La mancata elezione a Capo dello Stato di Romano Prodi ha suscitato enorme scalpore nel Paese. L’hanno fatta da padrone i franchi tiratori del Pd, che hanno dato ragione a chi da diversi giorni ne paventava le spaccature all’interno. Quella di Prodi doveva essere una elezione che serviva soprattutto a mettere una “pezza” a quanto era successo il giorno prima: la mancata elezione di Franco Marini, anch’essa voluta e sostenuta dal partito a parole, ma non nei fatti. “Bruciare” due notabili come Marini e Prodi, per la loro storia da sempre vicina alle posizioni del centro sinistra, ha significato mettere a nudo la mollezza del partito. L’effetto ineluttabile e immediato sono state le dimissioni di Rosy Bindi prima e di Bersani poi. L’elezione del Presidente della Repubblica, sembra abbia dato la stura al regolamento di conti tra due o più partiti confluiti nello stesso soggetto, che nel tempo non sono riusciti ad amalgamarsi e che nelle occasioni decisionali sovente vengono fuori. A volte procurando qualche “guaio”. Bersani, Renzi, ex Ds, ex Margherita, sembrano i protagonisti di una querelle che va archiviata immediatamente per far chiarezza dentro e per riottenere credibilità fuori. E’ un chiarimento a cui tutti guardano. Se il Pd risolve i problemi dentro, forse risolve quelli del Paese. Così vanno combattuti i retroscenisti di professione. La rielezione di Giorgio Napolitano va in questa direzione. Napolitano ha ceduto alle preghiere di restare, avanzate sabato mattina da Bersani, Berlusconi, Maroni e Monti. La continuazione del suo primo settennato conclama la crisi della politica italiana, incapace di esprimere un Capo dello Stato voluto da tutti i partiti ed un governo per il Paese. La contropartita imposta da Napolitano pare sia stata l’impegno dei maggiori leaders a dare agli italiani un governo senza ulteriori indugi, e se necessario turandosi il naso. Un Esecutivo di breve ma non brevissima durata, in grado di fare una buona legge elettorale, di adottare i provvedimenti urgenti per l’economia, di tagliare i costi della politica. Che faccia poche cose ma buone. Che consenta di tornare alle urne senza patemi d’animo. Probabilmente, anche se non gradito agli stessi, l’accordo Pd-Pdl, oggi, appare necessario al Paese per le emergenze in cui annaspa. Dopo, ognuno per la sua strada. Gli italiani capiranno. Lunedì, con il discorso alle Camere del neo Presidente rieletto, ne sapremo di più.
Rogero Fiorentino
Iil Pd aveva avuto tutto il tempo per amalgamarsi all’interno(anni)….invece di avere solo come comune denominatore “la fissa di berlusconi”!! si sono ritrovati senza una coesione interna ..troppi giochi di potere dall’interno.