
Le comunioni d’intenti portano a navigare le acque della propria esistenza, circondandosi spesso di abitudini che crediamo amori.
Finchè un amore vero ti strappa via da tutta la ruggine esistenziale che fai finta sia un bene.
Gli amori provengono da scelte. Amare è scegliere, eleggere una compagna, un amico, un gruppo, un branco. Poi nuotare insieme, sperando di fare la stessa strada a lungo.
Ma amare è anche credere, sposare una causa e capire che portarla avanti è sacrificio, ferite inferte, umiliazioni. Più un sogno è valido, più va protetto dalla miscredenza e dal dileggio.
Qualche tempo fa la donna che amo mi raccontò di un suo dialogo che aveva il fiato pesante delle ultime parole di una storia da chiudere. “Secondo me tu non mi ami…” – disse lei.
Lui rispose inerpicandosi in una domanda esistenziale: “ma in fondo, che cos’è l’amore?”
Io non saprei rispondere a una domanda del genere, lo potrei fare solo guardando. Io per dire cosa è amore dovrei guardare. Come tutte le cose a cui dobbiamo associare un nome fin da bambini.
Posso dire che amore è quello dei vigili del fuoco, dei volontari della protezione civile, di tutti quelli che prestano soccorso quando succedono catastrofi.
Quei loro volti che fanno da specchio, l’aver raccolto le sofferenze e le anime che ancora vagano tra I resti e tra le orme di una morte appena passata, anche ingiustamente, anche in mezzo ai bambini. Una volta un sommozzatore che per stipendio da fame recuperava i corpi del naufragio del Concordia disse: “non ci si abitua mai, ogni volta ricordi l’ultimo sguardo dell’ultimo corpo, lo ripensi da vivo, specie se è un bimbo, il giorno che mi abituo a questo orrore, smetto”. Questa è una forma d’amore.
È amore il branco minimo di amici che ti circonda in un momento difficile, che ti accompagna al sicuro, dove nessuno può sbranarti. Che tornano indietro a riprenderti se cadi. È amore non girarsi più indietro, non chiedersi più perchè fa male non aver ricevuto quello a cui si aveva diritto per il solo fatto di aver dato se stessi, o di essere venuti al mondo.
È amore insegnare ai bimbi le parolacce e inventare un giorno di “liberi tutti” in cui si possono ripetere. È amore far finta di insegnargli a pisciare controvento, cantare in coro insieme a loro la canzone di Amici miei: “la cacatella longalongalongalonga…”.
È amore la pazienza, il rispetto, la dignità. Elargirli a chi si agita per la disperazione di non trovarseli più in tasca e pensa di averli smarriti per sempre.
Mandare affanculo chiunque si frapponga tra una guarigione e un ritrovarsi, in quei momenti in cui conta solo la sostanza e non la buccia di chiacchiere e proclami. Quello è amore. Accendere i bengala ogni volta che qualcuno a cui tieni si ficca in tunnel strani, che magari sono anche pericolosi, aiutarlo a uscire. Quello è amore.
È amore incontrare due autori di un libro bellissimo, su Falcone e Borsellino, per caso durante una passeggiata. Una storia a fumetti intitolata “un fatto umano”, in cui i due giudici vengono disegnati in maniera Disneyiana, come due cani, dove i mafiosi vengono disegnati come maiali e Berlusconi è una faina. Un bellissimo libro che ho a casa. Amore è trovarsi dallo stesso lato della barricata, scambiarsi qualche minuto di idee, immaginare progetti e ricevere in regalo una stampa a tiratura limitata raffigurante Giovanni Falcone.
Quello di Dragan, bosniaco, è amore, che a Jesolo salva due bambini dall’annegamento, qualche giorno fa, li aveva visti in difficoltà e si è tuffato insieme ad un altro Marocchino. Non erano suoi figli, erano solo cuccioli che rischiavano di morire. È morto lui, Dragan. Per salvarli, lascio a voi invece definire cosa è il comportamento dei due genitori che avuti i bimbi in salvo vanno via, senza nemmeno ringraziare o preoccuparsi di che fine aveva fatto Dragan.
Quello di Pedja (Predrag) Mijhatovic è amore, calciatore con una carriera radiosa, famoso per aver segnato il gol con cui il Real Madrid battè la Juve in finale di Champions League 97/98. Pedja diventa padre di un bimbo malato di idrocefalia e paralisi cerebrale, Andrea. La madre non appena apprende la gravità della malattia del figlio intima l’aut aut, o il bambino viene dato a un centro che se ne occupi o lei se ne va, non vuole in casa un peso così. Pedja non si perde d’animo, sfancula la moglie e la sua sensibilità da pachiderma, vi divorzia e accudisce il figlio come un padre e come una madre. Lo cresce, gli dà una nuova famiglia, Andrea morirà a quindici anni nel 2007, ma avrà avuto per tutta la vita, indovinate un po’? Amore, nel nome del padre.
È amore piangere una perdita e sorridere di un ritrovarsi, quel rumore inconfondibile che fa l’anima quando tutti i fantasmi vanno a nanna e si spegne la luce fioca delle involuzioni. Tutto torna a posto, è meno tremendo di quello che sembrava e ti daresti del pirla per averci perso pure tempo.
È amore ogni movimento, quello fisico e poco poetico ma tanto divertente di “far l’amore finchè ce n’è” (cit, Ligabue), quello in cui capisci che qualcuno ti appartiene a carne e non lo stacchi senza farti male. Quasi animalesco.
È amore ogni circolazione di sangue, in cui, chi si riconosce fiuta l’aria e si mette a caccia del suo simile. Ma non per cibarsene.
È amore quello di cui avranno bisogno compatto e perenne Arianna, Cristoforo, Maria, Francesca e Marco, sono cinque bambini scampati allo schianto di Monteforte Irpino, quelli che sicuramente avranno strappato un sospiro da mantice di sollievo a chi li ha recuperati. Sarebbe bello che di questi sospiri se ne sentissero tanti in ogni angolo del globo. Di anime salve. È amore anche questo, sospirare e inghiottire lacrime che non dovrebbero servire più, poichè tutto è passato.