I Paesi europei appoggiano il governo del Kosovo senza tuttavia badare al fatto che esso è costituito da boss della mafia. Questo il duro giudizio espresso a Mosca, alla vigilia del terzo anniversario dell’indipendenza proclamata a Pristina, da Pino Arlacchi, l’eurodeputato del gruppo socialista ex responsabile dell’ONU per la lotta al traffico di stupefacenti e alla criminalità organizzata.
Arlacchi, ha sottolineato che il Kosovo è il centro della criminalità organizzata in Europa ed è il crocevia del traffico di eroina che arriva dall’Afghanistan.
Per questo, ha sottolineato, l’Europarlamento auspica una lotta più dura e determinata al crimine organizzato nel piccolo paese balcanico, che è un importante centro per il contrabbando di eroina proveniente dall’Afghanistan.
Arlacchi ha poi aggiunto che le azioni intraprese da magistrati e inquirenti nella lotta al crimine kosovaro hanno prodotto ad oggi scarsi risultati.
Il 25 gennaio, il Consiglio d’Europa, ha approvato a larghissima maggioranza la relazione del senatore svizzero Dick Marty , il quale aveva denunciato un vasto traffico di organi (espiantati a prigionieri serbi), che vede coinvolti i combattenti separatisti albanesi del Kosovo ed in particolar modo la sezione Drenica del “Kosovo Liberation Army (KLA), guidata ai tempi dall’attuale Presidente, Hashim Thaci.
La maggior parte dei presunti reati, sarebbero stati commessi in territorio albanese, dove l’UCK avrebbe operato all’interno dei campi di prigionia.
Le autorità albanesi finora si sono rifiutate di collaborare con gli investigatori.
Lo stesso ex Procuratore Capo dell’ICTY Carla del Ponte, aveva lamentato che a seguito di un vuoto giuridico, non era stato possibile proseguire le indagini in Albania.
Non esiste infatti alcuna autorità giudiziaria in grado di avviare una indagine penale sul traffico di organi nel paese. Proprio a causa di questo vuoto giuridico il Consiglio d’Europa ha incaricato il senatore Marty a stilare la sua relazione, nella speranza di stimolare una sorta di procedura legale.
Tuttavia, come tutte le strutture del protettorato internazionale istituito per costruire l’indipendenza del Kosovo, l’EULEX ha paura di suscitare l’ira degli albanesi kosovari e ha grande difficoltà nel trovare una qualsivoglia forma di cooperazione con le autorità locali.
Grazie ad una copertura mediatica ben orchestrata, in mancanza di un’opinione pubblica informata che pretenda chiarezza e giustizia, i governi occidentali stanno avendo gioco facile nell’evitare di affrontare un tema tanto scottante, che vede coinvolto il Presidente del Kosovo Hashim Thaci.
Se da un lato la Commissione per i Diritti Umani ha chiesto l’intervento di procuratore europeo indipendente per perseguire il caso, dall’altro, i governi degli Stati membri preferiscono tacere ed ignorare le richieste, rendendosi così di fatto complici degli eventuali crimini commessi nei Balcani all’epoca della guerra del Kosovo ed anche di quelli eventualmente commessi oggi.
Quale che fosse la realtà nei Balcani all’epoca della guerra – e anticipando ciò che sta accadendo oggi – l’aveva ben descritta Antonio Evangelista, Vice Questore Aggiunto e Capo della squadra mobile di Asti, nonchè ex comandante del contingente italiano presso la missione ONU in Kosovo (UNMIK) e autore del libro “La torre dei crani”.
La prefazione al libro, scritta da Pino Arlacchi, una delle massime autorità in tema di sicurezza umana, è quanto mai utile per comprendere cosa accade quando una guerra sbagliata rischia di regalare l’immunità diplomatica a delinquenti che finiscono con il rappresentare uno Stato criminale.
Il libro-documento testimonia infatti da un punto di vista neutrale quanto è realmente avvenuto nel Kosovo, anticipando gli sviluppi a livello internazionale di una guerra che ha prodotto piú danni di quelli preesistenti, favorendo miseria e criminalità e legittimando una classe dirigente corrotta e legata a doppio filo con la mafia, smascherando e mettendo a nudo le responsabilità internazionali in un conflitto del quale non si è parlato abbastanza e che presenta ancora molti risvolti oscuri.
Un’importante testimonianza quella di Evangelista, anche per gli spunti che il suo libro – specie alla luce di recenti rivelazioni che gettano molte ombre sull’operato di governi impegnati sul fronte della “guerra al terrorismo” – può fornire a nuove chiavi di lettura su una guerra che, definita “giusta”, non andava fatta.
“Se non si spezza il cerchio di potere politico-mafioso che domina quella provincia – scriveva Arlacchi nella sua prefazione -, dalla sua indipendenza non potrà venire nulla di diverso che l’instaurazione di uno Stato criminale vicino al centro dell’Europa.”
Ma evidentemente la presenza dello “Stato criminale” trova nei governi europei dei validi alleati, o quantomeno i Ponzio Pilato della situazione, che potrebbero far sì che la relazione Marty resti lettera morta e sia destinata ad essere cestinata come se nulla fosse mai accaduto.
Nonostante lo strabismo dei governi europei che sembrano non accorgersi di quanto è accaduto in Kosovo, la London Review of Books ha scelto di pubblicare una recensione di cinque pagine sul Rapporto Marty, scritte Geoffrey Nice, che come procuratore aggiunto presso il Tribunale penale internazionale per l’ex Iugoslavia (ICTY ) a L’Aia, rappresentò uno dei maggiori accusatori del presidente jugoslavo Slobodan Milosevic.
L’operato della procura fu quello di addebitare a Milosevic tutta la responsabilità delle guerre civili che laceravano la Jugoslavia.
La morte di Milosevic prima che potesse presentare la sua difesa, chiuse il capitolo sulle responsabilità dei crimini di guerra commessi durante quel periodo, risparmiando ai giudici il compito di trovare la scusa per condannarlo.
Cavallo di battaglia di Geoffrey per screditare Marty e quindi insabbiare archiviandolo il rapporto, il testimone “K144”, che secondo Geoffrey sarebbe il perno principale delle accuse di Marty e che in realtà, oltre a non esistere, rappresenterebbe la propaganda mediatica serba.
Marty si rifiuta di rivelare i nomi dei testimoni, fin quando agli stessi non venga assicurato un adeguato programma di protezione testimoni.
Una cautela più che necessaria, considerato il record di intimidazione dei testimoni e persino di omicidi di rivali di Thaci.
Il ‘tocco’ da maestro di Geoffrey Nice, sta nel concludere affermando che le accuse contro Thaci vanno affrontate semplicemente perché fanno una cattiva impressione, paragonando Thaci a Djukanovic, presidente del Montenegro, accusato dalle autorità italiane di contrabbando di sigarette su larga scala. “Il Montenegro, come il Kosovo, può essere facilmente essere etichettato come uno stato criminale, e come il Kosovo, cerca l’adesione all’Unione europea”
Un paragone quello di Geoffrey , anzichè dimostrarsi un buon cavallo di battaglia per la difesa di Thaci, potrebbe rappresentare un punto a favore dell’accusa.
Avevamo già scritto delle pericolose relazioni internazionali del nostro premier, prima ancora che ci arrivasse da WikiLeaks la conferma di come le stesse venissero viste dal governo americano.
Quello che alla luce degli ultimi fatti torna ad essere di grande attualità, è la strana alleanza che ha visto Berlusconi sponsorizzare l’ingresso del Montenegro nell’Unione Europea.
Il 4 gennaio, 2001, Dusanka Pesic Jeknic, rappresentante della missione commerciale del Montenegro a Milano, in Italia, parlava al telefono nella sua casa nel sud-ovest della città, con Milo Djukanovic, che a quel tempo era presidente del Montenegro ed è oggi ancora l’attuale Primo Ministro del piccolo Stato balcanico.
Un potere ventennale che inizia quando si avvicina ad esponenti “liberali” della Lega dei Comunisti, poi mutata in Partito Democratico Socialista (DPS).
Durante la guerra in ex Jugoslavia, l’attuale Primo Ministro montenegrino supporta le potenze occidentali offrendo rifugio agli oppositori di Milosevic.
Inutile dire che non si fa niente per niente e così in cambio dei favori ricevuti, la comunità internazionale fa finta di non vedere i traffici nei quali è coinvolto l’alleato.
Traffici, come quello del contrabbando, che portano Djukanovic ad intrattenere rapporti anche con organizzazioni criminali come Sacra Corona Unita e Camorra.
Le procure di Napoli e Bari, iscrivono al registro degli indagati un nome eccellente: Milo Djukanovic!
Le accuse nei confronti del cinque volte premier montenegrino, vengono poi archiviate per difetto di giurisdizione poiché Djukanovic gode dell’immunità diplomatica riservata ai capi di Stato, di governo e ai ministri degli Esteri degli Stati sovrani.
4 gennaio, 2001, la bellissima Dusanka, soprannominata “Duska”, da Milano parlava con Milo Djukanovic.
“Il mio piccolo gattino … divento pazza senza di te…. Ti amo, gattino mio “.
Argomento della conversazione l’Amore.
Ma solo di amore parlava la bella “Duska” con il suo ‘gattino‘ (premier del Montenegro)?
No. Le trascrizioni delle sue telefonate, registrate dalla polizia italiana per 20 mesi, narrano di contrabbando e criminalità ed entrano a far parte delle centinaia di migliaia di documenti depositati dal procuratore della Repubblica di Bari.
Una lunga inchiesta su Djukanovic, Jeknic, e altri sei montenegrini e serbi e sette italiani presumibilmente legati alla criminalità organizzata. Le accuse a carico del gruppo, oltre gli altri reati, sono di associazione a delinquere di stampo mafioso finalizzato al contrabbando di sigarette.
Il faldone di 409 pagine di relazioni della DIA, dell’inchiesta su una delle più grandi operazioni di contrabbando negli ultimi anni, arricchita da casi di corruzione, testimoni assassinati, e un miliardo di dollari in contanti riciclato attraverso banche svizzere,.grazie all’immunità diplomatica di Djukanovic, diventa ben presto solo carta straccia.
Alleato e sostenitore in Europa di Djukanovic, il premier italiano Silvio Berlusconi, che lo ha anche lodato nel corso di una visita di Stato a Podgorica.
Secondo l’accusa italiana, dal 1994 al 2002, durante la lunga permanenza in carica di Djukanovic, il Montenegro è stata la base per il contrabbando di sigarette in Italia, con un volume di affari stimato in miliardi di vecchie lire ogni mese.
Le accuse, riguardavano inizialmente 15 persone. Tra questi: Djukanovic; Dusanka Jeknic, un ex ministro delle Finanze del Montenegro; dirigenti della società montenegrina MTT, presumibilmente istituita per controllare il contrabbando; un mafioso italiano e un uomo d’affari serbo. Nel mese di marzo 2009, i pubblici ministeri hanno dovuto rilevare che Djukanovic era protetto da immunità diplomatica.
Il giudice Rosa Calia Di Pinto, riteneva che la storia di questa “guerra mafia” si estendesse in 10 paesi: non solo l’Italia e il Montenegro, ma anche la Serbia, Croazia, Grecia, Germania, Svizzera, Cipro, Paesi Bassi, Liechtenstein, Aruba, e gli Stati Uniti.. Due testimoni chiave e altre cinque persone coinvolte nel caso erano già state assassinate.
In Svizzera intanto veniva avviata una seconda indagine sulla Montenegro connection.
Secondo le autorità elvetiche, dal 1990 fino al 2001-più di 1 miliardo di US $ provenienti dal contrabbando di tabacco sono stati riciclati dalla criminalità organizzata italiana. La mafia avrebbe pulito il suo denaro sporco dal Montenegro attraverso i broker e cambiavalute sede a Lugano, Svizzera, e lo avrebbe depositato in banche svizzere.
Numeri da capogiro quelli del contrabbando, se come scrive Ratko Knezevic nella sua tesi per la London Business School, il governo montenegrino guadagnava fino a $ 700 milioni l’anno con il commercio illegale di sigarette.
Knezevic, va precisato che fin da ragazzo è stato amico di Djukanovic e gli ha fatto anche da testimone di nozze.
Gli investigatori italiani che hanno seguito la pista del denaro della ” Montenegro connection”, si chiedono ancora dove siano finiti i soldi, chi li ha movimentati, chi li ha riciclati, chi li possiede adesso.
Un fiume di denaro entrato nelle tasche dei trafficanti di esseri umani, dei contrabbandieri, dei trafficanti di stupefacenti, al quale nessuno potrà risalire.
Ma non soltanto di traffici si parla nella vicenda montenegrina.
Infatti, uno degli aspetti più importanti, è quello del riciclaggio di qualcosa come 2 milioni di dollari ogni settimana.
I giudici della Svizzera italiana, sono concordi nell‘affermare che “fondi della Camorra e Sacra Corona Unita sono stati infiltrati nel sistema bancario svizzero tramite cambiavalute. Il denaro ha attraversato la frontiera in Svizzera tramite corrieri che hanno trasportato enormi quantità di denaro contante. A Lugano, i fondi della mafia sono stati depositati in conti bancari di persone fisiche e di società di intermediazione …. Grazie alle licenze esclusive e la raccolta di tasse di transito sul contrabbando di sigarette, i governanti del Montenegro hanno avuto la possibilità di ottenere profitti dal traffico illecito di sigarette …. A partire dai primi anni 1990 fino agli inizi del 2001, quasi l’intero flusso di fondi derivanti dal contrabbando di sigarette del Montenegro, erano gestiti dalla camorra e dalla Sacra Corona Unita, attraverso il mercato finanziario svizzero. Durante questo periodo, più di un miliardo di dollari sono stati riciclati “.
La rivista croato Nacional, pubblicò un’intervista con Sretko Kestner, un operatore locale del tabacco..
Kestner è un ex partner di Subotić, l’uomo dietro al denaro trasferito in aereo a Cipro dal Montenegro, e sapeva molto. C’è Djukanovic- ha detto al mondo- dietro il traffico di sigarette attraverso gli amministratori del MTT in Montenegro. Quando gli investigatori della DIA cercarono Jeknic nell’appartamento di Milano nel luglio 2003. Jeknic era fuggito temendo il peggio.
Ma lasciò una miniera d’oro: agende personali, appunti, libri e rubriche telefoniche con i numeri di Milo Djukanovic, di suo fratello, e di un certo “Cane”, presumibilmente il soprannome di Stanko Subotić. Inoltre, tra le note: i codici di due aerei utilizzati per portare i contanti a Cipro, un numero di telefono e il nome di un corriere greco.
Per comprendere meglio quanto accade oggi e ciò che ha scritto Arlacchi nella prefazione al libro di Antonio Evangelista, su come grazie alla comunità internazionale gruppi criminali possono oggi godere di immunità diplomatica, è necessario conoscere la scia di sangue della “Montenegro connection”, non dimenticando che Geoffrey nel tentativo di difendere Thaci e screditare Marty, paragona il primo a Djukanovic.
C’è da chiedersi se Geoffrey conosce il faldone di 409 pagine di relazioni della DIA.
Probabilmente no, altrimenti non avrebbe impostato a questo modo la difesa a spada tratta di Thaci.
La scia di sangue della “Montenegro Connection”:
– Goran Zugic, consulente di sicurezza dell’allora Presidente Djukanovic, è stato ucciso il 31 maggio 2000.
– Vladimir Bokan. Un uomo d’affari serbo assassinato ad Atene il 7 Ottobre, 2000. Durante il 1980, erano di proprietà di Bokan alcuni negozi al dettaglio, compresa una boutique di Belgrado dove “Cane” Subotić era stato un sarto prima di diventare un perno del contrabbando e di lavorare per Djukanovic. Secondo gli inquirenti italiani, Bokan era stato legato al contrabbando di tabacco in Montenegro.
– Darko Raspopovic. Anziano membro della direzione della polizia del Montenegro. Raspopovic è stato ucciso l’8 – 1 – 2001, a Podgorica. Aveva eseguito indagini sulla criminalità dei colletti bianchi e nel 2000 aveva già rischiato di essere ucciso quando una bomba aveva fatto esplodere la sua auto.
– Baja Sekulic. L’ex guardia del corpo e aiutante di “Cane” Subotić, è stato assassinato il 30 maggio 2001, a Budva, Montenegro, sulla costa adriatica.
– Orazio Porro, , assassinato il 25 marzo 2009. Porro, arrestato nel 1998 in Montenegro dove era stato uno dei capi del traffico di sigarette, era diventato un informatore e per un certo tempo è stato inserito in un programma di protezione dei testimoni.
– Zugic, Bokan, Raspopovic, Sekulic sono stati citati nelle indagini di Bari, ma non sono mai stati convocati. Il caso è diverso per altri due testimoni chiave assassinati, entrambi giornalisti:
– Dusko Jovanovic. Editore di Dan, un quotidiano montenegrino pro-Milosevic, è stato ucciso il 27 maggio 2004, mentre era nella sua Peugeot 406. Il suo giornale aveva riportato storie prima della rivista settimanale croato Nacional.. Attraverso i suoi inquirenti, Scelsi avvicinò Jovanovic e gli chiese se avresse fornito una testimonianza nell’inchiesta italiana. Jovanovic accettò, ma non arrivò mai a Bari.
– Ivo Pukanic. Editore del Nacional, è stato interrogato da Scelsi il 18 luglio 2002. Ma “Puki”, il suo soprannome, non potrà mai testimoniare. È stato assassinato il 23 Ottobre, 2008. Ucciso da un’auto-bomba a Zagabria, vicino gli uffici del Nacional.
Se i governi occidentali sono intransigenti quando si parla di diritti umani che vengono calpestati da tribù in lotta tra loro negli angoli più nascosti del pianeta, altrettanto non può dirsi in quei casi dove al centro delle vicende compaiono i nomi di alleati dei quali si è stati ‘complici’ o di soggetti che a vario titolo hanno favorito i traffici illeciti dei potenti di questa cara e vecchia Europa, culla di cultura e civiltà.
Gian J. Morici
(nell’immagine, a sinistra Thaci e a destra Djukanovic)