Mentre ieri sulla Sicilia imperversavano tuoni, fulmini e rovesci d’acqua, su Roma caput mundi si addensavano nubi nere – nere come la fumata quando non si fa il Papa – di cattivo presagio.
Il Consiglio Superiore della Magistratura – che in quanto Superiore è superiore a tutto e tutti – avrebbe dovuto decidere sul futuro capo della Procura capitolina.
Che brutta storia, quella di un Csm che non si sa perché e come – o se si sa, si preferisce comunque far finta di non saperlo – dopo aver votato il 23 maggio 2019 Marcello Viola (quattro voti favorevoli contro un voto per Francesco Lo Voi e uno per Giuseppe Creazzo), grazie al Palamaragate, con il quale Viola non c’entrava nulla e anzi ne era vittima, il 14 gennaio 2020 lo escludeva dalla corsa alla nomina incoronando Michele Prestipino Giarritta nuovo Procuratore capo della città della lupa.
Ma la Giustizia è la giustizia, almeno per noi poveri mortali che dobbiamo accettare (e talvolta subire) le sentenze, ed è così che il candidato escluso (Viola) e quello perdente (Lo Voi) fanno ricorso al Tar.
Il Tribunale amministrativo, consacra con quattro sentenze (due favorevoli a Viola e due a Lo Voi) la nomina illegittima di Prestipino Giarritta.
Apriti cielo, non si può, le sentenze son sì sentenze ma solo per noi comuni mortali. Ed è così che tra un ricorso e l’altro si arriva al Consiglio di Stato che, a differenza di ciò che avvenne per la nomina del Procuratore di Palermo nel 2014 (e che fece anche quella molto discutere), questa volta finisce con l’annullare la nomina di Michele
Prestipino Giarritta, erede di Pignatone, del quale avrebbe rappresentato la continuità nella gestione di quella procura che si dice valga più di due ministeri, un po’ come la continuità avrebbe rappresentato Lo Voi, anche lui vicino all’ex Procuratore Pignatone.
Ieri, a differenza dei mesi scorsi quando il Consiglio Superiore della Magistratura – che per appunto è superiore a tutto – decideva di promuovere ad oltranza il prescelto Prestipino Giarritta (nelle more aveva anche lui ha presentato ricorso in Cassazione,
lamentando il vizio di eccesso di potere giurisdizionale del Consiglio di Stato, la cui decisione era prevista per questo fine mese), cambiava rotta e decideva di discutere la nomina del nuovo procuratore.
Una discussione spinosa e complicata da fumata nera, proprio come è avvenuto, rimandata di qualche giorno prima che si arrivi a indicare il nuovo nominativo.
Sarà una chiamata alle armi alle quali non ci si potrà sottrarre.
Quello che si preannuncia è un fine settimana febbrile, nel corso del quale certamente saranno numerose le trattative, gli accordi e le liti (in siciliano “sciarre”, dall’arabo šarrah) per imporre il nuovo capo al vertice della procura della città sede del papato.
E se si parla di papi e santità, non ci si può scordare di san Pignatone, oggi assurto al soglio di Pietro (no, non lo hanno ancora fatto Papa ma è comunque presidente del Tribunale dello Stato della Città del Vaticano) che di miracoli pare ne abbia fatti tanti.
Finita – se e quando finirà – la partita per Roma, si apriranno quelle per Palermo, altro discusso derby sul quale si è acceso il dibattito sulle opportunità di talune nomine, sulle quali scrive Martini su ‘Magazine Sicurezza’ (da non confondere con San Martino – quello dei durissimi biscotti siciliani – visto che si parla di santi in Paradiso e di san Pignatone), che tra le altre cose non esclude che Prestipino Giarritta, sfrattato da Roma, possa arrivare al traguardo a Palermo, assicurando, in modo o in un altro, la successione di san Pignatone in Cattedrale.
Mentre Martini invoca l’intervento del Presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, rinunciando a chiedere quello di tutti i Santi, la cui festa precede quella dei defunti e di San martino, quello dei biscotti duri, la ‘sciarra’ continua.
Una storia che puzza quella descritta da Palamara nel suo libro, al cui olezzo non può porre rimedio neppure la vanvera, lo strumento tanto in voga nell’alta società veneziana del Settecento per impedire che eventuali flautolenze da nobili deretani si liberassero nell’aria in momenti poco opportuni.
Non fatevi venire in mente di suggerire al presidente americano Joe Biden (protagonista del peto-gate per aver scorreggiato a Glasgow, in occasione della Cop26, dinanzi la moglie del futuro sovrano d’Inghilterra) l’uso della vanvera, perchè oggi come nei secoli passati a nulla servirebbe.
E se l’abito non fa il monaco, come ci insegna la storia di Fra Giacinto, neppure le poltrone in Vaticano creano Santi…
Gian J. Morici