Ho incontrato una ragazza ucraina. L’ho incontrata a Parigi per caso. E’ qui da un anno e mezzo. Studia e lavora. E’ bella e dolce, con gli occhi grandi da cerbiatto ma velati dall’ansia. Viene da Odessa ed è lì che sta tutta la sua famiglia. Ha paura, hanno paura ma incrociano le dita… Prova a scherzarci sopra con ironia ma non ci riesce bene, le vengono i lucciconi. “L’unica cosa che sono riusciti a fare è che prima eravamo divisi tra pro-europei e filo-russi, ora siamo tutti ucraini”. Mi chiede perché tutti stanno dicendo che sono fascisti. Mi dice che quando si ritrova con i suoi amici si guardano e ci ridono sopra “Da quando siamo diventati tutti fascisti?”. E ride di nuovo e di nuovo ha le lacrime agli occhi. Dovrei risponderle di non ascoltare. Dovrei risponderle che il mondo è intriso dall’odio che nasce dai cliché, dall’ignoranza, da chi parla senza sapere. Dovrei ma non ci riesco… Riesco solo ad avere un gesto materno, la abbraccio delicatamente con pudore, le faccio una carezza. E’ alta ma sembra una bambina, vorrei portarmela a casa. Mi accorgo troppo tardi che non so dove ritrovarla, che non le ho neanche lasciato il mio numero di telefono. So di lei che ha la famiglia ad Odessa e che spero che se ne vadano in tempo. Mi restano di lei delle cartoline che vende a profitto degli orfani di piazza Maidan…
Luisa Pace