Quando soffia forte il maestrale l’odore acre e penetrante dello zolfo effuso dalle fumarole della Solfatara giunge fino in città, in questa città di mare e di fuoco, di acqua e di lava, di tufo e di pomice, di terra brulicante di vita. Credo siano quelli i rari momenti in cui sento quello che da tanti viene definito “senso di appartenenza”. Sono anche i momenti in cui mi trovo a chiedermi quanto questa appartenenza, queste radici, siano un bene e quanto siano invece un cancro, fatto dello stesso volatile fuoco di cui si accendono le passioni e la vita, che ti divora le ali costringendoti a restare.
Alba ha sedici anni e sono sedici anni che vive qui, dove è nata, con me che l’ho messa al mondo. Che sono nata qui come lei e da qui non sono mai riuscita ad andarmene.
Quando il vuoto, che è tutto ciò che riesco a trovarmi dentro, che è un vuoto che sa di amaro, di sangue e veleni, di umiliazioni e impotenza, si espande violento fino ad infrangere i limiti fisici di questo mio corpo che lo contiene e come lo zolfo del vulcano dormiente trabocca da ogni singolo poro della mia pelle, avvolgendomi nelle sue spire gli ultimi barlumi di resistenza, io le guardo i piedi e le cerco sulla schiena l’ombra delle scapole.
Lo so bene che né le radici né le ali sono visibili agli occhi e che il loro posto è nel cuore e non sulla pelle, ma questa città se un dono porta a chi ama sono gli occhi che guardano gli occhi, dove solo si vedono i fili sottili che il tempo tesse sulle anime, per costringerle o per liberarle.
So bene anche che le radici non sono fatte di luoghi. Non per me almeno. Che le radici credo di averle nel naso piuttosto che sotto i piedi. Gli odori. Gli odori che per me si son fatti percorsi e ritorni e abitudini e memoria e bisogno ed affetti. E legami. E’ difficile immaginare l’aria che si fa catena. Eppure l’aria è prepotente, invadente, necessaria. Ma anche meschina. Quando invece di aiutarti a volare si fa piombo e ti inchioda.
Il vuoto che oggi mi opprime è pieno di assenze.
Assenze di odori.
L’odore della carta, dei colori, dell’inchiostro sui fogli dei miei disegni. L’odore delle aule affollate, delle strette di mano, delle discussioni serrate, delle vittorie e delle sconfitte da cui si riparte. L’odore dei progetti e dei desideri, delle strade da fare di notte per rubare ore al tempo, per realizzarli. L’assenza del fare è un’assenza predatrice. Si nutre incessantemente e incessantemente fagocita la stessa volontà che si spende per saziarla. Fino a sedarla a ridurla al silenzio, all’abbandono. Di una lotta che peraltro è impossibile. Qui e ora. Dove i giorni sono fatti di inutili attese e porte chiuse, di parole suadenti e inconsistenti proposte, di mani tese per derubarti o aperte per umiliarti.
L’odore della pelle, di un sorriso, di dita a sfiorarmi le dita, di labbra a baciarmi le labbra, di parole a svestirmi, di occhi a frugarmi lo spazio tra le radici e le ali, a chiedermi di liberarmi, a chiedere di liberarli, ad incatenarci. Lui da qui se ne è andato e la sua assenza mi trascina lontano tendendomi quest’involucro vuoto nel nulla fino a straziarlo se nulla può liberarlo. Da altri odori che si son fatti legami.
Guardo i piedi di Alba.
E’ il suo l’odore l’aria che si fa affetto, legame, catena. L’aria che si fa piombo e mi inchioda. In questo luogo di vuoto e di assenza e di vento di maestrale. E’ lei che oggi trattiene le mie radici d’aria e di vento tra le sue. Che già si attorcigliano a miriadi di altri fili tenaci fatti di posti, di luoghi, di mani, di baci, di sguardi, parole, di immagini, di memorie. Di affetti. E’ anche questo questa città. Una incantevole ammaliatrice, dispensatrice di meraviglie per gli occhi assetati di sogno e illusione di un’adolescente. Affamati di sole, di luce, di sorrisi, di carne, di fuoco e di sangue. Alba e i suoi intrecci invisibili che sono già storia, passato e presente e futuro, che io non ho più o non ho mai voluto. Eppure ho avuto fame e sete anche io. E sogni anche. E nessuno ha curato le mie fragili ali come ho fatto io con le sue.
Vorrei illudermi che è il tempo, che cambierà. Che se io camminavo sugli alberi per tenermi lontana dal suolo e lei non ha mai voluto provarci non significa che ha paura del vuoto o che è già convinta di non sapere volare. Che se non si è mai tolta le scarpe sulla sabbia bollente lo ha fatto solo per non bruciarsi, ma lo sa lo stesso che sopra la sabbia, sopra la terra, sul cemento bollente pian piano si affonda e si resta bloccati per sempre. Come nel fango.
Vorrei non fosse il fuoco a bruciare le sue splendide ali. E mentre lo penso so che sto mentendo. Perché è di fuoco e di vita che è fatta perché è dal fuoco che è nata. Molto più di me. Come so che non vorrei fossero il vuoto e l’assenza a chiederle di strapparsi via le radici quando poi è tardi e non hai più le ali per poter volare.
Gli affetti. Che si intrecciano in gomitoli inestricabili ed autogami che si moltiplicano a dismisura. Che siano fatti di aria, di odore o di terra e di luoghi non ha alcuna importanza. Ne basta uno a comporre un intricatissimo ordito che trasforma ogni libero volo in una fuga vigliacca, ogni ardito riscatto in un meschino abbandono, un estremo anelito in una gratuita violenza. L’autodifesa in offesa. La salvezza in perdizione. Perché quel che è peggio è che sai che è giusto così. Che non c’è scelta. E che anche l’aria mette radici.
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Oggi è piovuto a lungo e stanotte c’è un vento leggero. L’odore acre di zolfo che mi tiene legata a una terra che non sento più mia non riesce a raggiungermi. Ma arriva forte l’odore del mare.
Alba dorme e io le guardo i piedi e le cerco sulla schiena l’ombra delle scapole.
Le vedo le fitte radici legate alle mie e le splendide ali che ancora non ha provato ad usare se non nei suoi sogni, come avrò fatto anche io, che so che non riuscirò più ad aprirle.
Mi chiedo se invece di nascere alberi col sogno di essere uccelli, in questa città che non è solo fuoco e lava e tufo e pomice e terra, e non è solo vento di maestrale che porta odore di zolfo e di appartenenza e non è solo aria che mette radici, ma è anche acqua e mare, che immenso e libero percorre il mondo tutto ed il cielo infinito, non sarebbe stato più giusto nascere pesci.
Così ad Alba le cerco le branchie. O un riflesso di luce sopra la pelle.
Ma è solo un attimo. Poi penso a Partenope.
Anche i pesci hanno ali di sogno che bruciano nel fuoco della passione. E muoiono nel vuoto delle assenze.
Mettendo radici.