La vicenda risale al 24 maggio, quando il Comando Provinciale dei Carabinieri di Palermo riceve una pec avente per oggetto “Segnalazione cautelativa urgente”, dal contenuto che appare come una minaccia all’indirizzo dei figli del maresciallo Lombardo.
Un contenuto criptico che sembra finalizzato a costringere i figli di Lombardo a non proseguire nella ricerca della verità sulla morte del padre.
Una morte che a distanza di 26 anni rimane avvolta nel mistero.
Antonino Lombardo, Maresciallo dell’Arma dei Carabinieri, il 4 marzo 1995, venne rinvenuto privo di vita nella sua auto, all’interno del cortile del Comando Legione carabinieri Sicilia di Palermo.
Le indagini portarono alla conclusione che Lombardo quella sera aveva deciso di togliersi la vita, sparandosi con l’arma d’ordinanza, e il caso venne archiviato come “suicidio”.
Uno strano suicidio quello di Lombardo, al quale non hanno mai creduto i figli Fabio e Rossella.
E di motivi per dubitare ne hanno tanti (leggi l’intervista a Rossella Lombardo), dalla lettera rinvenuta accanto al cadavere, alla posizione dello stesso, alla mancata autopsia, al luogo del presunto suicidio, all’ogiva del proiettile.
Un’ogiva non deformata, che sembra non trovarsi nell’immediatezza dei fatti, salvo quanto riportato dai verbali della Scientifica, che avrebbe rinvenuto il proiettile dietro la macchina. “Che traiettoria ha fatto quel proiettile?” – si chiedeva nell’intervista Rossella Lombardo.
Tante anomalie, troppe anomalie, per un presunto suicidio i cui atti sono stati immediatamente secretati e desecretati solo a distanza di tanti anni.
Sulla sua morte ha sempre aleggiato il mistero del viaggio programmato negli Stati Uniti, per portare in Italia il boss Gaetano Badalamenti, che – era risaputo – sarebbe venuto a testimoniare a un processo soltanto se a prenderlo fosse andato Lombardo.
A distanza di 26 anni dalla sua morte, i figli non avevano mai ricevuto minacce o intimidazioni, fin quando, il 20 di agosto, la figlia Rossella non veniva convocata presso la Caserma di Terrasini, e portata a conoscenza di quella strana pec ricevuta il 24 maggio dal Comando Provinciale di Palermo.
Una mail nella quale Rossella e Fabio (i figli del maresciallo Lombardo) vengono indicati come “colleghi” dei Carabinieri. Nella quale vengono chiamati in causa altri soggetti, come i Carabinieri di Catanzaro e un’altra persona indicata come “sorella” dei “colleghi” Rossella e Fabio.
I toni utilizzati dallo scrivente, non lasciano dubbi sulla sua determinazione a voler impedire che i figli del maresciallo Lombardo (e gli altri soggetti chiamati in causa) proseguano nella loro attività di ricerca della verità su quanto accadde quella notte di marzo di 26 anni fa.
Chi scrive, intima con toni minacciosi che eventuali spostamenti (da Messina a Catanzaro) delle persone indicate, verranno visti come un atto di crescente sfida nei confronti del mittente.
Che sfida? Perché? E a quali conseguenze dovrebbe portare?
Sembrerebbe quasi che il maresciallo Lombardo (o quantomeno la sua fine) continui a fare paura anche dopo morto.
Prescindendo dall’eventuale minaccia, si tratta comunque di un episodio inquietante che potrebbe avere risvolti diversi, poiché è noto che i familiari di Lombardo tramite il loro legale, l’Avv. Alessandra Maria Delrio si sono attivati per far riaprire il caso dello strano “suicidio” del maresciallo.
Un messaggio dunque che potrebbe indurre a ritenerlo un invito a non procedere alla riapertura del caso.
La mail, è stata inviata prima che andasse in onda l’intervista di Fabio Lombardo nel corso del programma televisivo di Massimo Giletti, quindi non è riferita all’esposizione mediatica del figlio del maresciallo.
La riapertura del caso Lombardo è qualcosa di molto delicato e l’indirizzo della pec porta un nome pesante sotto il profilo giudiziario, un nome noto…
Quale accezione può avere il termine “carabinieri” rivolto ai figli di Lombardo?
Se si trattasse di una minaccia, così come sembra, non sarebbe stato opportuno, ai fini della sicurezza dei destinatari, avvisarli in tempo, anziché portarli a conoscenza tre mesi dopo che la mail di posta certificata era pervenuta ai carabinieri?
Comunque stiano le cose, se l’effetto della pec voleva essere quello di intimidire i figli di Lombardo, pare che l’obiettivo del mittente non sia stato raggiunto.
Oggi più che mai, i famigliari ed il legale si sentono stimolati nel continuare a ricercare la giusta interpretazione di quel lontano 4 marzo.
“Se qualcuno sente ancora oggi la necessità di intimidire – dichiarano – è evidente che la strada della verità è ancora percorribile”.
Resta il mistero di una pec inviata al Comando Provinciale dei Carabinieri di Palermo, rispetto la quale pare che i militari non potrebbero risalire all’effettivo titolare, senza l’autorizzazione del magistrato.
Dinanzi la presentazione della querela – che per la cronaca è già stata depositata – sussistono ulteriori ragioni ostative perchè non si riesca a individuare il mittente del gravissimo gesto intimidatorio?
Gian J. Morici