Massimiliano Latorre e SalvatoreGirone languono a New Delhi ormai da 20 mesi, lontani dai loro affetti più cari, lontani dalla loro Nazione. Qualsiasi Paese al mondo avrebbe in questo lunghissimo arco di tempo affrontato e risolto il problema ricorrendo soprattutto agli strumenti che il diritto internazionale rende disponibili.
Primo fra tutti “ l’Arbitrato Internazionale”, mezzo di soluzione pacifica per la risoluzione delle controversie internazionali, atto chesecondo la pertinente Convenzione dell’Aia (1907) “ha per oggetto il regolamento di liti fra Stati per opera di giudici di loro scelta e sulla base del rispetto del diritto”.
Testi giuridici ci dicono, inoltre che la decisione degli arbitri è vincolante per le parti e che l’arbitrato è considerato dall’articolo 33 della Carta delle Nazioni Unite, uno dei mezzi pacifici di soluzione delle controversie come una forma di regolamento giudiziale in cui la sentenza arbitrale ha efficacia obbligatoria per le parti che possono scegliere, di volta in volta, gli arbitri cui affidare la soluzione delle liti, facendo riferimento a coloro che compongono la Corte permanente d’arbitrato.
Una scelta giustificata anche e soprattutto dagli aspetti che nello specifico caratterizzano la vicenda e che vanno oltre la controversia diplomatica. Una serie svariata, di circostanze, infatti, ricadono in quanto regolato dal Diritto Internazionale. I fatti avvenuti in acque internazionali, l’immunità funzionale dei militari in missione, la limitazione della libertà di movimento imposta dalla Corte Suprema indiana al nostro Ambasciatore a seguito della decisione italiana di non far rientrare i due Marò a Delhi al termine del permesso elettorale.
Un’azione, questa ultima, motivata dall’India come ritorsione per il mancato rispetto dello specifico affidavit sottoscritto dal nostro rappresentante diplomatico a Delhi, ma assolutamente strumentale a fronte della fermezza italiana che, se mantenuta, avrebbe, invece, potuto rappresentare uno strumento di pressione particolarmente efficace per persuadere l’India ad affidare la controversia ad un giudice internazionale.
La costanza dell’Italia, in quelle circostanze, come noto ha avuto vita breve. Dopo soli 10 giorni a fronte delle pressioni indiane e per una dichiarata difesa di interessi commerciali italiani, il 21 marzo u.s. fu fatta una repentina inversione di marcia e Massimiliano e Salvatore furono fatti rientrare precipitosamente in India.
Da quel momento le parole hanno preso il posto dei fatti. Una serie di mere espressioni di intenti si sono continuamente accavallate, spesso molto scarne come le recenti riportate nel resoconto stenografico della riunione a Commissioni riunite della Camera e del Senato, precisamente la 3^ (Affari esteri ed emigrazione), la 4^ (Difesa) del Senato della Repubblica, la III (Affari esteri e comunitari) e IV (Difesa) della Camera dei Deputati del 17 ottobre 2013.
Poche parole del Ministro degli Affari Esteri Emma Bonino che sulla vicenda dei marò riferisce “sono disponibile ad ascoltare consigli di tutti, ma un po’ meno sono disposta, anche se non riguarda questo incontro, ad accettare polemiche, per non dire peggio. L’impegno che stiamo mettendo usando tutti i mezzi possibili (pressioni costanti, dialogo e solidarietà internazionale) è volto a riportare a casa i marò”.
Il MAE non ci dice però perché fra le varie iniziative non è stato portato avanti quanto preannunciato l’11 marzo dall’allora Sottosegretario de Mistura e dichiarato all’Agenzia AGI “a questo punto la divergenza di opinioni” tra l’Italia e l’India sulle questioni della giurisdizione e dell’immunità richiede un arbitrato internazionale: il ricorso al diritto internazionale o una sentenza di una corte internazionale”.
Altra espressione di intenti delle Istituzioni, svanita nel nulla anche se, forse, avrebbe potuto rappresentare un atto risolutivo, oggi, allo stato attuale delle cose, unica strada realisticamente percorribile. Un ricorso unilaterale dell’Italia davanti ad un arbitro internazionale, attuabile come previsto da UNCLOS (ex Allegato VII alla Convenzione UN), che al primo paragrafo dell’Art. 287 prevede la possibilità per gli Stati parti in causa di scegliere uno strumento giurisdizionale o arbitrale da scegliere fra i possibili Tribunali internazionali all’uopo preposti, come espressamente riportato nell’articolo 286, che prevede “…..qualsiasi controversia relativa all’interpretazione o all’applicazione della presente convenzione,quando non è stata raggiunta una soluzione ricorrendo alla sezione 1, può essere sottoposta a richiesta di una delle parti della controversia al giudice competente…”.
Articoli che inequivocabilmente affermano la possibilità di una richiesta anche unilaterale da parte di uno degli Stati protagonisti della controversia, circostanza che nello specifico è suffragata da elementi oggettivi.
Infatti la normativa internazionale ci dice che è possibile il ricorso unilaterale all’Arbitrato nei casi in cui una delle parti non riscontri precise richieste dell’altra. Condizioni che si sono verificate nel momento che l’India non ha mai risposto alla richiesta italiana formalizzata con una Nota Verbale del Governo italiano dell’11 marzo u.s. ed inoltrata a Delhi per promuovere un incontro diplomatico allo scopo di individuare ogni possibile soluzione della controversia, fatto oggettivo che coinvolgeva India ed Italia.
Leggiamo ed ascoltiamo, invece, solo dichiarazioni di intenti come l’ormai nota e ricorrente assicurazione di un “processo equo e rapido” o frasi come quelle riportate nel resoconto stenografico sopramenzionato (non rivisto dagli oratori), con cui il Ministro degli Esteri informa il Parlamento che “l’impegno che stiamo mettendo usando tutti i mezzi possibili (pressioni costanti, dialogo e solidarietà internazionale) è volto a riportare a casa i marò”; “la linea di comando è piuttosto chiara, proprio per superare certe difficoltà, ed include la Presidenza del Consiglio in quanto tale e l’inviato speciale Staffan de Mistura che risponde direttamente al Presidente del Consiglio e coordina e coadiuva gli sforzi di quattro Ministri e delle quattro amministrazioni”.
Ed ancora, “il nostro impegno è di portare a casa i due Marò. Una volta ottenuto questo, magari riapriremo il dossier di altri tempi. Intanto vediamo di portare a casa questi signori. Il meccanismo si è bloccato – lo stiamo superando – sull’interrogatorio dei quattro militari …..”.
La dottoressa Bonino però, almeno per quanto letto, non informa il Parlamento perché non sia stato predisposto sul piano diplomatico quanto necessario per superare un stallo prevedibile perché conseguente ad un noto impegno italiano sottoscritto ufficialmente da rappresentanti del Governo (Monti) che, secondo le informazioni in possesso di Wikilao e confermate da fonti militari e indiane, sottoscrisse un documento in cui si accettava l’obbligo di far tornare in India, se ritenuto necessario, anche gli altri 4 Fucilieri di Marina del NMP imbarcato il 15 febbraio 2012 sulla Lexie, per essere interrogati su quanto accaduto. Evenienza assolutamente probabile in quanto procedura prevista dall’iter investigativo della NIA indiana.
Il Ministro non chiarisce neppure perché il Governo italiano continui a rifiutare l’opzione dell’Arbitrato Internazionale che invece esperti del Diritto Internazionale suggerirebbero. Soluzione che non rappresenterebbe la panacea per risolvere tutti i mali e ridare all’Italia un minimo di credibilità internazionale, ma sarebbe qualcosa di più rispetto al solo dire e limitarsi ad affermare speranze, come ormai e da tempo avviene a vari livelli istituzionali.