Alla Fiera dell’Est, per due soldi, un topolino mio padre comprò.
E venne il gatto, che si mangiò il topo…
Nel leggere il libro di Luca Palamara sul Sistema che ha gestito le nomine dei magistrati ai vertici di procure e tribunali d’Italia, verrebbe da canticchiare la canzone di Angelo Branduardi, “Alla fiera dell’Est”…
Giochi di correnti, scambi di favori, nomine pilotate. Ma siamo certi che tutto il marcio sia da attribuire soltanto a strategie e interessi correntizi, o nelle pentole dove cuociono i minestroni più succulenti, entrano in gioco altri fattori?
Le correnti della magistratura hanno certamente avuto un ruolo determinante in quasi tutte le nomine dei magistrati, con accordi che andavano ben al di là della valutazione dei titoli dai medesimi posseduti.
In Sicilia, se vuoi fare un buon minestrone, lo devi far cuocere nella “pignata” (pentola) a fuoco lento.
Pare che anche certi minestroni propinati dal Csm, abbiano risposto alla regola della “pignata”, seppur talvolta il risultato finale lo raggiungeva il Consiglio di Stato.
Non è infatti una novità che a “occupare” qualche poltrona di importanti uffici giudiziari, siano andati magistrati sine titulo.
Persino i ricorsi al Tar da parte di candidati esclusi – che pur in quella sede ottenevano sentenze favorevoli – servivano a ben poco.
È la storia degli abusivi, e degli abusi, che in qualsiasi altra amministrazione pubblica avrebbe fatto scattare le manette ai polsi di molti dei protagonisti.
Che in verità, bisogna ammettere, qualcuno la stretta dei braccialetti la conobbe, ma per altre ragioni, seppur sempre in qualche modo collegati a “pignate” e “pignatoni” all’interno dei quali qualcosa bolle sempre.
Ma se il diavolo fa le pentole e i pentoloni, il proverbio vuole che non faccia i coperchi.
A giudicare dalla recente sentenza del Consiglio di Stato che nel confermare la sentenza del Tar-Lazio ha dato ragione a Marcello Viola, “fatto fuori” dalla corsa alla nomina ai vertici della procura di Roma (dallo stesso Csm che dapprima lo aveva votato) preferendogli Michele Prestipino Giarritta, romano di origini siciliane, in perfetta continuità con il suo predecessore, Giuseppe Pignatone (che non vogliamo far peccato a collegarlo a “pignate” e “pignatoni”) verrebbe proprio da dire che il diavolo fa le “pignate” ma non i coperchi…
Sarà vero?
Trattandosi di Viola sarebbe troppo semplice pensare che il tutto si risolva nelle bacchettate assestate dal Consiglio di Stato al Csm per la nomina illegittima di Michele Prestipino a procuratore di Roma.
La storia di Marcello Viola – attuale procuratore generale di Firenze – è abbastanza complessa.
A partire da quando venne coinvolto in un noir tutto siciliano, indagato con la collega Maria Teresa Principato, ex procuratore aggiunto di Palermo, per anni impegnata nelle indagini sulla ricerca di Matteo Messina Denaro, per rivelazione del segreto d’ufficio con l’aggravante dell’articolo 7, cioè aver agevolato la mafia, per aver scambiato informazioni con la collega nell’ambito di indagini finalizzate alla cattura del boss latitante.
Un autentico flop da parte di chi conduceva le indagini, che vide protagonista anche l’appuntato della Guardia di Finanza, Calogero Pulici – assistente di polizia giudiziaria per anni applicato alla segreteria dell’ex procuratore aggiunto della Dda di Palermo, Maria Teresa Principato – la cui vicenda si concluse con ben sette assoluzioni e la strana scomparsa del suo computer dall’ufficio della procura di Palermo .
Un computer che conteneva atti d’indagine segreti relativi a quel Matteo Messina Denaro che ormai da decenni si dice prossimo alla cattura, senza che venga mai catturato.
E il noir, diventa sempre più scuro, tanto che pare che il furto di quel computer non sia neppure da considerare reato…
Non meno complessa la vicenda attuale di Viola, stoppato nella corsa alla procura di Roma a causa di una fuga di notizie pubblicate dalla stampa, che – seppur lo vedeva estraneo agli accordi sottobanco condotti da Palamara – nonostante fosse stato definito dal pm Luigi Spina, all’epoca consigliere del Csm, come “l’unico che non è ricattabile”, si vide sfumare la nomina a procuratore della Capitale dopo essere già stato votato dal Csm che avrebbe soltanto dovuto ratificarla.
Che cosa accadrà adesso?
Dopo il pronunciamento del Tar e del Consiglio di Stato, che avrebbe dovuto mettere la parola fine a questa telenovela decidendo anche sul ricorso presentato dal procuratore di Palermo, Francesco Lo Voi, contro la nomina di Michele Prestipino Giarritta a procuratore di Roma, ecco pronto un rinvio che torna ad aprire all’ipotesi di una “pax romana”, già ventilata nel mese di febbraio, che vedrebbe Lo Voi collocato al vertice della direzione nazionale antimafia, e Viola alla Procura Generale di Palermo, o al posto di Lo Voi a capo della Procura.
Nelle more, del resto, probabilmente l’unica prospettiva che rimarrebbe a Viola sarebbe quella di un ulteriore ricorso in giudizio per ottenere una sentenza a lui favorevole che obblighi l’amministrazione a ottemperare al giudicato amministrativo.
A prescindere dall’esito, per nulla scontato, chissà per quanto tempo ancora la decisione su Roma rimarrebbe congelata.
E se in politica tutti sappiamo cosa significa fare il pane con i due forni, ancora non tutti hanno l’idea di come in terra di Sicilia il minestrone si cuoce in grandi “pignate”… in “pignatoni”…
In attesa che il bollore di una “pignata” scongeli questo minestrone e lo porti definitivamente a cottura, Viola vada pure dove vuole, purchè lasci in pace quella che fu la Patria di Gaio Giulio Cesare.
E se proprio ci tiene ad andare in un luogo che in qualche modo sia legato al nome Cesare, che vada a Ciudad de los Césares – pare si trovi in Cile o in Patagonia – che se non a Gaio Giulio deve il nome, quantomeno viene ricordata per il racconto – a dir il vero fantasioso – di quel tal Francisco César, che tornato carico d’oro e d’argento da questa mitica città, diede il via a varie spedizioni di avventurieri che spesso non fecero mai ritorno a casa.
E siamo certi, che in molti non se ne dispiacerebbero…
Insomma, vada pure dove vuole (e solo la decenza mi impedisce di dire dove taluni vorrebbero andasse) purchè lasci perdere Roma.
«La pentola la abbiamo scoperchiata noi», disse Papa Francesco nel 2019, di ritorno da un viaggio in Thailandia e in Giappone, affrontando la vicenda degli scandali finanziari in Vaticano.
E i pentoloni?
Se all’improvviso si spegnesse la fiamma che serve a far cuocere i minestroni, potremmo dire che il diavolo fa “pignate” e “pignatoni, e magari pure padelle, ma non i coperchi… Solo in questo caso…
Gian J. Morici
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