Tante volte ho immaginato un (im)possibile dialogo con lo Stato.
Non fraintendetemi.
Non alludo a quello che ogni cittadino ha – ogni santo giorno – con l’apparato statale nelle sue mille articolazioni.
Dalla Agenzia delle Entrate all’ufficio del Catasto, dal Genio Civile ad una Prefettura (e chi più ne ha più ne metta…).
No. Non a quello mi riferisco.
Il dialogo che la mia fantasia ipotizza rende corporea questa entità che ha apparenza astratta, ma un peso assai materiale nel nostro quotidiano.
Devo dire che ho avuto qualche difficoltà a dargli una forma umana.
Forse per pigrizia mentale me lo sono raffigurato maschio, anziano, massiccio, barbuto; con voce burbera e modi spicci al limite dell’ineducazione.
Insomma, un Babbo Natale senza casacca rossa e senza doni, affaticato nei suoi anni dai tanti (troppi) doveri e infastitido dai milioni di cittadini da gestire.
Questo è il testo della conversazione che mai nessuno potrà registrare.
Si trova solo e soltanto nella mia mente e, per questo, è a prova di Palamari e Trojan.
Noterete che, mentre quel burbero interlocutore mi dà del tu, io interloquisco devotamente dandogli del Voi.
La cosa mi fa sorridere perché mi ricorda ciò che mio nonno imponeva a mio padre: il Voi come segno di rispetto, sempre e comunque.
STATO: Cosa vuoi che ti dica, dipendente mio? E’ tutto una follia, una immensa, incredibile follia…
ME: Perché questo pessimismo, o mio signore e datore di lavoro?
STATO: Guardati attorno! Gli uomini politici che rincorrono le farfalle, nelle loro fulgide e danarose carriere, mentre io sprofondo tra i detriti portati dalle piogge.
ME: Beh… è l’effetto del cambiamento climatico, del buco nell’ozono, delle coincidenze astrali e delle macchie solari. Voi non ne avete colpa…
STATO: Cosa dici? Comprendo che – da dipendente quale sei – devi ossequiarmi e rispettarmi, ma non ti permetto di prendermi in giro!
ME: Non mi permetterei mai. Ho lavorato per Voi quasi quaranta anni e ho sempre cercato di onorarVi anche se spesso ho subìto, ingiustamente, le Vostre punizioni.
STATO: Non voglio sentire proteste e rimostranze! Ne ho fin sopra i capelli bianchi di tutte le proteste quotidiane dei miei lavoratori! E ancora di più ne ho piene le tasche (anzi, me le hanno per intero svuotate…) delle grida di coloro che non hanno lavoro ed esigono da me un sussidio per sopravvivere. Non posso pensare a tutti. Io sono da solo e loro sono in tanti ad invocare qualcosa.
Si dovrebbero chiedere – come esortava Kennedy – cosa loro possono fare per me, per lo Stato, invece di interrogarsi sul contrario. Ecco, così si migliorano le cose!
ME: Ammetterà che Voi possedete una organizzazione e con essa strumenti importanti per creare un paese giusto e solidale, mentre i singoli poco o nulla possono fare.
STATO: Questo potrebbe essere vero se solo questi strumenti e questa organizzazione fossero usati nel modo più appropriato. Ed invece guarda cosa accade!
ME: Il mio sguardo mi fa percepire tanta ignoranza e indifferenza. In parole povere mancanza di patriottismo e di amore verso il paese in cui si ha la fortuna di essere nati.
STATO: Se fosse solo questo ne potremmo venire a capo con tante scuole ed un esercito di insegnanti. Ma non è solo questo il problema…
ME: E allora qual è il vero problema?
STATO: Il vero problema – caro il mio stipendiato – è che io, lo Stato, sono vecchio e che è vecchio tutto ciò che avviene attorno a me. Ogni parte di me è vetusta.
Facciamo l’esempio della Legislazione. Una tragedia! Continuano a produrre norme primarie a getto continuo, senza preoccuparsi di quelle esistenti. La conseguenza è quella che coesistono norme contraddittorie e scollegate in cui nessuno più ci capisce niente. Alla vecchiaia, quindi, si aggiunge l’incertezza. Cammino come un uomo anziano e zoppo, facile a cadere ad ogni ostacolo.
ME: Già… la certezza del Diritto sarebbe almeno un solido bastone sul quale Voi potreste appoggiarvi…
STATO: Il famoso bastone della vecchiaia, ma neppure quello mi danno. I cittadini sono disorientati, i giudici sono perplessi. Pure la Cassazione lo è!
Gli amministratori pubblici paralizzati tra la paura di fare e il terrore di ciò che hanno fatto. Una burocrazia che come l’artrosi, la gotta, lo scorbuto mi opprime e non mi permette neppure di mostrarmi come padre e non come padrone.
ME: In effetti è così che i cittadini Vi percepiscono fin da quando l’Italia è una Repubblica e, quindi, dal 3 giugno 1946. Insomma… a 76 anni, se portati bene possono farsi ancora tante cose…
STATO: Vorrei tanto, ma guardami! Pensi davvero che possa cambiare la mia sorte sapendo che 204.162 atti normativi incollano il mio culo su una sedia a rotelle? Pensi possa muovermi anche solo facendo forza con le mani sulle ruote allorché ho coscienza del fatto che non so neppure se negli atti fisiologici che vado a compiere (come i Decreti del Presidente del Consiglio dei Ministri) si nasconda qualcosa di normativo o amministrativo? Non so nulla. Non controllo nulla. Governo nella cecità e nella paralisi delle mie funzioni. Redistribuisco solo l’incertezza del mio misero stato.
ME: Il Vostro pessimismo mi annienta. Ma allora cosa possiamo fare noi come cittadini e patrioti?
STATO: E me lo chiedi pure? Tu che fai il magistrato e dovresti essere il primo a saperlo? Semplice. Aiutatemi a rialzarmi! Per Bacco! Mettetemi in piedi. Sarò pure anziano, ma ho un grande futuro dietro le spalle, fatto di tanti uomini e donne che – eroicamente – hanno dato la loro vita per me. Fatelo per me e per il futuro di tutti coloro che credono in me. Toglietemi questa colla dal culo e sarò ancora il vostro buon padre per il tempo a venire…
Un buon regista adesso direbbe: dissolvenza.
Occorrerebbe trovare qualcosa di veramente importante per il finale di questo dialogo (im)possibile di una piovosa serata di novembre.
Ma la mano si blocca sul tasto e, così, lascio a voi ogni possibile conclusione…
Lorenzo Matassa