Quell’ora sempre mi inteneriva. Nell’attesa, dopo aver riposto il pane e indossato la mia tunica più leggera, ero uscita in giardino, e dal giardino al prato, ed inoltrata nella foresta che avvolgeva la nostra casa.
Tutti amavano il mio sposo, ed egli amava me. Ed io ero felice, e lo attendevo. Ma quel giorno mi inoltrai. E la luce penetrava a stento tra i rami altissimi degli alberi coronati, fitti e vari, mentre le voci della foresta che solo il mio sposo sapeva rievocare, non mi davano tregua. Ero a piedi nudi, e il caldo soffocante aggrediva la vegetazione come un fuoco invisibile. Ma il corpo della boscaglia era fresco e riposato come il mio spirito quando Orfeo intona le sue melodie ed anche la foresta tace e il suo cuore sacro arde.
A volte debbo ricordare il mio nome. Negli angoli segreti della casa, mi ritiro per sussurrarlo e a volte negli specchi d’acqua, riflettendomi,mi chiamo. Orfeo per me non ha che accenti d’amore, ed il mio nome sulle sue labbra è ultraterreno. Allora provo, mi sgrido con toni duri e aspri: Euridice! Mi ricolmo di buoni ragionamenti, perché non mi tramuti in colomba, così come appassionato mi traduce Orfeo.
E così raggiunsi il luogo. E l’uomo mi attendeva. Doveva avermi vista, quando sfuggivo al calore del mezzogiorno nell’antro divino del bosco profumato, tra vapori riscaldati dal passaggio delle cerve, nei muschi spaccati dalle fungaie. Mi chiuse nella cavità di un albero tanto che ne sentii il respiro, ne indovinai le intenzioni. Semmai avesse potuto fuggire la colomba di Orfeo, ma rimase la triste Euridice, l’anima segnata. Rimasi, come se la mia fuga non fosse mai iniziata, e l’ultimo respiro lo raccolse l’uomo. Il serpe fuggì sconvolto di paura, e la mia anima sprofondò.
Ed ora sono su questa strada di polvere e nebbia, e rivedo la nuca di Orfeo, riconosco i suoi sandali, e sento appena il tocco della sua mano che tiene la mia, e sembra mi trascini incerto. Come se quell’ora non fosse mai avvenuta, ed io in casa riponevo il pane e poi mi rintanavo nel mio letto, accanto al corpo di Orfeo. Cerco di trattenerlo, affinché mi parli, mi dica che ho infranto la perfezione della nostra vita. Ecco affretta il passo, intorno non c’è che caliginosa rassegnazione.
Riconosco di non avere speranza. Troppo tempo una prigione mi ha stretto. Allora credo di fermarmi, di trattenere il suo passo, ma lui continua ed io gli sono dietro senza peso e senza sostanza. E se provo a parlare l’aria non si muove, neppure si increspa questo lago cinerino in cui sono avvolta, senza pensieri che non siano simili a lane sfilacciate. Ho avuto nostalgia della tua voce? Sei il continuo turbamento in cui mi aggiro, la tua presenza stessa ora mi confonde. Parlami.
Qualcuno ti costringe a riprendermi. La pietà? Tu non sai cosa sia. La tua spietata felicità e la tua arte mi hanno cancellata. Che pure tu ti arrabbi, che pure tu mi afferri, ma guardami in volto. Che tu veda infine la vera Euridice. Io sento mentre passo le mani sul mio volto, la stanchezza stessa delle congetture. Perché mi hai lasciata qui, in un deserto nero. Solo ho sentito appena ieri, il suono della tua musica.Ed ora saliamo, tu dici, saliamo, ora tu parli, non chiedermi nulla Euridice, si ora io ti sento, tu dici ancora mia speranza, tu dici ancora le parole della nostra vita, tu Orfeo, mi ricordi che ho perso la vita. Allora è così, noi siamo separati per sempre? Non sai che trascini un’ombra piegata? Fermati. Guardami. Se io ho in te un po’ di fede debbo seguirti? E dove debbo seguirti mai? Ora rivedo le sere del tramonto, dove la ruggine del giorno si depositava all’orizzonte, e la tua voce appena rievocava, in un canto sommesso, la delizia della vita. Io ti ho amato Orfeo. Piangi? Sei in ginocchio?Io ti ho amato Orfeo, e credevo di chiudere sempre gli occhi in eterno mentre guardavo il tuo viso, ed invece non c’era che verde. Non porto che questo negli occhi, il verde della foresta, il sibilo del serpente. Se potessi girarti verso di me ed io rivedere il tuo volto, se tu dovessi per sbaglio lasciarmi la mano adesso, nel viaggio di ritorno ti terrei per sempre. Ora hai il volto a terra. Guardami Orfeo. Non c’è speranza se non in questo, credimi, che per sempre ci si possa riconoscere.