“Il fatto di essere attori del “Il Piccolo teatro Città di Agrigento” – scrive Maria Serritiello, autrice dell’articolo pubblicato sul periodico di cultura “Lapilli” – ha dato a Rosa Maria Montalbano, Salvatore Nocera e Lillo Zarbo una responsabilità in più, verso il teatro di Pirandello, che sono andati a rappresentare domenica 7 aprile, per l’attenta regia di Salvatore Nocera.
“Uno strappo nel cielo”, questo il titolo del secondo pezzo in gara, alla V Edizione della Rassegna “Teatro XS” Città di Salerno, è uno studio originale su alcuni personaggi, tratti dalle opere del sommo agrigentino.
“E’ un riportare, tra noi, senza irriverenza”, dice Salvatore Nocera, che del lavoro è il curatore dei testi originali, della musica e della regia, ” Zio Luigi, ma solo dietro le quinte, per considerarlo un punto di partenza, anzi impulso per andare oltre.”
Trama
Non è semplice riassumere il testo – continua l’autrice dell’articolo -, se non si ha sotto mano e rinverdita la produzione del teatro di Pirandello. Il recitato è un vero e proprio puzzle, composto da alcuni personaggi e situazioni tratti dal “Fu Mattia Pascal”, da “L’uomo dal fiore in bocca”, dalla “Sagra del Signore della Nave” e da “Sgombero”. L’incipit dello spettacolo è riferito al XII capitolo del “Fu Mattia Pascal”, dove “Uno strappo nel cielo di carta” prende forma, accompagnato dal suono della chitarra e della fisarmonica, strumenti e suonatori situati dietro un velario, poi, per 70 minuti ed un solo tempo, si assiste via, via ad uno spettacolo quantomeno inusuale.
In scena, arredata scarna, due figure, si alternano, si rimandano battute “Voi l’avete visto”, dice la donna, vestita severa e in nero, ad Adriano Meis, un tempo Mattia Pascal, “Voi l’avete visto e volete proteggerlo” e si capisce che a parlare è la moglie dell’uomo dal fiore in bocca, messa in ombra da lui, scartata dal suo dolore. Si succedono, poi, Caloiru Pispisa, un personaggio costruito su di un precedente studio d’attore, preparatorio al ruolo del Norcino, ne “La sagra del Signore della Nave” e la rancorosa figura femminile, tratta da “Sgombero”. Tutto, così, diventa comprensibile, anche l’originalità della rappresentazione.
Commento
Ciò che intralcia inizialmente la fruizione dello spettacolo è quello di avere, sì, conoscenza del teatro di Pirandello, come “L’Uomo dal fiore in bocca” e de ” Il Fu Mattia Pascal”, ma meno quella riferita alla “Sagra del Signore della Nave” e a “Sgombero”. Lo spettacolo, non semplice, riesce, però, a colpire progressivamente la sensibilità dello spettatore, a coinvolgerlo nelle spire della trama e a farlo entrare con piacevolezza nello corpo della rappresentazione. Il puzzle dei personaggi si combina bene e la recita risulta originale, anche per gli effetti sonori, dovuti alla voce, usata in modo particolarissima, dal bravo Salvatore Nocera, dalle corde della sua chitarra e dai soffi del mantice della fisarmonica (suonata da Angelo Sanfilippo – ndr).
Viscerale e sanguigna, la recitazione di Lillo Zarba, Caloiru Pispisa, altrimenti detto “Babba”. Un omone possente, adatto al mestiere che fa: scannatore di maiali, che si prende tutta la scena quando mima il suo cruento lavoro. La rozza maglia, indossata su pantaloni informi, dove si notano macchie del macello appena compiuto e il dialetto stretto, musicale, fanno di lui il perfetto “babba”, di quelli che si trovano ovunque. “Babba”, Caloiru, però, non è, magari incolto, cervello ne ha e tanto, anzi per la sua condizione che gli serve di comodo, si prende il lusso di dire, come gli pare, tutto a tutti.
Passionalità unita ad una recitazione intensa, si devono a Rosa Maria Montalbano, il personaggio femminile, ora severo, chiusa com’è nel suo vestito nero, lungo fino ai piedi ed espressione addolorata stampata sul volto, ora sfrontata, avvolta nello scialle rosso, il fuoco della sua rabbia verso il padre cadavere a cui indirizza e vomita la sua condizione, da lui provocata. Ad addolcire la chiusa – conclude la Serritiello -, il canto elegante e lento, quasi una carezza, di un pezzo dell’indimenticato Domenico Modugno: “L’Uomo in frak”, nel quale Salvatore Nocera mette l’anima e chiude.”
Uno strappo nel cielo di carta – di Salvatore Nocera
Nota
Pur intriso evidentemente di scrittura “classica” pirandelliana, con tutte le sue rivelazioni in riferimento all’incipit del XII capitolo de Il fu Mattia Pascal, “Uno strappo nel cielo di carta” è soprattutto scrittura “originale” sull’inconsistenza del limite tra INTIMITÀ e PUBBLICO, all’interno della nostra criticissima quotidianità, con tutte le perniciose confusioni che ne derivano.
Confidenzialmente Pirandello per noi è – ma solo dietro le quinte! – Zio Luigi, quasi a riportarlo tra noi, ma senza irriverenza, semmai con quell’ironia distaccata di chi semplicemente prova a considerarlo un punto di partenza: quindi Pirandello è studio, ma anche impulso per andare oltre, per scoprirlo come una sorta di propellente in grado di alimentare la nostra voglia di sperimentazione e il nostro desiderio di esplorare nuove mete espressive, per quanto sempre ancora riconoscibili “dentro” forme tradizionali. Da un punto di vista teatrale, naturalmente: per quanto il confine tra i nostri vissuti e la nostra capacità di esprimerli, non sia poi così nettamente distinguibile da un certo modo di far teatro e anche di scriverne, che non può prescindere dalla nostra vita e dal nostro dolore. Esattamente come nella Donna dell’Uomo dal fiore in bocca, recuperata dall’opera pirandelliana a protagonista di un vissuto che quello del marito ha sempre messo in ombra, ribaltando pertanto i ruoli, e relegando lui, stavolta, nell’ombra, con quella sua spocchiosa esibizione del suo dolore che impedisce al resto dell’umanità – sua moglie – di manifestare il proprio.
O anche al personaggio di Caloiru Pìspisa, costruito su di un precedente studio d’attore preparatorio al ruolo del Norcino ne La sagra del Signore della Nave, realizzata dal Piccolo Teatro di Agrigento nel 1996; il tutto completato da riduzioni tratte da Sgombero e da Il fu Mattìa Pascal, e ritmato da una musica originale, quasi esclusivamente composta per questo spettacolo, a parte l’omaggio finale al grande Domenico Modugno. Una scelta di essenzialità, pur classica, nella recitazione, scandita all’interno di un itinerario che privilegia la parola, e in uno “spazio” (con)diviso: dietro da un velatino ciò che rimane “ombra”– suoni, voci, figure appena riconoscibili – davanti una tragedia di personaggi che si rinnova in un contatto sanguigno con il pubblico, un globo di discoteca appeso, in apparente contraddizione anacronistica, come unico aggancio al presente …