L’11 gennaio la Francia ha dato inizio all’operazione “Serval” (in italiano gattopardo) a sostegno del governo del Mali, sotto attacco da parte delle truppe ribelli del nord del paese. L’intervento francese arriva dopo un anno di escalation che ha portato le truppe ribelli del MNLA (Movimento Nazionale di liberazione dell’Azawad) e le compagini islamiste ad esso alleate a conquistare il nord del Mali e ad occupare città importanti come Timbuctù, Gao e Diabali, giungendo a 400 chilometri dalla capitale Bamako.
La decisione del governo francese arriva dopo la risoluzione 2071 (2012) del Consiglio di Sicurezza dell’ONU e la richiesta di aiuto militare da parte del presidente maliano Traoré. La vecchia madrepatria con un intervento repentino che ha colto in contropiede la comunità internazionale e l’Europa, ha imbastito un’operazione militare che, una volta al completo, conterà circa 2.500 uomini.
Hollande ha annunciato che i tre obiettivi della campagna maliana sono: arrestare l’avanzata dei ribelli verso Bamaku, proteggere le migliaia di francesi residenti nella capitale e permettere al Mali di recuperare la sua integrità territoriale. Il primo obiettivo è stato raggiunto dopo poche ore dall’inizio del conflitto, così come il secondo che del primo è diretta conseguenza. Sul terzo obiettivo si concentrano le incognite maggiori: L’esperienza insegna che riportare la pace in territori in cui operano forze ribelli legate a movimenti terroristici e in cui la presenza dello stato è storicamente debole è un proposito arduo da realizzare e che implica un impegno di lunga durata e un notevole impiego di forze e risorse. Su questo punto il presidente francese ha chiarito che l’operazione durerà il tempo necessario, mettendo in preventivo un possibile coinvolgimento a lungo termine dell’esercito francese.
Il rischio, in caso di mancato intervento, era che il Mali venisse controllato da forze jihadiste che stanno facendo dell’Africa sub-sahariana e di parte del nord Africa (il caso libico ne è un esempio) la principale area di intervento e di concentrazione del terrorismo islamico. La missione francese potrebbe costituire solo la prima tappa di un’azione anti-jihadista in un’area a forte rischio di infiltrazione terroristica.
La missione francese ha incontrato il supporto quasi unanime della comunità internazionale, dall’ONU alla Comunità Economica degli Stati dell’Africa Occidentale (i cui membri contribuiranno con circa 3.000 uomini alla missione) fino alle tradizionalmente riottose Russia e Cina. Anche l’Unione Europea ha sostenuto con convinzione l’iniziativa francese. Purtroppo Bruxelles non è andata oltre la creazione di una missione di addestramento delle forze armate maliane (EUTM Mali). Lo stesso vale per gli altri principali stati membri (Italia compresa), i quali hanno messo a disposizione solo mezzi di trasporto aereo e addestratori parte dell’EUTM.
Almeno per una volta sarebbe stato un bel segnale se l’Unione fosse intervenuta in maniera unitaria e coordinata, con un’unica guida ed un obiettivo comune, a tutela di interessi che non sono solo francesi ma che riguardano la sicurezza di un’area fondamentale per la lotta al terrorismo. Le critiche contro un intervento neo-colonialista e contro una guerra che alcuni considerano un affare esclusivo della Francia avrebbero avuto minor fondamento e l’Unione avrebbe dimostrato di essere matura anche quando si tratta di difendere interessi strategici attraverso interventi militari.
E’ evidente che l’Europa abbia paura di diventare grande: una sindrome di Peter Pan che di certo non giova al vecchio continente.
Alessandro Polito