Siamo in fervente campagna elettorale e non potevo esimermi da analizzare i processi psicologici, sociali, relazionali e comunicativi che vengono messi in campo sia dai canditati sia dagli elettori. Il compito della psicologia è la comprensione del comportamento umano che, come ben sappiamo, è estremamente complesso. Ma della volontà dell’elettore, ne è mai importato qualcosa a qualcuno, al di là della contingenza dell’elezione di turno? Se ne è occupato Erich Fromm, che così ha scritto: “…se per democrazia si intende la possibilità dell’individuo di esprimere la sua convinzione e di affermare la sua volontà, si presume che egli abbia una convinzione e abbia una volontà…”. Come mai noi elettori decidiamo in un modo o nell’altro, votiamo un candidato o un determinato Partito? Sembra che, in epoca moderna, noi cittadini siamo in grado di sviluppare soltanto opinioni e pregiudizi, ma non convinzioni e, quindi, sicuramente simpatie e antipatie … ma non siamo in grado, se non raramente, di attuare la nostra precisa volontà, perché in realtà non siamo in grado di riconoscerla più!
Viviamo quindi condizionati dagli slogan elettorali, da messaggi ridondanti, ripetitivi e stereotipati, da verbalizzazioni che, a volte celano a volte sono esplicite, accuse e colpe, e non programmi propositivi, e questo ci separa da ciò che veramente sarebbe la nostra libera scelta, che non sappiamo neanche più quale potrebbe essere! Votiamo quindi male informati, anche se leggiamo regolarmente il giornale e guardiamo la TV, apprendendo di milioni di euro spesi, o persi: cifre e astrazioni che non ci danno alcuna interpretazione concreta di quanto sta succedendo, in quanto tutto assume una dimensione irreale, impersonale. E così avviene anche al momento del voto: vediamo solo nomi legati a simboli di Partiti che sono richiami per la memoria, “come un gioco di indovinelli” dice Fromm, e non persone dalle quali dipenderanno la nostra vita e quella dei nostri figli.
La scelta finale dell’elettore, anche quella di non votare, rappresenta il prodotto di un processo decisionale in cui si inseriscono numerosi fattori che influenzano la preferenza o l’astinenza finale e che sono stati studiati dalle scienze del comportamento al fine di conoscere meglio le strategie psicologiche che guidano gli elettori e gli elementi che possono influenzare il loro comportamento di voto. La preferenza espressa attraverso il voto rappresenta principalmente una dichiarazione di fiducia e di condivisione che oggi appare sempre più lontana dalle modalità di scelta che guidavano il voto in tempi passati, quando l’influenza mediatica era meno incisiva.
L’attuale comportamento di voto, infatti, appare come un processo di scelta sempre più “personalizzata”, cioè mosso in modo crescente dalle caratteristiche individuali dei candidati, aspetti che giocano un ruolo più importante di quelli che in passato avevano un peso maggiore, quali le ideologie, le tradizioni, i valori e gli interessi delle classi sociali, delle famiglie e dei singoli elettori.
I comportamenti più ponderati e razionali che alimentavano l’espressione delle preferenze in passato, oggi appaiono sostituiti da scorciatoie di pensiero più approssimative, un atteggiamento che può essere considerato una risposta naturale al crescente, e talvolta confuso, numero di informazioni, spesso contrastanti, trasmesse dai mass media quotidianamente. Così, nella psicologia politica, il pensiero logico lascia il posto a forme decisionali brevi e imprecise, definite “euristiche”, ossia strategie cognitive brevi che vengono messe in atto quando si ha la consapevolezza che mancano importanti dati certi sulla realtà per fare delle valutazioni precise.
In ambito politico il ricorso ad euristiche sembra giustificato da numerosi fattori tra cui:
– gli schieramenti che hanno fatto perdere di vista le radici ideologiche, oggi amalgamate nei due grandi blocchi intrinsecamente eterogenei;
– la frequente astrattezza delle aspirazioni politiche manifestate in complessi dibattiti spesso comunemente incomprensibili o quantomeno generanti confusione e dati contrastanti;
– la sperimentata infedeltà alle promesse fatte in periodo elettorale.
Pertanto, sembra comprensibile che, per far fronte alla difficoltà crescente nel comprendere i programmi politici e alle incertezze rispetto alle promesse sfiduciate dai partiti opposti o dimostratesi inattendibili, vengano messi in atto comportamenti più intuitivi, guidati più spesso da impressioni emotive come simpatia e fiducia o, ancor peggio, dal desiderio di allontanare personaggi che suscitano, più o meno spontaneamente, antipatia, incertezze sul futuro e timori.
Anche in questo settore della vita cresce l’importanza di “ciò che appare”, in una politica che si adatta di conseguenza a produrre “personaggi, piuttosto che a giocare sulle ideologie, sulla necessità di dimostrare competenze, sulle reali capacità dimostrate in un passato e in una storia che viene invece costantemente rimessa in discussione e ricostruita attraverso le narrazioni di leaders sempre più carismatici e seducenti.
Altre ricerche di psicologia politica si sono concentrate sullo studio delle determinanti del comportamento di voto (Caprara G.V., Barbaranelli C., 2000) ed hanno rilevato che il voto viene innanzitutto guidato dalle cosiddette “attese di vantaggi e svantaggi”.
È presente perciò una tendenza secondo la quale il voto è dato ai rappresentanti politici che si ritiene possano produrre i cambiamenti sociali desiderati che risultano essere principalmente la crescita della democrazia, della giustizia sociale, dell’equità fiscale, del lavoro e della stabilità economica. Un altro fattore che influenza l’espressione del voto è la “propensione a non rischiare” che è guidata da una tendenza conservativa degli elettori che, rassicurati dalla conoscenza di alcuni punti certi, sono poco disponibili a mettere a rischio l’equilibrio ambito e spesso percepito come instabile.
Per tali ragioni in ogni elezione esiste un vantaggio dei politici che concorrono per il rinnovo delle cariche piuttosto che di quelli che devono ancora farsi conoscere dagli elettori, un processo che invece deve superare la paura delle novità e deve rispondere al bisogno di rassicurazioni, quasi come se il politico dovesse aspirare a diventare il “padre” di una grande famiglia di figli bisognosi di certezze. Ciò si aggiunge alla naturale tendenza della memoria degli elettori ad essere più sensibile al cosiddetto “effetto recency”, ossia a ricordare meglio eventi accaduti o narrati di recente su cui viene consolidata la propria scelta di voto, malgrado i complessi intrecci della storia narrata durante un governo. La conseguenza è che, come accade nella conversazione telefonica in cui è possibile chiudere una lite lasciando una sensazione positiva finale basata sugli ultimi minuti di comunicazione, è altrettanto possibile chiudere un periodo di governo con memorie positive che potranno guidare alla conferma dello stesso o viceversa chiudere in negativo un lungo periodo positivo. Ciò dipende dall’andamento della campagna elettorale, dagli ultimi eventi politici e dalle capacità di sottolineare i propri pregi e gli altrui difetti dei partiti. Esiste poi un ulteriore fattore che può influenzare l’espressione del voto, costituito dalla “presunta approvazione del voto da parte delle persone importanti”.
In relazione a questo aspetto, la preoccupazione di essere disapprovati da familiari, amici, parenti sembra giocare un peso maggiore sugli elettori di sinistra, mentre quelli di destra sono più centrati sull’approvazione che potrebbero ricevere dai propri cari votando lo schieramento “familiare”, un rinforzo positivo che influenza meno il comportamento rispetto alla possibile “punizione” rappresentata dalla disapprovazione.
E veniamo ai candidati, nello specifico della nostra realtà, a sindaco e al consiglio comunale: In realtà non dobbiamo dimenticare che proprio l’idea del voto di maggioranza è soggetta al processo di alienazione, in altre parole di delega: in questo caso del proprio potere ad un altro. Ma se il votante esprime soltanto la preferenza fra due candidati che si contendono il suo voto, la responsabilità dell’eletto è molto più grande. In campagna elettorale, infatti, egli avrà impostato il suo programma attraverso il confronto con il programma politico del partito che lo ha candidato da un lato, e dall’altro avrà cercato di tenere conto, almeno in una certa misura, si spera, delle esigenze dei suoi elettori. Ne consegue che, se eletto, dovrà rispondere sia all’uno, il partito, che agli altri, gli elettori… e non sempre, come abbiamo sperimentato, sono stati gli elettori ad avere la meglio!
Sembra che si manifesti tra i vari candidati, a vario titolo, una volta eletti, un’insieme di sintomi e segni clinici (quadro sintomatologico) che possono essere dovuti a più malattie od a più eziologie (le cause che provocano i fenomeni), che danno vita ad una “sindrome”. La tipologia di tale sindrome è poco chiara…ma per ironizzare un po’ facendo una ricerca ho trovato interessante un articolo di F. Ortolani, il quale afferma che in relazione a quanto sta accadendo in questi ultimi anni, dal sud al nord dell’Italia, si evidenziano forti anomalie comportamentali negli elettori e nei personaggi eletti ai vari livelli, che lasciano intuire l’emergere di un qualcosa che è nuovo, una sindrome la cui eziologia non è nota: cioè non si sa ancora bene quali siano le cause che le provocano.
Sarà l’attività solare, sarà il cambiamento climatico, sarà l’inquinamento, sarà il cambio generazionale, sarà … il ritorno ad un passato medievale quando imperversavano i signorotti e i loro mercenari… qualche cosa di sicuro sarà!
Pare che gli amministratori ai vari livelli dai quali dipendono le sorti dei cittadini, soffrono della sindrome DAM, acronimo che vuol dire Diversamente Abili Mentalmente; ma non per offendere, sia ben chiaro! ”. Discende dalla ripetuta constatazione che questi “signori” hanno molto spesso seguito e seguono una via illuminata da principi e finalità inconcepibili per noi cittadini normalmente mentalmente dotati. Deve trattarsi di un cammino, visibile solo da menti eccelse, illuminato da visioni che arricchiscono persone scelte e particolarmente dotate tali da poter essere definite “Diversamente Abili Mentalmente” (DAM) da noi comuni cittadini. Il “trota” e la sua prevista carriera come pubblico amministratore si inquadrano, necessariamente, in un contesto di straordinaria concezione della conduzione democratica dello Stato.
Ultimamente dal governo di personaggi DAM eletti si è passati ad un governo di personaggi NAML (Normalmente Abili Mentalmente Lobbydipendenti) non eletti dai cittadini ma imposti direttamente dalle lobby. Queste ultime, ovviamente, non vogliono pagare i danni causati finora dai DAM bipartisan e cercano di scaricarli sulla parte più vulnerabile degli elettori che hanno avuto la responsabilità di eleggere i DAM.
La campagna elettorale dei giorni nostri sta sempre più diventando terreno di studio approfondito dei fenomeni psicologici e sociali e sarà interessante continuare ad osservarli in maniera diretta ed indiretta, per poter costruire, ipotizzare e comprendere di quale sindrome soffrono i nostri amministratori passati e futuri, che se in parte assorbono i criteri precedentemente enunciati, ne manifestano altri che sono peculiari “dell’amministratore agrigentino”, ma questo alla prossima puntata….
Bibliografia
- Caprara G.V., Barbaranelli C., 2000, Capi di governo, telefonini, bagni schiuma, Raffaelo Cortina Editore, Milano.
- Caprara G.V., 20002, Personalizzazione della politica e strategie di scelta degli elettori. Nel segno dei tratti. In Psicologia contemporanea, 172, 4-11.
- Caprara G.V., Barbaranelli C., Zimbardo P., 1999, Personalità profiles and political parties. In Political Psychology, 20, 175-197.
Dott. Irene Grado
Psicologa-Psicoterapeuta della Gestalt
Esperta in Psicodiagnosi Forense
Trainer di psicoprofilassi al parto: metodo Spagnuolo Lobb
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