
Quello che per Vladimir Putin era iniziato come un sogno fin dalla sua ascesa al potere, non nascondendo mai la sua ambizione di cancellare l’onta della sconfitta della guerra fredda e riportando la Russia alle antiche glorie che furono dell’Unione Sovietica, si è già trasformato nel peggiore degli incubi di ogni dittatore: una fine violenta senza onore né gloria!
Lo insegna la storia.
Da Stalin a Mao Tse-tung, da Hitler a Ceausescu, tutti i dittatori sono stati uomini che all’acme del potere si sono ritrovati in assoluta solitudine, affetti da paranoie che li hanno portati a diffidare persino della propria immagine allo specchio, dando il via a una spirale di violenze che il più delle volte è stata causa della loro stessa fine.
Come avevo già scritto nei primi giorni del mese di aprile dello scorso anno, il terrore di Putin è sempre stato quello di fare la miserevole fine di Gheddafi.
Il fallimento dell’invasione dell’Ucraina – definita da Putin “operazione speciale” – finalizzata a contenere la minaccia di un’espansione della NATO, si è rivelata un vero disastro, poiché ha dato luogo a un rafforzamento dei confini dei paesi dell’ex Unione Sovietica e – in prospettiva – alla realizzazione di nuove basi militari.
Non è stata sufficiente la disinformazione di Stato, il mentire sul numero dei caduti, il vietare ogni forma di esequie impedendo il rientro in patria delle salme – abbandonate sul posto o bruciate con inceneritori portatili – a evitare il dissenso interno.
Un primo segnale molto pesante è stato quello di ieri che ha visto il capo del Cremlino dover scendere a patti con Evgenij Prigozhin, il capo della Wagner, per evitare che questi con poche migliaia di uomini decidesse l’affondo finale marciando su Mosca.
Tramite Lukashenko, il premier (suo servo) bielorusso, Putin ha dovuto fare concessioni a Prigozhin, garantendo a lui e ai suoi uomini il non dovere subire alcuna rappresaglia nonostante l’accusa nei loro confronti di aver tentato un colpo di Stato.
Fine delle minacce rivolte ai “traditori” – così li aveva appellati – che lo avevano pugnalato alle spalle tentando di scatenare una rivolta civile.
Erano trascorse poche ore da quando Putin aveva dichiarato repubbliche autonome Donetsk e Luhansk, quando scrissi questo articolo anticipando il disastro militare, economico e politico in direzione del quale Putin stava spingendo il suo paese, con gravi rischi e conseguenze per il resto del mondo, mentre esperti professori di sociologia del terrorismo facevano le loro comparsate televisive come fossero stati l’Oracolo di Delfi, per annunciare al mondo la vittoria dello “zar”.
Comparsate che avrebbero dovuto far vergognare persino un bambino.
Ma l’Italia è l’Italia, e i “grandi esperti” trovano sempre spazio nelle tv e nelle università, dove i loro compendi di castronerie e assoluta ignoranza in materia di geopolitica e strategia militare, pare rappresentino titoli preferenziali per ambire a prestigiose nomine.
Se anche Putin avesse vinto la guerra – e avrebbe un solo modo di vincerla – in realtà l’avrebbe persa, perché avrebbe condannato il mondo.
La folle giornata di ieri – nonostante sia terminata con la marcia indietro degli uomini di Wagner – è la dimostrazione di come la Russia rischi di cadere nel caos di una rivolta civile.
Una paura trapelata dall’appello di Putin all’unità nazionale, nel discorso di ieri mattina alla nazione.
Un quadro desolante al quale ha fatto da cornice l’appello del generale Surovikin – in evidente stato di alterazione alcolica – mentre l’ex presidente Dmitry Medvedev e altri uomini del Cremlino fuggivano da Mosca.
Cosa accadrà adesso?
Lo scontento serpeggia tra la popolazione russa che dopo mesi di propaganda è costretta a prendere atto dell’enorme danno economico causato dalle ambizioni di uno “zar” che è ormai solo l’ombra di sé stesso.
L’Ucraina cercherà di approfittare di questo momento, mentre sono sempre più numerose le diserzioni da parte dei soldati di Mosca.
Molto dipenderà dai comandanti dell’esercito russo – in questo momento intenti a cercare di capire da quale parte conviene stare -, che potrebbero decidere di voltare le spalle allo “zar” e ribaltare la situazione politica interna del Paese.
L’unico vero rischio – per il resto del mondo – è rappresentato dall’eventuale presa di potere da parte di falchi come Razman Kadyrov, che non hanno fatto mistero di essere pronti a usare armi nucleari.
Ha un limite la follia umana?
Per favore, non chiedetelo agli esperti professori di sociologia del terrorismo, sarebbero capaci di raccontarci che Gheddafi è ancora vivo…
Gian J. Morici