In molti conoscono la figura di Giano, il dio bifronte con uno sguardo al futuro e uno al passato, ma non tutti lo conoscono come Patulcius, l’epiteto del guardiano che aveva il potere di aprire o chiudere ogni genere di porta o passaggio.
Mai come in questo caso le due figure si adattano a chi guardando il passato – e forse dimenticandolo – ha volto uno sguardo al futuro chiudendo talune porte per aprirne delle altre.
Ed oggi come allora, ogni dio ha il suo Rex Sacrorum.
Ma gli dei a volte hanno una marcia in più all’interno del pantheon, e Giano è anche Divum Deus (Dio degli Dei), al quale dunque è doveroso consentire più di un Rex Sacrorum.
Tralasciando l’articolo a firma di Giuseppe Pipitone per “Il Fatto Quotidiano” – al quale aggiungerei i sottotitoli di fatti, antefatti e misfatti, dai quali ultimi non sono avulsi taluni articoli – dal titolo “Borsellino, nessuna “rivelazione”: solo un altro depistaggio”, un compendio di castronerie e assoluta ignoranza in materia di fatti, uno dei Rex Sacrorum del novello Giano – sulla cui figura ci sarebbe da soffermarsi anche per altri profili – è il fondatore di AntimafiaDuemila, quel tal Giorgio Bongiovanni che definito la “voce ufficiosa” della Procura di Palermo, gode di notevoli conoscenze, dalla Madonna (con la quale ha sostenuto di essere in contatto) ai marziani.
Il portatore sano di stigmate – eh, la vicinanza agli dei ha un prezzo da pagare – al compendio di castronerie ha voluto aggiungere gli insulti nei riguardi dell’avvocato Fabio Trizzino – legale dei figli del giudice Paolo Borsellino, Lucia, Manfredi e Fiammetta, “colpevole” di essere stato sentito in Commissione antimafia (all’audizione ha preso parte anche Lucia Borsellino) relativamente alle stragi del ’92 e al possibile movente del dossier Mafia-appalti come causale dell’accelerazione dell’uccisione di Paolo Borsellino.
Verrebbe da ridere, se non ci fosse da piangere, nel leggere che “Di depistaggi su via d’Amelio ne abbiamo già avuti troppi. Che vanno ben oltre le vicende del ‘pupo’ Scarantino”.
Detto dal fondatore di un sito che – nonostante le proprie “preziose” conoscenze soprannaturali alle quali avrebbe potuto chiedere lumi – per anni ha messo sugli altari soggetti come Massimo Ciancimino e Vincenzo Calcara, verrebbe quasi da dire: Ridatemi pure Scarantino!
Tanto, tra un abbraccio e un bacio in occasione di manifestazioni antimafia – che di antimafia ormai hanno ben poco – c’è spazio per tutti.
Chissà che un giorno tra gli eroi che hanno collaborato con la giustizia non si possa annoverare pure Pinocchio.
“Ciò che genera sconcerto è che i figli di Borsellino, tramite le analisi sconclusionate e depistanti del loro legale, siano divenuti strumento, più o meno inconsapevolmente, di queste operazioni” chiosa lo stigmatato”.
Su ciò che è sconclusionato stendiamo un velo, lasciando ad altri la possibilità di aggettivarlo.
Chi è Giorgio Bongiovanni l’ho già scritto a suo tempo in diversi articoli, in particolare in questo dal titolo “Chi è Giorgio Bongiovanni, lo scomunicato fondatore di “Antimafia Duemila” che attacca Fiammetta Borsellino”, che vi invito a leggere perché vi possiate rendere conto di chi erano, e forse sono ancora, i soggetti ai quali si rivolgeva una certa magistratura.
Torniamo ad argomenti seri.
L’audizione di Lucia Borsellino e Fabio Trizzino ha dato la stura a polemiche e attacchi, tra i quali quelli del senatore Roberto Scarpinato, ex magistrato, che ha cercato in tutti i modi di smontare le ipotesi di Trizzino – avvalorate da atti documentali – in merito alle ragioni che poterono dar luogo alla strage di Via D’Amelio o alla sua accelerazione.
Cavallo di battaglia dei negazionisti di mafia-appalti, la cosiddetta doppia informativa della quale la Procura di Palermo dell’epoca non sarebbe stata a conoscenza.
Fatto ampiamente smentito in più circostanze, compreso dalla nota, del capitano De Donno, indirizzata al dott. Guido Lo Forte, che in data 30 giugno 1992 riferiva letteralmente: “il servizio svolto ha consentito, sulla base delle nuove risultanze investigative emerse, di valutare meglio alcune conversazioni telefoniche tra i personaggi d’interesse. Tali conversazioni sono state trascritte ed i relativi verbali saranno, salvo diverso avviso della S.V., inviati successivamente e contestualmente alla nota informativa concernente illecite attività nel campo degli appalti pubblici”.
La Procura di Palermo era dunque perfettamente a conoscenza che all’informativa del febbraio del 1991 ne stava per seguire un’altra.
Tutto questo prima dell’archiviazione disposta nel luglio del 1992.
L’indagine mafia-appalti, voluta da Giovanni Falcone, e che Paolo Borsellino avrebbe voluto che si desse seguito a quell’attività svolta dai Ros di Mario Mori e Giuseppe De Donno, riguardava anche la SIRAP, un ente che aveva o avrebbe bandito gare per il complessivo importo di mille miliardi, sulle quali si erano concentrati gli interessi illeciti, anche di natura mafiosa.
Ad occuparsi delle indagini, anche il dott. Giuseppe Pignatone, il cui padre era presidente della società regionale E.S.P.I. ente azionista, unitamente alla FI.ME., della società SIRAP, che, come indicato nel suo provvedimento dalla dr.ssa Gilda Lo Forti, “Avuto riguardo, quindi, alla qualità del di lui padre, Presidente dell’ESPI, una più attenta valutazione di opportunità avrebbe, forse, potuto suggerire al dott. Pignatone, pur in assenza di un evidente obbligo di astensione tenuto conto che, almeno formalmente, la società oggetto di indagine era diversa dall’ESPI, di evitare di occuparsi delle vicende in questione, fin dal momento in cui si trattò di richiedere le autorizzazioni alle intercettazioni telefoniche proprio sulle utenze della SIRAP o le proroghe delle stesse”.
Eppure, in quella procura, retta allora da Giammanco che osteggiò prima Falcone e poi Borsellino, a qualche magistrato tanto arguto e attento, deve essere sfuggita la richiesta del sostituto procuratore Natoli, che in data 30 luglio 1991, al presidente dell’ESPI, ovvero al padre del dottor Pignatone, chiedeva “di volere disporre l’invio a questo Ufficio, con la massima cortese sollecitudine possibile, di una dettagliata relazione in ordine ai rapporti intrattenuti con la S.I.R.A.P. SpA, specificando la natura e l’entità degli eventuali finanziamenti concessi alla stessa”.
Né Scarpinato, né Lo Forte, ritennero infatti di dovere evidenziare come appariva inopportuno che a condurre le indagini ci fosse anche il figlio del presidente dell’ESPI, nonostante la richiesta degli atti poteva presagire a una possibile incompatibilità.
Ma tant’è, soltanto il 24 settembre 2003, un articolo a firma di Lirio Abbate pubblicato da “La Stampa”, riporterà che “Contro la gestione Pignatone di fascicoli importanti si è schierato anche l’altro aggiunto, Roberto Scarpinato, uscito dal pool antimafia perché ha superato il termine di otto anni voluto dal Csm. ‘Pignatone – ha detto Scarpinato – all’inizio degli anni Novanta, si era occupato, in modo inopportuno, dell’inchiesta mafia-appalti. Nell’indagine era coinvolta la Sirap, società controllata dall’Espi, della quale il padre dell’aggiunto era stato presidente. Sui contenuti dell’inchiesta c’era stata poi una presunta fuga di notizie, nella quale erano stati coinvolti tanto Pignatone quanto Lo Forte. Su questa vicenda indagarono i pm di Caltanissetta che per due volte chiesero l’archiviazione’. Aggiunge Natoli: Pignatone per quanto hanno detto su di lui in passato i pentiti, non dovrebbe coordinare le inchieste sulle cosche di Palermo”.
Nel corso di un’udienza del 2021, sarà invece lo stesso Scarpinato a dichiarare: “c’è un altro riferimento al padre di Pignatone che faceva parte di un ente regionale che si chiamava Espi… Che aveva il controllo sulla Sirap, il quale Pignatone proprio per questo motivo non partecipò assolutamente all’inchiesta Sirap, neanche alla delega Sirap…” – concludendo poi – “Pignatone non fu estromesso per questo perché non c’era la Sirap, la Sirap era dopo il cinque settembre… “.
Eppure dagli atti, e da quella richiesta di Natoli del 30 luglio 1991, così non sembrerebbe…
Con uno sguardo al passato, uno a quello più recente, uno al presente e uno al futuro, la memoria a volte è fallace.
Del resto il rapporto tra Scarpinato e Pignatone poggia su solide basi, sono due colleghi che per tantissimi anni hanno lavorato insieme, e se Scarpinato avesse prestato fede alle parole di Natoli in merito a ciò che avevano detto i pentiti, e se Pignatone fosse stato ancora risentito per le dichiarazioni rilasciate dal collega alla stampa, non v’è dubbio che – come pubblicato da Dago Spia, e contenuto nel libro “Lobby & Logge” scritto da Alessandro Sallusti con Luca Palamara – la strategia pianificata da Palamara per favorirne la corsa alla la Procura generale di Palermo non avrebbe potuto aver luogo.
Nulla di strano, accordi che, come ben sappiamo, rientrano nelle dinamiche delle nomine effettuate dal Csm, e in ogni caso meno discutibili e “invasivi” di quelli riportati da “Il Giornale” in merito a un appunto manoscritto che faceva riferimento a Scarpinato, al Csm e alla nomina di procuratore generale a Palermo, rinvenuto ad Antonello Montante, ex presidente di Confindustria Sicilia, accusato di associazione per delinquere finalizzata alla corruzione e accesso abusivo al sistema informatico.
Alla vicenda dell’appunto in casa Montante, fece seguito un’archiviazione, senza che venisse neanche ipotizzato un reato, da parte della Procura di Catania.
Come si dice in Sicilia, Lu Signuri chiuri ‘na porta e grapi ‘n purticatu, ovvero se il Signore chiude una porta apre un portone, quindi non hai motivo per disperarti.
Figurarsi per gli dei, specie se guardiani delle porte, che possono contare sull’appoggio mediatico di un Rex Sacrorum in diretto contatto con la Madonna e con gli extraterrestri…
Gian J. Morici