Era austriaco. Un bravo studente. Raccolto. Serio. Gli piacque raggiungere l’Italia, studiare le pietre sotterranee, spolverare con un pennello particelle di mosaico. Poi incontrò il grande regista. E divenne attore. Possedeva una bellezza che non si raccoglie in un solo sguardo, aveva l’aspetto di quelle persone che richiedono più frequentazioni perchè si possa ricordarne il volto, e il colore degli occhi, mutevole come un paesaggio colto in ore diverse del giorno.
Da prima, da quando la sua bellezza educata, lo aveva fatto notare, aveva annunciato pranzi, consegnato telefoni: i passi semplici di un aspirante attore, con quella corporeità spigolosa degli uomini usciti or ora dall’adolescenza, or ora né uomini né donne, imprecisate divinità.
Così lo incontrò il grande regista. Si il grande regista non navigava in ottime acque, ma era grandissimo, ossessionato, incerto ma non troppo, della sua stessa vita, (non si sarebbe detto).
Il grande regista aveva una nascita e una storia così particolari e scelte estetiche di grande valore. Ed anche l’attore fu dunque una scelta estetica, forse anche umana, di insolito spessore. Lui prese questo ragazzo nella sua vita. Si potrebbe dire che non si faceva grandi illusioni, aveva vissuto ben altre storie d’amore, difficili e nascoste, perse, infernali. L’attore, o quel che sarebbe stato, era tutto nel viso, negli occhi, nell’educato muovere del capo, nella finezza degli studi. L’attore aveva dei colori indefinibili, si avresti detto azzurro, grigio, oro, bianco, ma soprattutto azzurro ed oro, questo gli venne in mente neppure fosse stata la cosa più originale da considerare, appena la sua amica glielo presentò. Era sul set d’un film che aveva pensato come ad un giallo, limpido all’inizio ed oscuro nel finale. Era altresì in una zona del Paese raccolta nelle colline, che a loro volta s’erano fatte meditative, autunnali. Lavorava molto, molto scrutava i volti, i corpi, i movimenti dei suoi attori, per mutare la sceneggiatura, per cucirgliela addosso come un panno. Così dentro le mura della città misteriosa lo studente austriaco si aggirava, e si incontrarono. Così l’attore iniziò la sua carriera. Ed anche il loro amore.
L’attore interpretò spesso personaggi difficili, ambigui. Fu bravissimo nelle mani del grande regista. Il grande regista controllava che nei suoi film ogni oggetto fosse vero, vera l’epoca, veri i volti, gli abiti, la biancheria nei cassetti, i tappeti, la sola irreale magia erano gli occhi del suo amante, che attraversava la scena con quel passo ad un limite dal grottesco, quel passo che in una strada di borgata avrebbe suscitato commenti derisori, sulla scena era il bilico dell’arte, il mistero del cinema che amplifica l’ombra nello sguardo, si introduce nella carne dei volti. Il grande regista amava la bellezza, il lussureggiante richiamo dell’oggetto, amava se stesso, amava raccontarsi, e così la loro coppia, stralunata dalla doppia doppiezza delle loro inclinazioni, non produsse che capolavori. L’attore, viste le scene al rallentatore, riusciva ad essere indifeso, fragile e mostruoso. Non c’erano che i suoi occhi, e tutta la perfezione della sua bellezza a spaccare la scena, a ferire il pubblico. Il grande regista lavorava con tre macchine da presa, campo lungo, medio, primi piani. Lui ti parlava, ti parlava a lungo. E se ti guardava intensamente, non capivi se eri ora suo figlio, o l’uomo della sua vita, o la donna della sua vita, sentiva, l’attore, di incarnare, pur con la sua intatta, purissima bellezza, le più oscure difficoltà del regista. Ecco, l’attore lo rappresentava. E quindi spesso iniziò a fuggire. Si era sempre chiesto cosa sarebbe stata la sua vita senza il grande regista. Era bastato abbandonarsi. Ed ora?
La singolarità del suo aspetto, le tracce di una tenera invereconda infanzia, così confuse nella freddezza crudele dei colori, (un triste, esaltato principe lo aveva reso il grande regista), erano ormai scomparse sotto la gronda del grasso gonfio bevitore.
Era perciò tornato mentre di nuovo l’autunno indorava la valle amorevole, lo scrigno in cui stava nascosta e incantata la città del loro incontro. Certo non gli faceva bene ricordare, gli stimolava la sete, e non aveva più soldi per le droghe. Nessuno più lo cercava, e non era in fondo così romantico come il suo aspetto a volte faceva immaginare. Ma indubbiamente beveva molto per non soffermarsi troppo sulle ultime giornate della loro vita insieme. Il grande regista parlava a stento, ed aveva bisogno di ogni cosa. E lui non era pronto per un grande dolore. Oggi cadono le foglie, e la valle è un tappeto dorato. Alla notte il cielo ruota le sue stelle. Lui si siede ai margini delle mura, in petto alla valle, e beve. A volte impreca. Quale miglior fine, al centro della scena.