Possono piangere, urlare e morire, ma nessuno sembra accorgersi di loro. Fuggire dal proprio Paese, per finire ostaggi di trafficanti di uomini o tratti in arresto, perché clandestini, in nazioni nelle quali violenze e torture vengono accettate come si trattasse di una normale prassi.
Sono gli eritrei che fuggono da una delle peggiori dittature africane. Gli eritrei che pur di fuggire, affrontano il rischio di finire catturati dai beduini del Sinai che, dopo averli torturati e violentati in ogni modo, a volte li rilasciano dietro il pagamento di un riscatto.
Ma per loro, la storia non finisce lì. Una volta rilasciati, dovranno affrontare il rischio che comporta un lungo viaggio nel corso del quale potranno finire catturati dalle forze dell’ordine di altri paesi (Egitto, Libia ecc), dove non vengono loro risparmiate altre torture. La fine del viaggio, è spesso rappresentata dalla morte o dai centri di prima accoglienza della nazione europea che riusciranno a raggiungere.
In soli quattro anni, si stima che circa 5000/7000 eritrei siano riusciti a varcare la frontiera israeliana. 4.000 invece coloro i quali sarebbero morti.
Di loro, facendo riferimento ad una storia vera della quale andremo presto a raccontarvi, ne avevamo già scritto alcuni giorni addietro.
Un dramma che non può più essere ignorato e che è stato sottoposto all’attenzione del Pontefice, in occasione della visita a Lampedusa, dove Papa Francesco ha incontrato alcuni immigrati. Clandestini! Clandestini che fuggono da un orrore che noi continuiamo a far finta di non vedere, di non conoscere.
“Vi ringrazio per l’accoglienza – ha detto il Papa appena sbarcato al molo Favarolo – tutti insieme oggi pregheremo l’uno per l’altro e anche per quelli che oggi non sono qui. Grazie.”
Dopo il saluto del Papa un migrante ha letto al Papa, in lingua tigrina, un testo nel quale raccontano il loro dolore in cerca di un futuro migliore.
“All’egregio Papa – inizia così il testo – innanzitutto benvenuto tra noi. Noi chiediamo che si trovi una soluzione o un aiuto per la nostra situazione. Il nostro problema è che tanti di noi siamo minorenni. Avevamo e ancora abbiamo problemi politici ed economici nella nostra patria.
Quando siamo usciti dalla nostra patria, ripetutamente i Rashaida (tribù di beduini che vive al confine tra Eritrea, Sudan, Egitto e Israele, nota del traduttore) ci hanno rapinati, flagellati e portati fino al Sinai, quindi siamo gente che ha vissuto tante difficoltà.
Così anche in Libia abbiamo subito tante sofferenze indescrivibili, e che, anche a ricordarle fanno rabbrividire. In Libia le nostre sorelle (eritree nota del traduttore) hanno subito rapine, tanti sono stati imprigionati e quando ti ammali non trovi nessuna assistenza sanitaria. I nostri familiari per liberarci hanno chiesto alti prestiti. Quando siamo arrivati qui in Italia ci hanno accolti bene, ma ci hanno costretti a lasciare le impronte digitali.
Il motivo per il quale noi non vogliamo rimanere in Italia è che in Italia ci sono tanti profughi e non c’è lavoro. Siccome il prestito che i nostri genitori hanno chiesto è elevato, e loro non sono in grado di pagarlo, noi siamo costretti ad andare in altri paesi, trovare una sistemazione e lavoro per restituire il prestito. Quindi chiediamo che Lei ci aiuti perché qualunque nazione europea ci inviti o ci accolga per pagare il prestito.
Che Dio ci aiuti, amen. La ringraziamo tanto per la Sua collaborazione”.
(Pubblichiamo la lettera, per gentile concessione di Carmelo Petrone, Direttore de “L’Amico del Popolo” settimanale della diocesi di Agrigento)