Dopo lunghe ed attente valutazioni, “Dentro lo sguardo – il codice”, saggio di Giuseppe Petix sulla pittura del Maestro Leonardo da Vinci, è stato inventariato e catalogato dalla prestigiosa “Biblioteca Leonardiana – Centro di ricerca e documentazione per gli studi leonardiani”, di Vinci. La relativa registrazione bibliografica sarà inserita nel prossimo numero della “Raccolta Vinciana”, edito dall’Ente Raccolta Vinciana, di Milano.
Un importantissimo traguardo per il giovane scrittore siciliano, che continua a promuovere le sue ricerche in Italia ed all’estero, partecipando alle più importanti fiere dell’editoria e organizzando presentazioni in diverse città.
Il gesto dell’indice alzato
Per lungo tempo il gesto dell’ “indice alzato”, con cui Leonardo raffigura diversi suoi soggetti, è stato interpretato come la volontà di indicare il cielo, la luce, perfino Dio.
Ma secondo la mia analisi rappresenterebbe la chiave per decifrare un codice segreto che il maestro ha sapientemente legato a una tecnica ottica ben precisa.
Alzando il nostro dito tra noi e un’opera si crea, infatti, un punto di riferimento secondario, determinato dalla posizione del dito, che potrà così essere utilizzato come una “manovella” di regolazione ottica.
Tenendo a fuoco il dito e avvicinandolo o allontanandolo dal proprio sguardo si avrà modo di “incrociare” più o meno gli occhi, verso il punto osservato.
L’immagine osservata apparirà così con caratteristiche di profondità ed è questa osservazione che ci permette normalmente di stabilire la reale distanza dall’oggetto focalizzato.
Questo fenomeno è legato alla visione binoculare. Infatti le immagini provenienti dai due occhi, leggermente distanti l’uno dall’altro, si fondono nel cervello che produce una terza immagine risultante.
Ma… cosa accade allo sfondo osservato?
E’ questo l’interrogativo che, a mio avviso, colpì l’attenzione di Leonardo, portandolo alla creazione di un metodo atto a celare nei propri capolavori immagini non individuabili ad una prima osservazione.
Lo sfondo retrostante verrà osservato “sfuocato” e “sovrapposto” a se stesso, generando delle immagini che nell’osservazione della realtà non hanno nulla da nascondere ma… se dietro il nostro dito ci fosse un’opera di Leonardo come sfondo potremmo notare che ogni particolare disegnato dall’autore assumerebbe un’importanza fondamentale e che alcuni elementi sembrerebbero utilizzati come chiavi di un allineamento che condurrebbe ad una osservazione consapevole e differente.
Questo è dunque il metodo utilizzato da Leonardo per celare altri messaggi che sono legati al suo credo, alla sua personalità e probabilmente alle sue conoscenze in merito a temi che ancora oggi si dibattono in tutto il mondo.
L’utilizzo di tale metodo era l’unico modo per tramandare ai posteri il suo vero pensiero, che sarebbe stato condannato altrimenti, data l’imposizione culturale e religiosa del rinascimento.
La genialità di Leonardo ha trovato dunque il modo per continuare a raccontarci di sé anche dopo più di 500 anni, mostrando un lato del suo estro artistico che risultava essere sconosciuto, riuscendo a varcare anche i limiti imposti dal tempo.
Un’ulteriore conferma della spropositata intelligenza e genialità di Leonardo da Vinci.
Correlazione di due opere – La scoperta
Disegno raffigurante una sant’Anna trinitaria
Museo del Louvre
Parigi
In questo disegno Leonardo raffigura la sant’Anna insieme con la Madonna e il bambin Gesù.
A prima vista appare un’opera contorta, piena di grovigli di curve e linee che non definiscono bene i contorni delle figure, ma una cosa che di sicuro si può notare è il gesto dell’indice alzato, che in questo caso viene legato alla figura della sant’Anna.
Ella infatti sembra abbracciare la Madonna col braccio destro, che termina con la mano stilizzata che indica il gesto.
Un chiaro indizio lasciato volutamente dall’autore che ci spinge a ricercare un messaggio secondario all’interno dell’opera osservata.
Il percorso da seguire dunque deve essere legato al metodo ottico succitato.
Solo osservando, conoscendo questo metodo, riusciremo a scorgere altre immagini che saranno state celate all’interno del capolavoro.
Ma per poter parlare di un codice bisognerà trovare gli elementi per decodificarlo, capendoli e identificandoli come tali.
Nello sdoppiare le immagini e nel sovrapporle a loro stesse abbiamo bisogno di sapere a che punto fermarci per osservare il messaggio secondario insito nell’opera.
Osservando la parte bassa del disegno si possono scorgere due tratti che a prima vista non sembrano avere alcun significato ma che diventano fondamentali per la lettura secondaria dell’opera.
Nel sovrapporla a se stessa, infatti, dovremo fermarci nel punto in cui il tratto a sinistra sia perfettamente coincidente col tratto a destra, sovrapponendoli l’un l’altro.
Solo allora, solo in quel preciso punto, si potrà aver accesso all’immagine celata da Leonardo.
Un vero e proprio codice da decriptare, che mostrerà qualcosa che Leonardo stesso avrà concepito come un segreto, come informazione riservata a pochi: ai soli pochi conoscitori del metodo per estrapolare dai suoi capolavori altre informazioni riservate.
Fermandoci esattamente in questo punto di sovrapposizione dei due tratti, scorgiamo in basso una figura che riporta inconfutabilmente alla figura centrale del Cristo dell’Ultima cena concepita da Leonardo stesso: stessa figura “triangolare”, stessa apertura delle braccia, stessa inclinazione del capo verso la sua sinistra.
Sembra quindi che il messaggio celato in quest’opera abbia a che fare col famoso cenacolo vinciano, infatti si notano altri particolari che riportano all’affresco: una mano che impugna un coltello in basso a sinistra, ad esempio, gesto attribuito da sempre all’apostolo Pietro.
Ma la cosa più strana risulta essere una sorta di calice raffigurato sopra il capo di Cristo, come se Leonardo volesse indurre alla ricerca del famigerato “Graal” all’interno dell’Ultima cena.
Individuando il calice nell’affresco, avremo, dunque, i due elementi da congiungere nella nostra sovrapposizione legata al metodo del “Indice alzato” e, anche nell’affresco del cenacolo, avremo modo di osservare altri particolari celati dall’autore.
Un vero e proprio percorso da seguire per arrivare a svelare i segreti legati all’affresco più discusso della storia dell’Arte.
Ingrandimento del particolare evidenziato.
Osservando il cenacolo vinciano con attenzione, ci rendiamo conto della presenza di un particolare che colpisce notevolmente poiché è presente solo in uno degli spazi tra gli arazzi, come se l’autore volesse metterlo in evidenza. Sembra una sorta di scudo con un prolungamento ma potrebbe anche essere una decorazione in rilievo della parete. Quello che si può notare è che le linee di questa figura sono esattamente “parallele” e “perpendicolari” alla linea del tavolo, cosa che non avrebbe senso se la figura giacesse sul piano della parete, poiché, in tal caso, dovrebbe assumere l’aspetto prospettico relativo. Una anomalia pittorica voluta dall’autore per far risaltare maggiormente questa figura. Se osservata da una certa distanza, osservazione consentita dalla vasta sala che ospita l’affresco, tale figura assume sempre più le sembianze di un calice, a causa della sfocatura visiva dovuta all’allontanamento dell’immagine. Quello che da vicino sembra apparire con tratti squadrati, nell’essere osservato da lontano si arrotonda, portando sempre più verso l’idea di una raffigurazione di calice, chiaramente assente, come oggetto, sul tavolo dei commensali.
Avremo quindi trovato i due elementi che ci guideranno nella sovrapposizione attraverso lo sdoppiamento oculare:
1) il calice
2) il Cristo centrale
Ed ecco cosa accade se leggiamo l’opera con l’applicazione del metodo ottico inventato da Leonardo: il varco lasciato tra Gesù e l’apostolo alla sua destra sembra essere dedicato volutamente ad una proiezione.
Infatti nel punto di sovrapposizione in cui il calice viene portato sopra la testa del Cristo appare, in quel varco, una figura in secondo piano, raffigurata con delle proporzioni perfettamente rispettate secondo la scena.
Un “Tredicesimo apostolo” che si sta allontanando dalla sala e sembra in procinto di uscire.
In linea col vangelo di Giovanni nella frase riferita a Giuda Iscariota: “preso il boccone egli subito uscì“.
Sembra che Leonardo abbia dato molta importanza a questa frase, fondando su di essa la costruzione di un “pluridimensionale” capolavoro.
La figura svelata, infatti, riferibile quindi a Giuda Iscariota, giustifica la possibilità che accanto al Cristo sia presente una figura femminile, perchè in questo caso gli apostoli sarebbero dodici più accanto al Cristo centrale la figura femminile, e il calice avrebbe un significato rivelatore: l’indizio fondamentale per mostrare una seconda lettura dell’opera.
In effetti, osservando la figura alla destra del Cristo, tutto lascia supporre che l’autore avesse voluto raffigurare una donna e non un uomo, come per anni si è pensato.
Il vero segreto del cenacolo sembra dunque “la volontà di Leonardo di raffigurare una donna accanto al Cristo”, in quel momento che ha segnato il passaggio della “Pasqua Cristiana” e che ogni giorno, in tutte le chiese del mondo, viene rivissuto da una moltitudine di fedeli.
Leonardo ha voluto soltanto rivalorizzare la figura femminile, ponendola accanto al Cristo nell’ultima cena o stava cercando di comunicare ai posteri una sua conoscenza relativa all’ultima cena del Cristo, celandola come un segreto che avrebbe superato i limiti imposti dal tempo per arrivare fino a noi?
Qualunque sia la risposta… la genialità di Leonardo da Vinci rimane ancor oggi tutta da esplorare, da comprendere e da rispettare, per rendere omaggio a questo immenso, unico e ineguagliabile artista.
Dal trattato della pittura:
Come si debbono figurare le donne.
Le donne si debbono figurare con atti vergognosi,
le gambe insieme strette,
le braccia raccolte insieme,
teste basse e piegate in traverso.
Leonardo da Vinci
Correlazione delle due opere:
L’immagine trovata nel disegno della sant’Anna trinitaria sembra raffigurare la soluzione del rebus insito nell’ultima cena: Leonardo riprende la figura del Cristo dell’ultima cena mostrandocela con un calice sopra il capo… definendo così i due elementi da congiungere.
Un netto riferimento che riporta ancora all’ultima cena: una mano che impugna un coltello, gesto attribuito all’apostolo Pietro.
Un ulteriore riferimento alla presunta figura femminile raffigurata nel cenacolo alla destra del Cristo. Si nota una donna, col capo coperto, comodamente seduta e raffigurata in posizione speculare rispetto all’altra.
Si nota chiaramente una abbreviazione: “C.d.V.” come se Leonardo stesso volesse alludere all’acronimo di Codice da Vinci.
Si può scorgere anche la figura di un uomo calvo con la barba. Probabilmente un riferimento alla figura da cercare nell’ultima cena.
Recensione del Prof. Nuccio Mula
Se Giuseppe Petix avesse voluto stupirci con effetti speciali irresistibili, avrebbe faticato di meno ed assemblato di più tirando fuori centinaia e centinaia di pagine prodigamente illustrate per un maxi-volume frutto d’una storia infinita di semplicissimi “copia / incolla” finalizzati a compendiare in un solo testo quantitativamente corposo quel di tutto e di più che, ormai da tempo (e soprattutto a causa della “sindrome da Dan Brown”) aleggia, incombe, gravita, grava ed esterna su Leonardo & dintorni, dopo secoli di approcci legati “sic et simpliciter”, fatta salva un’antica e caparbia minoranza – e non solo di esponenti della critica d’arte – volta a scrutare “dentro” ed “oltre” gli esiti creativi, ad interpretazioni di taglio e spessore meramente iconografico, ergo dimensionate nel solo ambito dell’analisi tecnica e delle risultanze cogitative di ciò che si deduce e si prova “davanti” alle immagini.
Ma se Giuseppe Petix avesse fatto questo, avrebbe stupito solo gli sciocchi e i visionari, le cui genitrici (assieme alle madri d’altre e più miserande tipologie antropologiche) s’appalesano sempre incinte, poiché il “quantitativamente corposo” di cui sopra si sarebbe rivelato àthanor babelico ed acritico anche di residuali, ma inesauribili esternazioni di stravaganze ed incongruità pronte a rivelarsi funeste metastasi a danno d’ogni pur sincero e ribadito proposito di rapportarsi seriamente a un tema (quello, appunto, di Leonardo e dei suoi numerosi “codici” criptati e/o additati) che è meritevole di ben altro.
E che, nello specifico, viene testimoniato proprio da Giuseppe Petix con questo saggio, profondo ed agile al tempo, nel quale l’Autore (lungi, ribadisco, dal ripercorrere ancora, e per sterile “overdose” documentaria, tragitti e sentieri già conclamati più che abbondantemente) si limita ad assemblare le sue specifiche considerazioni, lavorando – ed è ovvio – per sequenze di ipotesi (guai, se in altrettanto “trip” d’arroganza narcisistica, le avesse auto-innalzate ad inoppugnabili tesi: errore da patibolo) e presentandosi al variegato pubblico dei fruitori (esperti e / o profani) con quella pacatezza, sincera ed encomiabile, che intende proporre ma non imporre, nel supersegno della competenza e della serietà.
Non è questa la sede per riassumere e riciclare (offrendomi anche all’inevitabile rischio di deformare per sovrabbondanza di passaggi) quel che già Petix sintetizza nel suo studio, ed in modo chiaro, e con propositi egualmente suddivisi fra livelli d’alta ricerca ed esigenze d’intenzionale apertura divulgativa: mi limiterò a dire che, nella maggioranza delle pagine di questo prezioso volume, ho colto (e tutt’altro che esotericamente) l’aura e l’impronta di un “nuovo” che non è il banale, strumentale, meccanico opposto del “vecchio”, ma qualcosa di più, teso ad intrigare e a coinvolgere, ad affabularci ed a far cogitare, aprendo il terzo occhio della deuteroscopia oltre ai due occhi della limitata visione fisica.
E sarà proprio per merito di questa nuova ed imprevista sollecitazione ad oltrepassare il “davanti” per entrare “dentro” ed “oltre” la lettura delle più misteriose opere di Leonardo (nelle quali troveremo filosofia occidentale ed orientale, antropometria mistica, sapienza teurgica, criptogeometria, artematica, architettura occulta, geogrammi speculari, evocazioni arcane di simboli ed effigi, apparizioni aliene ma anche il costante aureolare d’un “divertissement” finissimo e spesso beffardo di enigmi e vaticini) che, e grazie all’elevato acume ed al costante, sottile sollecitarci di Giuseppe Petix, impareremo, oltre a sperimentare le decriptazioni condivise dei vari “Codici da Vinci”, anche ad aprire i “codici” delle nostre menti che attendevano d’essere stimolate dal suo serio, alto e valido argomentare senz’altro destinato a diventare, in ogni contesto e ad ogni livello culturale, del tutto “disquisibile” (e non certo “discutibile e basta”, come, ahimè, accade a chi s’addentra nell’ “antico”, e senza itinerari eteroguidati da convenzioni e convinzioni, per cercare e trovare, ed ovunque, le chiavi di tutti i codici del “nuovo”).
Prof. Nuccio Mula
Scrittore, Giornalista
Docente universitario di Filosofia e Fenomenologia dell’Immagine,
Teoria della Percezione e Psicologia della Forma
Componente dell’Associazione Internazionale Critici d’Arte, Parigi