Sembra sia diventato il giallo di fine estate. Da quando si è sparsa la notizia che il gruppo hacker Anonymous attaccherà Facebook il prossimo 5 novembre, sono in molti a chiedersi se il comunicato e il video caricato su Youtube, siano realmente da attribuire al famoso gruppo di hacker che hanno dichiarato guerra a tutti quei governi e aziende che utilizzano la censura o spiano i navigatori della rete, per fini politici o commerciali.
Alla base dell’attacco, l’opinione degli hacker, i quali ritengono che Facebook venda ad autorità e società di sicurezza tutte le informazioni personali acquisite grazie a commenti e messaggi che gli utenti del social network scambiano tra loro.
Potrebbe dunque rientrare tra quelli che sono i target di volta in volta individuati dagli hacker.
Eppure, secondo quanto riportato da alcuni media, sulla bacheca Twitter di Anonops, le operazioni di Anonymous, ci sarebbero messaggi contrastanti, che lascerebbero supporre si possa trattare di falsi proclami d’attacco, tant’è, che secondo quanto riportato dalla stampa, “non c’è da nessuna parte su Twitter o altrove un link “ufficiale” al video di FacebookOp, realizzato peraltro con uno standard qualitativo inferiore a quello tipico di Anonymous.”
In un articolo pubblicato da Repubblica, viene individuata “la stranezza principale: un attacco hacker non viene mai annunciato. In questo caso invece ci sarebbe addirittura una data comunicata con mesi d’anticipo. Ci sarebbe tutto il tempo necessario per il destinatario per verificare e rafforzare le difese. A meno che non ci sia una quinta colonna hacker all’interno del social network.”
Ad onor del vero, il fatto che l’attacco hacker venga annunciato, a noi non sembrerebbe affatto strano. Infatti, già in passato i target erano stati annunciati con parecchio anticipo.
Tanto per citare qualche esempio: Paypal.com/it (Operation Payback, per aver bloccato i canali finanziamenti di Wikileaks); Visa.com/it; Mastercard.com/it; SwissPost (per la chiusura del conto wikileaks); Amazon.com/it (per aver bloccato il canale sovvenzioni); Aklgare.se (Procura Svedese); advbyra.se Né potrebbe meravigliarci, visto che il 7 maggio 2011- tanto per citare un caso del quale siamo involontari testimoni-, sulle pagine di questo giornale, in un articolo dal titolo “Nuova Resistenza Globale – Le Op e le rivoluzioni”, riportavamo un messaggio del dicembre 2010:
“Ciao a tutti – iniziava il messaggio in inglese -, ho una domanda da fare. Come tutti probabilmente sanno, anche in Siria la gente vuole libertà e spera nella caduta del regime di Assad. La mia domanda è: sareste in grado di sostenerci in anticipo? Quello che voglio dire è questo: la gente sta organizzando una manifestazione per una data speciale. Possiamo esser certi che Assad taglierebbe immediatamente ogni accesso alla rete…. vedete – con le vostre possibilità, competenze e risorse – avete possibilità di evitare che ciò avvenga? A mio parere il leader siriano è molto più pericoloso per la gente del posto di qualsiasi altro dittatore. Quest’uomo non è un pazzo e non cederà mai il suo potere. Ci sarebbe una possibilità per esempio di tagliare la catena di comando tecnico del regime di Assad poco prima / dopo che iniziano le manifestazioni? E se c’è una possibilità … vi sentite di fare questo per aiutare le persone in Siria? Oppure avete altre idee tecniche per sostenerli?”.
Il messaggio era chiaro e la risposta non tardò ad arrivare:
“RE: Operazione Siria? Perché no. Ecco alcuni passi sulle modalità di preparazione…(seguivano le indicazioni di quelli che vengono definiti come “strumenti per la rivoluzione”). Normalmente, supportiamo i movimenti in corso da parte del popolo. In Siria è pericoloso e penso che sarà necessaria una maggiore preparazione. Vi aiuteremo al più presto con un primo orientamento. Se si desidera avviare una rivoluzione che non è ancora iniziata, è necessario disporre di un piano che ci permetta di capire cosa possiamo fare per voi.”
Il contatto era creato e si spostava su altre vie.
Chi erano i due interlocutori? Da una parte, un futuro ribelle che chiedeva aiuto tecnologico per far sì che la rivolta non morisse nella repressione del governo e nel silenzio dei media, dall’altra, un anonymous, uno dei tanti protagonisti di una cyber guerra, nella quale entrano in gioco organizzazioni che si pongono come obiettivo primario e strategico la difesa della libertà d’informazione, della democrazia, di siti come Wikileaks e di persone come il suo fondatore, Julian Assange, contro l’autoritarismo dei governi e lo strapotere delle multinazionali.
Chiunque avesse seguito l’evolversi della vicenda, si sarebbe accorto di come dalla prima richiesta (dicembre 2010) all’attacco di Anonymous contro il sito del Ministero della Difesa del paese mediorientale, siano trascorsi ben 8 mesi, durante i quali si è passati dall’Operation virtuale sui social network, alla rivolta armata e a quella tecnologica.
Prima dell’8 agosto 2011 – quando Repubblica dà la notizia dell’attacco al sito del Ministero siriano (clicca qui) – l’attacco era stato annunciato e costruito anche sui social network come Facebook, che si sono rivelati fondamentali nella cyber-guerra, così come nelle rivolte armate.
Non ci vuole del resto molto a comprendere come se un attacco non fosse pubblicato tempo prima, il popolo di Anonymous non sarebbe così numeroso e pronto a colpire nello stesso momento, con il risultato che l’operazione rischierebbe di fallire miseramente.
Più che l’anticipazione vista da alcuni come “stranezza principale”, il dubbio sulle reali intenzioni degli hacker, sul numero di quanti interverranno e sulle modalità d’esecuzione dell’attacco stesso (Ddos o qualcosa di più serio), potrebbe nascere dall’utilità di Fb, nella conduzione delle tante rivolte e proteste allo stato in atto in vari paesi del mondo, a partire da quelli magrebini, al Cile, alla Spagna, delle riots in Inghilterra.
È infatti su questo punto, che si è aperto un dibattito interno al gruppo, che se da una parte si trova d’accordo sul fatto di colpire Facebook perché tratta i dati per scopi definiti “vergognosi”, dall’altro, si rende conto della necessità del social network per supportare molte manifestazioni che senza questo strumento rischierebbero di fallire.
Probabilmente, il 5 novembre, assisteremo ad un’azione dimostrativa che non “ucciderà Facebook” – così come annunciato -, ma si limiterà a causare danni che seppur riparabili dovrebbero indurre gli amministratori del sito a cambiare la loro politica in merito al “trattamento dei dati”.
Un giallo, il cui finale lo conosceremo soltanto il 5 novembre.
Gian J. Morici