
Archiviata per la seconda volta l’inchiesta sulla presunta fuga di notizie.
Catania – Si chiude, ancora una volta senza risposte, il caso sull’omicidio di Luigi Ilardo, il collaboratore di giustizia assassinato a Catania la sera del 10 maggio 1996, poco prima di formalizzare il suo pentimento. Il Giudice per le indagini preliminari di Catania ha disposto l’archiviazione della nuova inchiesta, accogliendo la richiesta della Procura.
La riapertura del fascicolo era stata sollecitata da una denuncia del colonnello Michele Riccio e mirava a far luce su una presunta fuga di notizie che avrebbe armato la mano dei suoi assassini e sul mancato arresto del boss Bernardo Provenzano.
Ilardo, uomo d’onore della cosca di Vallelunga Pratameno, aveva intrapreso una collaborazione segreta con i carabinieri del ROS, e grazie alle sue informazioni erano state portate a termine importanti operazioni consentendo l’arresto di pericolosi latitanti.
La collaborazione di Ilardo avrebbe potuto portare alla cattura di Bernardo Provenzano, quando nel 1995 Ilardo (“Oriente”) fornì, tramite il colonnello Michele Riccio, precise indicazioni sul casolare di Mezzojuso dove il boss latitante si nascondeva e dove riuscì persino a organizzare un incontro.
Nonostante le preziose informazioni fornite da Ilardo, il blitz non avvenne e la mancata cattura di Provenzano portò al rinvio a giudizio degli ex ufficiali del Ros Mario Mori e Mauro Obinu con l’accusa di favoreggiamento aggravato a Cosa Nostra – successivamente assolti -, le cui condotte vennero stigmatizzate in appello evidenziando “zone d’ombra”, ma non dimostravano univocamente la volontà di impedire la cattura. La mancata operazione a Mezzojuso fu definita “frutto di una, pur sicuramente colpevole, sottovalutazione” e di “una condotta negligente e poco solerte”.
“Davvero inspiegabile” – per la Corte – il modo “tardivo, non coordinato e soprattutto burocratico” in cui furono svolte le indagini successive all’incontro di Mezzojuso, con l’invio di note a reparti precedentemente estranei e senza l’attenzione che il caso richiedeva. Venne anche criticata la scelta di puntare unicamente su un nuovo incontro di Ilardo con Provenzano, l’approccio burocratico nell’identificazione dei favoreggiatori indicati dal confidente e il ritardo nell’inoltro del rapporto “Grande Oriente” alla Procura. Queste condotte furono ritenute “astrattamente idonee a compromettere il buon esito di un’operazione che avrebbe potuto procurare la cattura di Bernardo Provenzano”.
La nuova inchiesta si era concentrata su un punto cruciale: come la notizia della collaborazione di Ilardo potesse essere trapelata, decretandone la condanna a morte, e perché, nonostante le opportunità, Provenzano non fu catturato. Tra gli elementi analizzati dagli inquirenti, ha destato particolare attenzione la notifica di un differimento pena recapitata alla cugina di Ilardo – sorella del boss Giuseppe “Piddu” Madonia. Un atto che, secondo gli investigatori, avrebbe potuto insospettire i vertici mafiosi. Tuttavia, gli accertamenti della Direzione Investigativa Antimafia (DIA) hanno rivelato che fu lo stesso Ilardo a indicare quell’abitazione come suo domicilio.
Nonostante ciò, il mistero sulle modalità precise della notifica – effettuata dal ROS alla cugina anziché direttamente al collaboratore – rimane. La Procura, pur non escludendo un ruolo di terzi nella diffusione della notizia, non ha individuato prove univoche per sostenere un’accusa in giudizio.
Nella richiesta di archiviazione si legge un’amara constatazione: “rimane fondata l’ipotesi che la collaborazione di Ilardo sia stata portata a conoscenza di chi ne provocò la morte”. Un’ ipotesi non supportata da elementi probatori sufficienti per affrontare un processo.
Le indagini avevano anche toccato le dinamiche interne al ROS dell’epoca. La deposizione dell’ex procuratore aggiunto Maria Teresa Principato al processo sulla trattativa Stato-mafia aveva ripercorso l’incontro con Ilardo e le mancate verbalizzazioni, sollevando interrogativi sulla gestione delle informazioni.
L’ex procuratore aggiunto di Palermo, deponendo al processo sulla trattativa Stato-mafia, si era soffermata su un incontro cruciale avvenuto il 2 maggio 1996, quando l’allora procuratore Caselli le chiese di partecipare all’interrogatorio di Luigi Ilardo.
L’incontro, tenutosi presso il comando generale del Ros alla presenza dei procuratori di Palermo e Caltanissetta (Caselli e Tinebra), di Mori, Riccio e Ilardo, assume particolare rilevanza perché avvenne solo una settimana prima dell’omicidio di Ilardo a Catania e della formalizzazione della sua collaborazione con la giustizia. Durante l’incontro, Ilardo rivelò di avere la possibilità di incontrare nuovamente Bernardo Provenzano, con il quale si scambiava “pizzini”, e parlò di un precedente incontro con Provenzano a Mezzojuso.
Di queste dichiarazioni non fu redatto alcun verbale, su richiesta di Ilardo e Riccio per evitare fughe di notizie, una decisione avallata da Caselli e Tinebra. La Principato dichiarò di aver appreso i dettagli dell’incontro di Mezzojuso solo successivamente, nel giugno 1996, durante una serie di incontri con Riccio, un incontro confermato dal colonnello Obinu il quale spiegò che all’epoca non c’erano forze investigative adeguate per affrontare una possibile presenza di Provenzano.
Sollecitata dal pm Di Matteo, la Principato ammise che forse non fu sufficientemente accorta nel non attivare subito intercettazioni – che non gli furono chieste neanche dai Ros – o chiedere indagini più approfondite su alcuni nomi che comparvero in fotografie vicino a Mezzojuso ma non furono immediatamente inseriti nell’informativa “Grande Oriente” (di fine luglio), aggiungendo inoltre, di essersi occupata di queste indagini solo dal 1996, ritenendo che il precedente titolare, Pignatone, avesse già svolto accertamenti sulla vicenda di Mezzojuso.
In quella circostanza, Infine, la Principato ha riferito di un suo scambio con il capitano “Ultimo” riguardo alla mancata cattura di Provenzano, criticando la “tecnica attendista” generalmente preferita dal Ros nelle operazioni di cattura latitanti, una prassi che lei non condivideva.
Se la condotta di appartenenti allo Stato deve essere definita quantomeno negligente e poco solerte, lo stesso non può dirsi della mafia che in maniera non negligente e molto solerte, alcuni mesi dopo i fatti di Mezzojuso, pochi giorni prima di entrare nel programma di protezione, mise a tacere per sempre colui il quale aveva quasi portato alla cattura del boss latitante.
Con questa seconda archiviazione, cala un’ombra ancora più fitta su uno dei tanti intricati misteri della storia della lotta alla mafia in Sicilia. Dalla morte di Ilardo all’arresto di Provenzano trascorsero altri 10 anni.
Gian J. Morici