti ad emigrare dall’Italia, preferirebbero di gran lunga andare a vivere nello “Stato canaglia” piuttosto che in uno di questi paradisi terrestri.
Gian J. Morici