Cosa hanno in comune Vincenzo Calcara, il pentito che ha sempre affermato di aver tentato di salvare la vita al Giudice Paolo Borsellino, e l’aspirante romanziere Daniele Ughetto Piampaschet, autore del romanzo “La rosa e il leone”? Apparentemente nulla, se non la pubblicazione di due libri. Il romanzo di Piampaschet, “La rosa e il leone”, e i memoriali di Calcara, pubblicati dapprima su diversi siti e poi in un libro dal titolo “Dai memoriali di Vincenzo Calcara. Le cinque entità rivelate a Paolo Borsellino”.
Piampaschet,a seguito della pubblicazione del suo romanzo, nel quale l’autore aveva descritto l’uccisione di una giovane donna sul greto del Po, è stato accusato dell’omicidio di una giovane prostituta nigeriana, sua amica, il cui cadavere è stato rinvenuto nel febbraio 2012, nelle medesime circostanze narrate nel libro, portando l’autore nelle aule giudiziarie dove ancora si svolge il processo, dopo che nell’ottobre 2016, la prima sezione penale della Cassazione ha disposto l’annullamento con rinvio della sentenza della Corte d’Assise d’Appello di Torino, che il 30 giugno 2015 l’aveva condannato a 25 anni e mezzo per omicidio volontario. In primo grado, l’aspirante romanziere, che si è sempre detto innocente, era stato assolto.
Calcara, invece, nel suo libro, “Dai memoriali di Vincenzo Calcara. Le cinque entità rivelate a Paolo Borsellino”, narra di un delitto commesso a Latina. Un omicidio a cui, tra gli altri, avrebbero assistito Giulio Andreotti e il vescovo Marcinkus.
“Avevo la stramaledetta sensazione che da lì a pochi istanti la stanza si sarebbe trasformata in un mattatoio – si legge nei memoriali di Calcara – In quel preciso momento il sequestrato sparò il primo colpo in direzione del Politico (Giulio Andreotti –ndr) . Saltarono piatti e bicchieri sul pavimento, mentre tutti si gettarono disperatamente a terra cercando di ripararsi da quella raffica impazzita di pallottole. Nel terrore generale l’uomo cercò di raggiungere una via di fuga ma non vi riuscì perché era circondato da tutte le parti (…) con tre colpi in rapida successione uccisi quell’uomo, che prima di morire era comunque riuscito a sparare un altro colpo di pistola, andato tuttavia a vuoto. Quando fu tutto finito, presi la semiautomatica del morto e la consegnai nelle mani del mio Capo Assoluto Messina Denaro Francesco, che mi fece una carezza, e dandomi poi un buffetto affettuoso sulle guance mi disse: “Bravo” evidentemente gli piacque vedermi uccidere un uomo.”
Non si tratta di un romanzo, sono i memoriali di Calcara, un collaboratore di giustizia giudicato “attendibile” in molti processi, che ricorda minuziosamente l’omicidio commesso, ribadendo come corrisponda ad assoluta Verità, rispetto la quale non prova alcun pentimento, visto che a suo dire si sarebbe trattato quasi di una sorta di legittima difesa.
Pentimento o meno, un omicidio è pur sempre un omicidio e non v’è dubbio che Calcara, avendo partecipato al sequestro di più persone e avendone uccisa una, doveva essere chiamato a risponderne dinanzi la giustizia. Strano ma vero, per stessa ammissione del pentito, nonostante i suoi memoriali siano stati presentati anche alla presenza di magistrati, Vincenzo Calcara non solo non ha riportato alcuna condanna per quell’omicidio, ma non è neppure stato indagato.
Ma non è questa l’unica stranezza, visto che Calcara nei suoi memoriali narra di un altro episodio che merita certamente di essere approfondito.
Lui, l’uomo che avrebbe tentato di tutto per salvare la vita a Paolo Borsellino, racconta di come partecipò al trasporto del tritolo destinato al Giudice e di come ne avesse consapevolezza:
“Dopo aver scaricato il camion ci intrattenemmo un po’ a chiacchierare, come d’abitudine. Lasciammo la coca e caricammo le armi di fabbricazione cinese, che servivano alla famiglia di Castello per preparare un attentato eccellente.
Fui incuriosito dalla presenza di una cassa enorme: alta un metro e mezzo e larga almeno un metro. Ci dissero di caricarla facendo estrema cautela e la cosa destò in me un dubbio che presto si trasformò in certezza, ovvero che la fantomatica cassa fosse piena di esplosivo.
Chi era il bersaglio?
La risposta era oramai abbastanza chiara: il tritolo avrebbe dovuto uccidere quel maledetto giudice che stava procedendo troppo spedito in direzione della Mafia; quel Borsalino che voleva annientare la Piovra dalla radice.
L’esplosivo era un regaluccio per lui!”
Per quel “regaluccio per lui”, il tritolo per il Giudice Borsellino, Calcara è mai stato processato? Ne parlò con Borsellino nel ’91, quando iniziò a collaborare con la giustizia, o preferì tacerne, come fece di Matteo Messina Denaro, del quale all’epoca preferì non fare il nome, nonostante lo stesso, come risulta dal processo in corso a Caltanissetta, proprio nel ’91, prima che Calcara si pentisse, a Castelvetrano partecipava a incontri nel corso dei quali venivano pianificate le stragi dell’anno successivo, in danno dei Giudici Falcone e Borsellino e delle loro scorte?
Calcara di recente ha sostenuto di non aver insistito nel fare il nome di Matteo Messina Denaro, poiché tre procure siciliane “insabbiavano” le indagini. Accadde la stessa cosa per il sequestro di persona, l’omicidio per fatti di mafia e per il ruolo nel trasporto dell’esplosivo da usare per l’attentato al Giudice Paolo Borsellino, come dichiarato nei memoriali?
Piampaschet, per il suo romanzo “La rosa e il leone”, nonostante fosse stato assolto in primo grado per l’omicidio della giovane prostituta nigeriana, sua amica, si ritrova ancora oggi ad affrontare un processo che potrebbe portarlo a trascorrere oltre 25 anni in un carcere; Calcara, nonostante abbia affermato di essersi reso responsabile di sequestro di persona, omicidio e concorso in strage, pare che non sia mai stato neppure indagato per questi fatti.
Ci sarà pure un giudice a Berlino? Staremo a vedere. Quel che è certo, che anche volendo, d’ora in avanti nessuno potrà far finta di non sapere…
Calcara: Trasportai io il tritolo per Borsellino…
Gian J. Morici
Ma in effetti Calcara ha personalmente insistito per essere ascoltato nei processi, ma nessuno l’ha mai chiamato a testimoniare. Questo vuol dire o che non l’hanno preso seriamente, o che la sua versione si avvicina troppo alla verità più profonda sulle stragi. Certo, ha ammesso di avere ammazzato una persona e di avere portato il tritolo per Borsellino, ma innanzitutto non è sua la colpa se non vengono i carabinieri ad arrestarlo, casomai ci sarebbe da chiedersi perché la magistratura non lo arresti subito. In secondo luogo, lui ha “intuito” che la cassa conteneva il tritolo per Borsellino, e verrebbe da chiedersi chi invece di intuirlo lo sapeva e l’aveva preparata (cosa questa che le sue dichiarazioni potrebbero contribuire ad appurare). Infine, mi chiedo: se uno afferma di avere ammazzato una persona che sparava ad Andreotti con Marcinkus come testimone (tralasciando anche la presenza di Fancesco Messina Denaro), va bene interrogarsi sull’omicidio e sull’omicida, ma farsi anche qualche domanda su questi personaggi semi sconosciuti è chiedere troppo? E’ come se ti vuole sbranare una tigre e tu guardi se ha i baffi pettinati bene.
Forse la sua verità serviva ad allontanare dalle stragi già nella loro fase preparatoria… non si spiega diversamente il fatto che non fece il nome di Matteo Messina Denaro che durante quel periodo pianificava le stragi. Sul perchè non sia stato arrestato, non ho risposte, me lo chiedo pure io…Lui non ha “intuito” che la cassa conteneva il tritolo, tant’è che afferma: “Fui incuriosito dalla presenza di una cassa enorme: alta un metro e mezzo e larga almeno un metro. Ci dissero di caricarla facendo estrema cautela e la cosa destò in me un dubbio che presto si trasformò in certezza, ovvero che la fantomatica cassa fosse piena di esplosivo.”
Cosa o chi gli diede la certezza? Solo lui, se interrogato, e dunque indagato, può dire chi aveva preparato l’esplosivo…
Calcara non è il punto d’arrivo, è quello di partenza…
Gian J. Morici
Egregio Sig. Morici, La ringrazio per la Sua gentile risposta. Calcara era un amico intimo di Matteo Messina Denaro, fin da quando erano bambini, secondo quello che dice lui. E’ naturale dire quindi che Calcara era un mafioso e anche molto pericoloso. Ma secondo me, la domanda principale è: che cosa ci facevano Giulio Andreotti e Marcinkus in compagnia di Francesco Messina Denaro e di Calcara, un mafioso, assassino e amico intimo di suo figlio? D’accordo che ha ammazzato una persona, ma l’ha fatto davanti ad un Presidente del Consiglio e un Cardinale… E in che rapporti erano loro con Francesco Messina Denaro? Se erano insieme a lui, perché non l’hanno mai detto, visto che il figlio Matteo Messina Denaro è latitante da 25 anni e questa informazione poteva essere rilevante per la cattura sia di Francesco Messina Denaro che di suo figlio Matteo? Sono d’accordo sul fatto che Calcara fosse un mafioso e un assassino. Ma più gravi sono le accuse contro Calcara, più gravi sono le sue colpe, più gravi sono i reati che ha commesso, e più viene da chiedersi: che cosa ci facevano Andreotti e Marcinkus insieme a lui? (Oltre che con il padre latitante di Matteo Messina Denaro, uno dei 10 latitanti più ricercati al mondo). Quindi, personalmente, peggiori sono i reati di Calcara, e più la mia attenzione si focalizza su Andreotti e Marcinkus.