Il tragico naufragio al largo di Lampedusa il 3 ottobre 2013 ha messo sotto gli occhi dell’opinione pubblica una realtà spesso volutamente ignorata da chi preposto allo studio e alla ricerca delle soluzioni del fenomeno immigrazione. Un dramma che sul momento ha sconvolto l’Italia , l’Europa e il mondo. Prime pagine di tutti i giornali, servizi televisivi, conferenze stampa, lutti, preghiere, promesse e poi il nulla. Ancora una volta sembra essere calato il silenzio su quello che può essere indicato come uno dei tanti fallimenti dell’Europa.
Anni fa mi trovai a lavorare presso una comunità per minori che ospitava anche ragazzi stranieri. Fu questo il primo contatto con un mondo dalle mille sfaccettature e spesso ignorato. Come spesso accade, gli immigrati tentavano di fuggire dalla comunità. Quando venivano rintracciati e riportati nella struttura, chiedevano di poter fare una telefonata a parenti che vivevano in Italia.
Il primo sospetto nacque quando accompagnando i ragazzi per permettere loro di telefonare, mi accorsi di come gli stessi fossero di diversa nazionalità, chiamassero sempre gli stessi numeri. Non serviva essere dei geni per capire che qualcosa non quadrava. Più difficile comprendere come mai nessuno prima di allora se ne fosse accorto. E ancora più difficile comprendere il seguito di una vicenda che non approdò mai alle aule giudiziarie. Ma questo è un aspetto sul quale torneremo in futuro.
Uno degli ospiti della comunità mi narrò successivamente come dietro il traffico di carne umana ci fossero organizzazioni criminali ben ramificate in tutto il Corno d’Africa e nell’area magrebina, con basi anche in Italia. Un racconto che trovò conferma nelle confidenze fattemi da altri. I migranti che fuggivano dai centri di accoglienza avevano come destinazione il nord Italia, dove esponenti dell’organizzazione che aveva finanziato il loro viaggio li attendevano per fornire copertura e avviarli sulla strada del crimine o della prostituzione per poter ripagare l’organizzazione del prestito fatto alle loro famiglie.
Alla domanda sul perché pur sapendo cosa li attendesse tentavano la fuga per poter raggiungere il loro referente, la risposta fu che qualora non si fossero “consegnati” a chi aveva finanziato il viaggio, le loro famiglie avrebbero subito pesanti ritorsioni. Questo dà l’idea della dimensione di un’organizzazione criminale in grado di agire in diverse nazioni. Discorso diverso quello degli scafisti che spesso agiscono come gruppuscoli criminali non strutturati.
Ma il dramma dei migranti inizia molto prima dalla loro partenza dalle coste africane per raggiungere l’Italia. Chi può affrontare economicamente il viaggio per la Libia, luogo principale di partenza alla volta della Sicilia, si ritrova ad attraversare la zona desertica grazie a trafficanti di uomini che dietro compenso li trasportano su grossi camion fino. In alternativa scelgono una via che può solo essere percorsa a piedi, accompagnati da guide ben pagate e che conoscono il territorio. Viaggi entrambi pericolosi, durante i quali accade spesso che alcuni migranti muoiano per fatiche, stenti o maltrattamenti. Non meno rischiosa la via per l’Algeria, lungo la quale è necessario pagare più volte il pedaggio. In entrambi i casi, i trafficanti di uomini sanno bene come aggirare i posti di controllo dei quali conoscono la posizione.
Giunti a destinazione, se il viaggio non è stato organizzato da chi finanzia le famiglie di provenienza, bisogna procurarsi il denaro per pagare gli scafisti. Costretti a lavorare duramente per pochissimi soldi, i migranti possono trascorrere lunghi mesi, se non qualche anno, per raccogliere le somme necessarie. Lavorano in stato di schiavitù per conto di appartenenti alle tribù nomadi del deserto o per piccoli imprenditori locali. Una volta raccolto il denaro necessario, sempre che non si venga arrestati dalla polizia locale perché clandestini, viene organizzata la traversata. Raggiunto il punto d’imbarco dove andranno a prenderli gli scafisti, non è più possibile tornare indietro. chi se ne pente, viene ucciso.
Un discorso a parte è quello che riguarda gli eritrei. vittime di un dramma che è già costato la vita a migliaia di persone. L’Eritrea è uno dei paesi africani più repressivi e isolato. Si stima che circa 5.000 eritrei lasciano il paese ogni mese. Una minoranza di questi raggiunge l’Europa. In realtà , la maggior parte dei rifugiati rimangono in Africa. Molti di loro restano vittime di bande criminali e trafficanti che, grazie all’aiuto da parte di funzionari eritrei e sudanesi sequestrano i profughi portandoli nel Sinai egiziano dove vengono tenuti prigionieri in attesa che i familiari paghino il riscatto.
La tragedia al largo di Lampedusa è solo la punta dell’iceberg del dramma eritreo che vede la popolazione del paese trasformata in merce umana anche dal proprio governo , come ha sottolineato l’ultimo Rapporto di monitoraggio delle Nazioni Unite per la Somalia e l’Eritrea. L’Assemblea Generale delle Nazioni Unite ha discusso la questione il 3-4 Ottobre 2013 a New York, nel corso di un vertice sulla migrazione internazionale e lo sviluppo. Il Segretario Generale dell’ONU Ban – Ki Moon ha affermato nella sua relazione che “la situazione dei migranti non in grado di tornare nel loro paese di origine a causa di crisi umanitarie nel Paese di destinazione o di transito è stato spesso trascurato .” Tutti sono concordi nell’affermare che in Eritrea vengono costantemente violati diritti umani e che la popolazione è soggetta a vere e proprie persecuzioni. Tutti concordano sul fatto che la richiesta di asilo politico da parte di cittadini eritrei è legittima e non può essere ignorata. Tutti sono pronti ad affermare che l’UE deve fornire protezione e asilo ai rifugiati eritrei fino a quando non verrà ristabilita la democrazia nel paese d’origine.
L’Unione europea, che ha ancora una missione diplomatica ad Asmara , la capitale dell’Eritrea, non è mai intervenuta per spingere il governo locale verso un cambiamento. Che senso ha mantenere una missione in una posizione tanto strategica se nessuno interviene in materia di diritti umani?
Il Sinai si estende verso il confine Israelo-Egiziano. Una terra bella che pullula di armi ed è governata solo dalla legge della violenza imposta dalle tribù beduine. La posizione geografica della penisola la rende estremamente importante sotto il profilo geopolitico ed economico della regione. Nonostante ciò, lo sviluppo economico che ha portato a notevoli flussi di denaro è sempre finito nelle casse di aziende straniere e mai in quelle delle popolazioni locali. Questo ha fatto sì che i beduini si siano dedicati al contrabbando transfrontaliero di merci nella striscia di Gaza.
Denaro facile proveniente da attività illecite, che ha permesso a nuovi boss appartenenti alle tribù beduine di controllare un vasto territorio all’interno del quale trovano spazio estremisti islamici che con i proventi delle attività illegali finanziano le azioni terroristiche. Dal contrabbando transfrontaliero al sequestro di persona il passo fu breve. Giustificato inizialmente dai beduini con motivazioni di carattere politico. la tratta di esseri umani si è presto trasformata in una fiorente attività commerciale.
L’Eritrea, circa 5,5 milioni di abitanti, uno dei più grandi eserciti in africa, 10.000 prigionieri politici, e’ una delle più brutali dittature della regione. diverse centinaia di giovani ogni mese lasciano il paese sfidando la sorte. In eritrea e in Sudan nei campi profughi, diventano preda di militari o di trafficanti di clandestini che finiscono con il venderli ai beduini.
Torturati, a volte fino alla morte, sono costretti a chiamare i loro familiari affinchè paghino un riscatto che consenta loro di riottenere la libertà. Percosse, violenze sessuali, plastica fusa lasciata colare sulla pelle, cadaveri lasciati ad imputridire accanto agli altri prigionieri, rappresentano un piccolo spaccato dei metodi utilizzati per convincere gli ostaggi a chiedere aiuto alla propria famiglia. Il prezzo dei riscatti ha raggiunto cifre ragguardevoli tanto da fare stimare in milioni di dollari il traffico organizzato da un racket costituito da una rete di clan beduini capaci di gestire sequestri e riscatti su scala internazionale.
Recentemente, per ragioni giornalistiche, ci siamo interessati del caso di una ragazza eritrea sequestrata nel Sinai che chiameremo Zwena. Poco più di vent’anni, tenuta prigioniera per molti mesi, Zwena ha subito violenze di ogni genere.
I suoi rapitori per costringere la famiglia a pagare il riscatto, sono arrivati a violentarla mentre la facevano parlare al telefono con il fratello che vive in Europa. Sulla schiena, come tanti altri che hanno vissuto la stessa esperienza, porta le cicatrici lasciate dalla plastica fusa che per torturarla le è stata fatta cadere addosso. Zwena ha anche visto morire una sua coetanea che era stata sequestrata dalla stessa banda di rapitori. Molti dei profughi sequestrati avrebbero diritto all’asilo politico; ma in Europa non ci sono mai arrivati anche a causa della politica repressiva anti immigrazione perseguita dagli stati che si affacciano nel bacino del mediterraneo.
Se la politica italiana è in flagrante contraddizione con il diritto internazionale , di contro la Commissione europea e gli Stati membri hanno del tutto omesso di stabilire una politica basata sulla solidarietà con gli Stati membri meridionali che portano il peso del problema dei rifugiati . Con il risultato che i profughi sono bloccati nei paesi più colpiti dalla crisi finanziaria: Grecia , Spagna e Italia.
Così, mentre il Commissario europeo per gli Affari interni , Cecilia Malmström , riconosce la necessità di affrontare queste tragedie, la politica europea del Frontex è focalizzata su come evitare l’arrivo di profughi sulle nostre coste. Nessun investimento o progetto per garantire la sicurezza dei rifugiati che restano così prigionieri nei paesi di transito. In che misura in quello che accade non c’è una responsabilità delle politiche che mirano a prevenire la migrazione irregolare in Europa?
Intanto Zwena, dopo mesi di indicibili torture, è stata liberata. Purtroppo è stata tratta in arresto dalla polizia egiziana in quanto clandestina. Il rischio oggi è quello che venga rimandata in Eritrea, dove quasi certamente verrebbe uccisa. Nonostante le richieste di aiuto ad organizzazioni umanitarie affinché si attivassero con la polizia egiziana per il riconoscimento dell’asilo politico alla ragazza, ad oggi registriamo un vergognoso silenzio. Una condanna a morte senza appello per Zwena. Se così dovessero andare le cose, vi narreremo, entrando nei dettagli, di come sul fenomeno dell’emigrazione da parte di aventi diritto ad ottenere asilo politico, oltre l’Europa, sarebbero naufragate le più prestigiose organizzazioni internazionali e nazionali.
Da paesi come Eritrea e Somalia si continua a fuggire per la drammatica situazione che vivono le popolazioni locali, ma chi fugge non arriva più in luoghi sicuri. Una vicenda nella quale si riflette la cattiva coscienza di quanti li considerano indesiderati e preferiscono abbandonarli alla loro sorte.
Gian J. Morici