La guerra in Ucraina non procede secondo i piani del Cremlino che giorno dopo giorno si vede costretto a nascondere il fallimento dell’impresa.
Sotto il profilo politico, l’operazione speciale – come la definisce Putin – avrebbe dovuto contenere la minaccia di un’espansione della NATO, si è invece rivelata un vero disastro, poiché ha dato luogo a un rafforzamento dei confini dei paesi dell’ex Unione Sovietica e – in prospettiva – alla realizzazione di nuove basi militari.
L’ampio consenso che Putin riscuote in Russia – anche grazie alla disinformazione di Stato – è destinato a scemare non appena verrà fuori la verità sulle gravi perdite subite dal suo esercito.
Per quanto tempo ancora il capo del Cremlino potrà asconderle?
Finora è stato sufficiente mentire sui numeri, vietare ogni forma di esequie, impedire il rientro in patria delle salme, abbandonate sul posto o bruciate con inceneritori portatili, ma è chiaro che con il passare del tempo il non ritorno di migliaia di ragazzi – più di 7mila secondo fonti occidentali, da 14 a 18mila secondo fonti ucraine – rappresenterà un’ulteriore spina nel fianco per il leader russo.
Le perdite ufficiali dichiarate da Mosca sarebbero di 1.351 caduti dall’inizio della guerra.
Numeri palesemente falsi per nascondere un numero di morti che settimana dopo settimana si avvicina sempre più al totale delle perdite subite dai russi nei nel corso dei nove anni di conflitto in Afghanistan.
Gli ucraini hanno anche creato il sito russoldat.info sito per consentire ai familiari di questi poveri ragazzi di leva russi di conoscerne la sorte, quantomeno di poter sapere se sono morti o sono stati fatti prigionieri.
La paura di Putin nell’immediato non è neppure la conseguenza delle perdite e di una popolarità destinata a venir meno, quanto i timori all’interno della cerchia degli uomini a lui più vicini che – a causa anche dalle sanzioni applicate dall’Occidente alla Russia – iniziano a manifestare più o meno celatamente perplessità sull’opportunità e la riuscita della cosiddetta “operazione speciale”.
Putin ha fatto presto a scaricare le responsabilità sugli apparati – in modo particolare l’intelligence – che avrebbero sbagliato l’analisi iniziale e le strategie militari sulla conduzione del conflitto, esautorandone o facendone arrestare i vertici, nonostante gli errori spesso siano dovuti prevalentemente al timore che gli stessi uomini più fidati hanno di lui, finendo con il mentire pur di non contrariarlo.
Una storia comune a molti dittatori, spesso causa della loro stessa fine, come nel caso di Stalin, morto perché nessuno del suo entourage, per paura, osava disturbarlo in camera da letto.
Comune è anche la paranoia di cui soffrono i dittatori, i quali finiscono con il vedere ovunque nemici – il più delle volte immaginari – da eliminare, spesso all’interno della loro cerchia di amici o della loro stessa famiglia.
A tal proposito è sufficiente ricordare il leader del Partito Comunista Cinese Mao Tse-tung – che non esitò a far condannare e uccidere i suoi cari – e in epoca più recente il coreano Kim Jong.
I dittatori per mantenere il potere sono costretti a ricorrere alla violenza, creandosi sempre più nemici da dovere eliminare.
Oltre agli oppositori, c’è sempre il rischio di un antagonista interno che miri a prendere il suo posto.
Tutto ciò alimenta una spirale di violenza che il più delle volte sarà la causa della fine del tiranno, le cui paranoie saranno comunque già costate la vita a molte persone, nemici o presunti tali che siano.
La storia ci insegna che i dittatori sono uomini i quali all’acme del potere si ritrovano in assoluta solitudine – diffidando persino della propria immagine allo specchio – e difficilmente muoiono di morte naturale.
Ed è proprio la storia passata, il ricordo di chi li ha preceduti, il fantasma che avvelena le notti del tiranno.
La fine di Mussolini, portò Hitler a ordinare che i suoi resti venissero bruciati dopo la sua morte.
Se il suicidio fu l’ultima stazione per fuggire dalla realtà – come scrisse Albert Speer – la scomparsa del suo corpo doveva rappresentare l’ultimo rifugio per evitare che la sua salma venisse profanata.
Mussolini, Hitler, Ceausescu, sono soltanto i nomi di alcuni dittatori che hanno fatto una fine violenta, ma il vero incubo di Vladimir Putin, è la miserevole fine di Gheddafi.
Il dittatore russo difficilmente potrebbe fare la stessa fine.
Probabilmente nessuno – tranne qualche fedelissimo – lo vedrebbe urlare, lo sentirebbe piangere o implorare pietà, è assai più probabile che il tutto si risolva alla maniera russa coperto dal più assoluto silenzio.
Ecco perché sono proprio i suoi fedelissimi coloro i quali rischiano di essere eliminati a causa delle paranoie di un dittatore che si sta conquistando con il sangue di tanti innocenti un posto vergognoso nella storia.
Gian J. Morici