Solito ambientalismo di facciata, per non parlare di altro sempre di facciata. Un governo e una giunta regionale di pseudo, ma molto pseudo, sinistra, sanciscono la fine dei centri di recupero della fauna siciliana. Se negli ultimi decenni in tutta Italia si è suonato il piffero della tutela dell’ambiente, della funzione delle aree protette, dei centri di recupero della fauna selvatica, considerando il tutto come si trattasse di potenziali attrazioni turistiche e opportunità di rilancio economico, ecco che la Sicilia, o meglio i politici siciliani, fa il passo indietro su realtà che ben altra attenzione avrebbero meritato.
Il movimento ambientalista, spesso identificato come legato alla sinistra – e non si capisce il perché – dopo aver conseguito importanti successi che lo hanno portato ad una rapida ascesa, conosciuto una rapida ascesa non è stato capace di portare le tematiche a supporto delle quali era nato nel vivo del dibattito politico.
Se la forza politica e il consenso elettorale scemano, per quale motivo impegnare risorse economiche, seppur minime, per portare avanti ragioni che restano di tipo etico e culturale?
Questo devono essersi chiesto i politici siciliani dinanzi la prospettiva di dover finanziare gli otto centri di recupero fauna selvatica della regione. Già, perché? Sicuramente non possono rappresentare un bacino di voti dal quale attingere in occasione delle prossime elezioni, né tantomeno fonte di chissà quali guadagni o assunzioni di tipo clientelare.
Chiuderanno così i centri di recupero fauna selvatica, tra i quali quello di Cattolica Eraclea (Ag). Un centro che , istituito nel 2005 e autorizzato dalla Reg. Sicilia, ha operato fino al 31/12/2013 prendendosi cura e salvando da morte certa oltre 1.500 animali selvatici.
Un centro da sempre gestito dal Cts-Ambiente che per molti ha rappresentato il fiore all’occhiello di una Sicilia che cambia guardando alla salvaguardia dell’ambiente e alla conservazione della natura.
Una politica miope che forse guarda più al ritorno in termini di consensi elettorali, sembra voler mettere la parola fine ad un cambiamento culturale che in altri paesi, ma anche in altre regioni italiane, sarebbe stato certamente incoraggiato. Ma questa è la Sicilia. La regione dell’apparenza e non della sostanza. La regione nella quale gli otto centri di recupero fauna selvatica rischiano la chiusura immediata a causa del mancato sostegno da parte della regione. Il grido di allarme arriva da Cts, Fondo siciliano per la natura, Lipu e Wwf Italia, le 4 associazioni ambientaliste che gestiscono queste strutture disciplinate da apposite normative regionali.
“Nonostante gli immani sforzi sostenuti dalle associazioni che gestiscono i centri per portare avanti il lavoro di recupero degli animali feriti, così come previsto dalla legge regionale 33/’97 , la Regione Siciliana non ha previsto per queste strutture alcun rimborso – dichiara Gianni Insacco del Fondo Siciliano per la Natura. Nella voce di bilancio 2013 il capitolo di spesa dedicato a questa voce è infatti pari a zero – continua Insacco. E dire che i centri rivestono una funzione determinante per la salvaguardia della biodiversità oltre a svolgere un’importante azione d’informazione e sensibilizzazione nei confronti di cittadini, studenti, turisti e altri portatori d’interesse”.
“Questa situazione – dichiara Stefano di marco – vice presidente nazionale del Cts – è davvero vergognosa e paradossale. Le associazioni per gestire i centri devono anticipare decine di migliaia di euro fin dall’inizio di ogni anno, attraverso un bilancio di previsione approvato, che poi, come accaduto finora, rischiano di vedersi rimborsati solo in quota parte e soltanto dopo due anni. Questo atteggiamento della Regione che ha di fatto ribaltato completamente su di noi il problema del recupero della fauna selvatica è francamente insostenibile”.
“Quello che chiediamo a gran voce – dichiarano le associazioni ambientaliste – all’assessore regionale delle risorse agricole e alimentari Dario Cartabellotta e al presidente Crocetta sono risposte chiare e tempestive sul pagamento nel 2013 delle attività pregresse dei centri e soprattutto contezza del futuro. Abbiamo bisogno di risorse finanziare certe per poter continuare la nostra attività di recupero altrimenti saremo costretti, per protesta ,a radunare tutti gli animali davanti palazzo dei normanni e a consegnare all’amministrazione le chiavi dei centri. Parallelamente ci rivolgeremo al Ministero dell’Ambiente e alla Commissione Europea per far presente che la regione Sicilia non intende prendersi cura di animali protetti come previsto dalla normativa regionale, da leggi nazionali, direttive comunitarie e convenzioni internazionali”.
E’ evidente che Cts, Fondo siciliano per la natura, Lipu, e Wwf Italia da oggi declinano ogni responsabilità sull’eventuale violazione delle predette norme in quanto la fauna selvatica è patrimonio indisponibile dello Stato e in Sicilia il legale rappresentate in caso di violazione è il presidente del regione e l’assessore regionale alle risorse agricole ed alimentari cui ricade l’onere e la competenza di prendere urgenti provvedimenti.
Strutture regolamentate da una legislazione non più adeguata perchè non in linea con i centri operanti, che hanno visto gli operatori cercare di far allineare la legge ai reali bisogni delle associazioni riconosciute che gestiscono queste strutture, in modo da rendere sostenibile il lavoro loro affidato e svolto.
Il fatto più saliente del problema è che le associazioni vengono risarcite a consuntivo, e solo con quanto resta in bilancio per loro (negli ultimi anni sempre e solo la metà circa di quanto attestato e speso. Fino al 2013 totalmente scoperto con capitolo di spesa azzerato e confermato solo a fine dicembre) portando infatti le stesse(che sono tutte onlus) al fallimento o quasi.
Tutto quest’anno passato (grazie alla disponibilità dell’on Trizzino presidente della IV commissione ambiente dell’ARS) è stato pieno di incontri, audizioni e riunioni alla Regione al fine di migliorare la situazione ormai insostenibile dei centri.
Finalmente a fine luglio era stata approvata una “risoluzione” approvata all’unanimità dalla IV commissione ambiente, che indirizzava fermamente il governo regionale a modificare l’assurdo sistema dei rimborsi ai Centri, creando una capitolo “speciale “ per dette strutture, ma nonostante questo con la pubblicazione del bando dell’ex tabella H (un bando calderone pieno di inghippi che escludeva le associazioni che gestivano i centri) l’assessorato invitava a presentare domanda “impresentabile” perché appunto da bando tutte le associazioni per un motivo o per un altro erano escluse.
Da notare che la legge di settore vieta qualsiasi forma di lucro (biglietti d’ingresso, vendita di gadget…) ai centri, e contemporaneamente indica che l’assessorato può contribuire con sovvenzioni agli stessi.
Nulla quaestio se ci fossero dei rimborsi certi e puntuali, ma non dando la possibilità di autofinanziarsi come può la Regione pretendere che una struttura con delle spese di decine di migliaia di € annue (sempre meno di un dirigente regionale), che svolge un pubblico servizio che se svolto dalla stessa Regione avrebbe costi decuplicati, riesca a reggere?
Al danno si aggiunge la beffa, visto che dopo il recupero, la cura, l’alimentazione, le eventuali responsabilità anche penali e quanto di bisogno per lo scopo siano onere delle associazioni, la Regione e i suoi uffici periferici asseriscano nei momenti delle liberazioni pubbliche degli animali, che ci sia massima collaborazione. Ma di quale collaborazione si può parlare se i costi sono a carico di chi gestisce senza ricevere aiuto? Solita passerella politica, magari a costo zero, in danno di quanti per amore della natura e nella fattispecie degli animali si sobbarcano di una notevole mole di lavoro che ben diversi costi avrebbe con una gestione diretta da parte dell’Ente.
Una richiesta che sarebbe già di cattivo gusto, viste le finalità della stessa, qualora la Regione, seppur con ritardi e lecite seccature burocratiche (durc, fatture, preventivo annuale, tracciabilità finanziaria, giustificativi kilometrici,etc…) rimborsasse le spese; ma che appare insensata, se non folle, vista la determinazione a tirarsi fuori dal farsi carico degli oneri.
Ancora una volta la politica regionale, fatta di tante belle parole e nessun fatto, ha scelto la più facile via del tornaconto politico-elettorale a quella della responsabilità della conservazione della natura. Con buona pace della fauna selvatica e di quanti, veri amanti della natura e degli animali, con anni di sacrifici avevano conseguito notevoli risultati.
Chiuderanno gli otto centri di recupero fauna selvatica della Sicilia? Verranno buttati via duri anni di lavoro e gli investimenti economici ad oggi fatti, o, come non è difficile ipotizzare in una terra come la nostra, il tutto può essere funzionale a ben altri progetti di gestione?
Del resto, la famigerata ex tabella H già in passato è servita ad esaudire i desiderata di tanti amici degli amici. Per dirla con parole di gattopardiana memoria, “tutto cambia affinché nulla cambi”. E in Sicilia, ancora una volta, tutto è cambiato…
bell’articolo, molto completo e diretto, grazie della disponibilità a trattare l’argomento e per cercare di non far passare inosservato uno scempio!