Interessante l’articolo di oggi a firma di Damiano Aliprandi per ‘Il Dubbio’, dal titolo ‘Dalla leggenda del terzo livello al fantasma di Gladio e P2. Ecco tutte le bufale su Falcone’ offre, suo malgrado, che offre importanti spunti di riflessione.
Damiano Aliprandi è una bella penna, un giornalista che ha condotto importanti inchieste mettendo sotto i riflettori della ribalta giornalistica indagini come Mafia-appalti e il “nido di vipere”, così come Paolo Borsellino definiva la Procura di Palermo.
Piatto forte dell’articolo odierno, il cosiddetto ‘terzo livello’, o meglio l’inesistenza del terzo livello, così come dichiarato da Giovanni Falcone al quotidiano L’Unità qualche giorno prima della strage, sostenendo che si fosse trattato di “una singolare e strumentale cattiva interpretazione di quello che io ho detto nel passato”.
Falcone, dunque, affermava che nessuno poteva dare ordini alla mafia.
E’ da qui in poi che Aliprandi – tramite anche e parole di Giovanni Falcone – offre gli spunti più interessanti per una riflessione.
Ricorda l’intervista rilasciata dal giudice a Saverio Lodato, in cui affermò: ‘Ci troviamo di fronte a mentì raffinatissime che tentano di orientare certe azioni della mafia. Esistono forse punti di collegamento tra i vertici di Cosa nostra e centri occulti di potere che hanno altri interessi. Ho l’impressione che sia questo lo scenario più attendibile se si vogliono capire davvero le ragioni che hanno spinto qualcuno ad assassinarmi (il riferimento è al mancato attentato all’Addaura – ndr)’.
“ Ma quindi Falcone smentisce sé stesso? Lui che fino al giorno della sua morte aveva combattuto le letture dietrologiche sul fenomeno mafioso? Assolutamente no” – prosegue Aliprandi che riporta anche di un’altra intervista di Falcone rilasciata al giornalista Francesco La Licata, con il quale “si lasciò sfuggire altre confidenze coerenti con l’idea che la sua presenza all’incontro con l’allora presidente degli Stati Uniti Bush fosse stata percepita come un pericolo per gli interessi di poteri criminali di altissimo livello, ai quali era riconducibile l’attentato dell’Addaura. Esaminiamo i fatti. Il giorno del fallito attentato – prosegue Aliprandi -, Falcone attendeva l’arrivo dei colleghi svizzeri Carla del Ponte e Claudio Lehmann per discutere alcuni aspetti dell’inchiesta Pizza Connection. Parliamo del riciclaggio del denaro sporco proveniente dal traffico di droga.
L’altra forza di altissimo livello coinvolta è Cosa nostra Americana. Tutto questo lo spiegherà molto bene il pentito Giuffrè sentito al processo Borsellino Quater. Dirà che la mafia americana- in particolare i Gambino – ha fatto molte pressioni a Totò Riina per l’eliminazione dei magistrati, in particolare Falcone. E infatti Pizza Connection andava a colpire gli affari anche di cosa nostra americana. In quel preciso momento storico, la dimensione economica del riciclaggio internazionale dei proventi del narcotraffico era stata stimata dall’Onu in circa 300 miliardi di dollari. Chiaro che gli interessi mafiosi si intrecciavano con quelli di alcuni politici, amministratori, esponenti di forze dell’ordine infedeli e banchieri collusi. Parliamo di una banalità. La stessa situazione che si verificherà, qualche anno dopo attraverso l’inchiesta portata avanti dai Ros, nella grande questione degli appalti pubblici”.
È però un peccato che l’ottimo giornalista d’inchiesta non si sia accorto che proprio in Pizza Connection, l’indagine sul traffico di droga tra Italia e Stati Uniti avviata il 12 luglio 1979, seppure in maniera marginale, compare il nome di un imprenditore italiano, futuro Presidente del Consiglio: Silvio Berlusconi.
E se in Pizza Connection il suo nome compare in maniera marginale, altrettanto non può dirsi per il periodo che va dal 1973 al 1976, quando il mafioso Vittorio Mangano – presentato a Berlusconi da Marcello Dell’Utri – lavora nella sua villa dove viene anche arrestato un paio di volte.
E chi fossero gli amici che Mangano ospitava in casa Berlusconi, lo dirà lo stesso Dell’Utri: Non erano tipi a cui fare domande.
Tutto qui? Ma no, il nostro imprenditore e poi premier – così come tanti amici appartenenti al partito da Marcello Dell’Utri fondato (indagati, arrestati e condannati, tra cui lo stesso Dell’Utri), – non si fece mancare nulla, compreso le intercettazioni da parte della Guardia di Finanza, tra il 1978 ed il 1983, nell’ambito di un’inchiesta su un traffico di droga, che nel rapporto scriveva: “È stato segnalato che il noto Silvio Berlusconi finanzierebbe un intenso traffico di stupefacenti dalla Sicilia, sia in Francia che in altre regioni italiane. Il predetto sarebbe al centro di grosse speculazioni edilizie e opererebbe sulla Costa Smeralda avvalendosi di società di comodo…”. L’indagine nel 1991 fu archiviata, ma negli anni che vanno dal 1994 al 1999, Umberto Bossi, nell’affermare, senza mai essere querelato che Berlusconi era l’uomo della mafia, scriveva: “Ci risponda: da dove vengono i suoi soldi? Dalle finanziarie della mafia? Ci sono centomila giovani del Nord che sono morti a causa della droga”.
E che dire dell’indagine della polizia svizzera condotta dal commissario Fausto Cattaneo, proprio quando questi stava raccogliendo prove importanti su come i narcotrafficanti riciclavano il loro denaro attraverso grandi gruppi finanziari come quello Fininvest?
Il nome dell’operazione era “Mato Grosso”.
Cattaneo scrisse nella sua relazione del narcotrafficante brasiliano Juan Ripoll Mary, il quale nel descrivere le sue operazioni di riciclaggio tramite 4 società di Panama rappresentate anche a Lugano, avrebbe affermato: “Il denaro che arriva dall’Italia proviene dall’impero finanziario di Silvio Berlusconi”.
Ancora una volta però finì con un’archiviazione.
(Queste le interviste rilasciate da Cattaneo e dal giornalista Rotalinti: 1° filmato – 2° filmato – 3° filmato – 4° filmato)
Evidentemente, ancor prima che Berlusconi scendesse politicamente in campo, i giudici erano tutti ‘comunisti’.
E da buoni comunisti se la prendevano con tutta la famiglia Berlusconi, compreso con il fratello Paolo pregiudicato per truffe e reati vari, condannato più volte a seguito di patteggiamento, condannato in via definitiva con pene per le quali non avrebbe potuto beneficiare della condizionale, che nel gennaio 2010 si salva dal carcere per pena sospesa essendo i reati coperti da indulto, proprio nel periodo in cui il fratello Silvio è Presidente del Consiglio dei ministri della Repubblica Italiana.
E anche Paolo Berlusconi non si fece mancare nulla, compreso le accuse da parte di un collaboratore di giustizia, Carmine Schiavone, che lo indicò come uno dei principali responsabili del traffico dei rifiuti tossici, anche nucleari, in Campania.
Eh, le cattive frequentazioni… come nel caso di Giovanni Cottone, socio al 49% di Paolo Berlusconi nell’azienda Solari.com. indicato come un uomo che faceva parte della malavita, mentre la società beneficiava dei soldi (denaro pubblico) che Silvio Berlusconi aveva previsto per il fratello e che si era premurato, attraverso alcuni articoli della legge Gasparri, di far sì che in Sardegna, regione pilota dello switch off l’unico decoder in grado di ricevere il segnale fosse proprio l’mhp distribuito dalla Solari.com.
Una bella storia raccontata da ‘L’antipatico’.
Ma di simpatie e amicizie in determinati mondi piuttosto oscuri, la vita di Silvio Berlusconi fu ricca.
Come nel caso di Milo Djukanovic, allora presidente del Montenegro, coinvolto nei ‘soliti traffici’, in storie di riciclaggio e altro, del quale Berlusconi, da premier, fu il principale sostenitore.
Dicevamo? Ah, dicevamo riciclaggio… Stendiamo un velo?
“L’altra narrazione – prosegue Aliprandi nel suo articolo – è quella di dire che Falcone pensava che dietro la mafia, in particolare i delitti eccellenti, ci fosse la Gladio e la P2. Falso. Il giudice ha vagliato l’ipotesi, sentito vari personaggi, tra i quali lo stesso Gelli, si è recato personalmente alla sede del Sismi, lesse ogni tipo di documento, reperì anche la lista completa degli aderenti all’organizzazione. Poco prima di lasciare la Procura, il 9 marzo del 1991, sottoscrisse la requisitoria dei delitti eccellenti, ed escluse il ruolo della P2 e soprattutto della Gladio”.
Ma forse ad Aliprandi sfugge il piccolo particolare che è proprio Falcone che racconta di essere stato ostacolato da Giammanco nel tentativo di mettersi in contatto con i giudici romani che indagavano su Gladio…
Giammanco, il ‘Nido di vipere’… sì, ma a fasi alterne…
Gian J. Morici