ROMA – «Saremo il primo Paese in Europa che vieta totalmente la pubblicità del gioco d’azzardo». Così, poco più di un anno fa, Luigi Di Maio salutava il divieto di spot per le aziende di giochi e scommesse, contenuto nel decreto Dignità. Appunto, l’unico Paese: al di là dei nostri confini vigono semmai norme moratorie, ma nessun divieto assoluto. E questo rischia di cristallizzare una latente discriminazione a danno delle aziende, italiane e straniere, che operano in Italia con regolare concessione. Il problema, spiega Agipronews, si è palesato soprattutto all’inizio di questa stagione calcistica, visto che dallo scorso luglio sono cessati, secondo quanto prescriveva la legge, tutti i contratti pubblicitari e le sponsorizzazioni che legavano marchi di giochi alle squadre italiane. Mentre nei nostri stadi il divieto è rispettato rigidamente, in quelli esteri le pubblicità del gaming continuano logicamente ad apparire, entrando anche nelle case degli italiani attraverso le emittenti televisive che hanno acquisito i diritti dei campionati esteri e delle coppe europee. Un esempio tra tanti: nel derby di Madrid del 28 settembre, trasmesso in Italia, gli sponsor di giochi che campeggiavano in bella vista erano tre: uno a fianco delle due porte, uno sulla prima fascia di led a bordo campo, un altro sulla seconda fascia. Una presenza ancora più beffarda per i concessionari italiani, dato che si tratta di marchi che operano anche nel nostro mercato.
Sponsor e scommesse/2 – calcio: tivù nel mirino, per la legge devono oscurare i marchi proibiti
ROMA – Su questo tema è intervenuto circa un mese fa, dopo la prima tornata delle coppe europee, un tweet di Remigio Del Grosso, vice Presidente del Consiglio Nazionale degli Utenti dell’Agcom: «Mi dispiace per SkySport e TV8, ma tutti devono rispettare il divieto di pubblicità (indiretta) del gioco d’azzardo. Le squadre estere con sponsor bet non posso passare sugli schermi italiani». In effetti, l’articolo 9 del decreto Dignità vieta la pubblicità ad aziende di giochi «comunque effettuata e su qualunque mezzo», quindi anche sul mezzo televisivo. «La provocazione del dottor Del Grosso è più che legittima – dice ad Agipronews l’avvocato Cesare Di Cintio, esperto di diritto dello sport – tuttavia è difficile immaginare che un’emittente televisiva possa oscurare una partita dopo averne acquisito legittimamente i diritti. Esiste inoltre una grande differenza secondo il mio punto di vista, tra la trasmissione di un evento sportivo e la pubblicizzazione di giochi e scommesse». Nessun problema, invece, per le emittenti, quando squadre estere sponsorizzate da aziende di giochi, vengono a giocare in Italia: «I club sono soggetti alle norme dell’ordinamento in cui disputano le partite», ricorda Di Cintio, quindi nel caso di partite in territorio italiano devono togliere lo sponsor dalla maglia. «È stato il caso del preliminare di Europa League di quest’anno, dove in Torino-Wolverhampton, la squadra inglese ha indossato la divisa priva del logo del jersey sponsor “ManBetX”, società di scommesse sportive. Accadde anche al Milan nel 2008-09: quando andò a giocare a Zurigo e a Marsiglia, scese in campo senza lo sponsor “Bwin” sulla divisa, proprio per una norma vigente all’epoca sia in Svizzera che in Francia».
Sponsor e scommesse/3 – calcio: in Premier League accordi di partnership per dieci club su venti
ROMA – Se in Italia si censura, all’estero il calcio beneficia a piene mani di sponsorizzazioni e pubblicità provenienti dai giochi. Il maggiore affollamento è in Premier League: la metà dei venti club esibisce sulla maglia marchi del Gambling. In Spagna, uno degli Official Partner della Liga è Sportium, società attiva nelle scommesse, nata dalla joint venture tra Cirsa e Ladbrokes Coral Group. Quanto ai club, sette su venti hanno sponsor di maglia del settore. Minore l’incidenza in Germania e Francia. Nella Bundesliga, c’è uno sponsor di maglia per il Paderborn e uno sulla manica per il Mainz. Nella Ligue 1, il Montpellier è l’unico club legato a un’azienda di scommesse. Il panorama nei principali campionati si allarga notevolmente se si tengono in considerazione non solo gli sponsor di maglia, ma anche accordi di altro tipo (bordo campo, ecc.).
Sponsor e scommesse/4 – calcio: aumentano gli accordi per il mercato estero, così il calcio italiano reagisce al crac da 100 milioni
ROMA – L’entrata in vigore del divieto impatta pesantemente sui conti del calcio italiano. Secondo una segnalazione inviata lo scorso luglio dall’Agcom al Governo, la perdita in termini di ricavi «si stima in circa 100 milioni di euro l’anno, con la conseguente sostanziale penalizzazione in termini di competitività nei confronti delle altre Leghe europee». A questo impatto diretto «dovrebbe poi aggiungersi un effetto indiretto in termini di ripercussioni occupazionali su tutta la filiera che ne uscirebbe assolutamente indebolita rispetto a quelle straniere». In Europa, ha scritto ancora Agcom, «il mercato delle sponsorizzazioni nel calcio e nello sport ha raggiunto nel 2018 il valore di oltre venti miliardi di euro» e «i ricavi da sponsorizzazione derivanti dalle società di betting rappresentano una importante fonte di guadagno per i club delle massime divisioni delle principali cinque Leghe Europee».
Chiusi i rubinetti nazionali, i club italiani si stanno rivolgendo all’estero: la Juventus ha siglato una partnership con il bookmaker maltese 10Bet destinata al mercato internazionale; la Roma, dopo aver perso Betway (emigrata sulle maglie del West Ham e presente anche in Liga, sponde Leganés e Levante) ha stretto un accordo con Awcbet.com, “regional betting partner” per l’Asia; di recente, il Bologna si è posto sulla stessa strada firmando un contratto con Jbo, anche questo destinato al continente asiatico.
Stop alla pubblicità di giochi e scommesse, De Siervo (ad Lega Serie A): “Legge giusta nelle finalità ma da modificare, evidenti i danni per il calcio italiano”
ROMA – Sacrosanta la lotta alla ludopatia ma, così com’è, la legge che dal luglio scorso vieta pubblicità e sponsorizzazioni alle società di scommesse danneggia lo sport e non raggiunge le finalità per le quali è stata approvata. Questo il parere di Luigi De Siervo, amministratore delegato della Lega di Serie A, che in un’intervista rilasciata ad Agipronews fa un primo bilancio sugli effetti della normativa, a tre mesi dalla sua entrata in vigore.
La Lega è stata critica fin dal primo momento nei confronti del divieto. Le previsioni pessimistiche hanno già trovato una conferma?
«In effetti la Lega Serie A ha espresso in più occasioni, e nelle sedi opportune, la propria preoccupazione per una legge che ha creato un danno evidente sui bilanci dei club italiani, riducendone i ricavi in modo considerevole. Se si guarda al panorama europeo, il mercato delle sponsorizzazioni nel calcio e nello sport nel 2018 ha raggiunto il valore record di oltre 20 miliardi di euro, e i ricavi da sponsorizzazione derivanti dalle società di betting rappresentano una notevole fonte di guadagno per i club delle massime divisioni delle top 5 Leghe Europee. In Italia per il solo sistema calcio si stima una perdita annua superiore ai 100 milioni di euro».
Qualche mese fa, davanti alla Commissione Cultura della Camera, lei ha parlato di danno grave alla competitività delle nostre società in campo internazionale.
«La penalizzazione in termini di competitività nei confronti delle altre leghe europee è evidente. Più della metà delle nostre squadre ha dovuto interrompere un accordo di partnership con aziende del comparto betting, la quinta categoria merceologica come investimenti nella classifica delle sponsorizzazioni di maglia dei sei principali tornei europei. Per fare un paio di esempi, Betway, l’azienda che aveva siglato una partnership con la Roma, è attualmente lo sponsor di maglia con il più alto contratto in Premier League, oltre 10 milioni di euro con il West Ham. Allo stesso modo, Marathonbet ha lasciato la Lazio per sottoscrivere un accordo con il Siviglia».
È il calcio il settore che ha subito maggiormente gli effetti di questo divieto di sponsorizzazione dei brand di giochi e betting?
«La perdita non riguarda soltanto il sistema calcistico italiano, ma anche l’editoria e il mercato televisivo, ad esempio, subiranno una forte diminuzione dei propri introiti. Lo stesso Stato italiano nei prossimi tre anni rischierà di perdere sino a 700 milioni di gettito erariale a causa del divieto per questo tipo di advertising, senza considerare il rischio del taglio di molti posti di lavoro per le aziende italiane operanti nel betting. Infine avremo ripercussioni a catena anche sul valore degli spazi pubblicitari gestiti dai centri media, che evidentemente diminuiranno il loro valore in assenza di investitori, un indebolimento progressivo che andrà ad incidere sull’Italia come paese candidato ad ospitare grandi eventi internazionali o anche sulla possibilità di investire sul rifacimento degli stadi».
La Lega sta facendo passi nei confronti del Governo per una revisione della normativa?
«C’è massimo rispetto e collaborazione con il Governo per le finalità del provvedimento, ma bisogna rendersi conto che il gioco d’azzardo è il vero obiettivo da colpire per aiutare coloro che soffrono di ludopatia. A distanza di qualche mese dall’entrata in vigore del decreto Dignità, che ha introdotto il divieto, possiamo constatare che le misure adottate non si sono rivelate efficaci. Serve un intervento che consenta di salvaguardare la finalità della norma, ma che non diminuisca le risorse delle nostre Società, risorse che servono per acquistare giocatori forti, per rifare gli stadi, per investire nei vivai».
A suo giudizio, cosa si potrebbe fare per circoscrivere e ridurre il problema della ludopatia?
«In primo luogo il contrasto dovrebbe avvenire con appositi programmi di prevenzione, educazione e disincentivo al gioco patologico. Si può pensare anche di destinare a questi programmi una quota
dell’investimento pubblicitario delle aziende di betting. Il divieto di ogni forma di comunicazione e pubblicità favorisce il proliferare del gioco clandestino, individuato dagli esperti come la vera causa delle ludopatie. Da ultimo, ma non per ultimo, è bene evidenziare che il fenomeno della dipendenza afferisce maggiormente i giochi di puro azzardo, e non le scommesse sportive, per le quali è richiesta comunque una forte base di razionalità, di studio statistico e di calcolo che mal si conciliano con la compulsività del gioco d’azzardo».
A proposito di formazione, come si muove la Lega Serie A?
«Il sistema calcio italiano è preso dai Paesi esteri come modello di riferimento per le iniziative e i corsi di formazione contro il match-fixing che organizziamo per i nostri calciatori, dalla Serie A alle giovanili. Trovo paradossale che proprio questo sistema sia penalizzato con la sottrazione di risorse che venivano dedicate, tra l’altro, proprio a questi programmi di educazione».
Nel suo intervento alla Commissione Cultura lei fece una distinzione fra le promozioni televisive e la possibilità per i club di esibire sulla maglia o a bordo campo sponsor del betting: può essere una linea plausibile in vista di possibili modifiche della legge?
«Mi auguro ci possa essere un intervento delle forze politiche in questo senso. Non possiamo equiparare le sponsorizzazioni di brand di aziende di betting con chi divulga il gioco legato, ad esempio, all’azzardo e alle slot machine. Si potrebbe magari ragionare sulla non promozione delle quote live, che potrebbero ingenerare il gioco compulsivo.
Alcune società (Juve, Roma, ora anche il Bologna) stanno concludendo contratti con sponsor di scommesse destinati al mercato estero. Qual è il suo giudizio al riguardo?
«È legittimo che le nostre società sfruttino le possibilità offerte dalla tecnologia. Oggi, utilizzando la virtual overlay, è possibile customizzare le proprie sponsorizzazioni all’estero con brand diversi per differenti territori. Il dato penalizzante per le nostre Società, ancora una volta, riguarda brand e loghi di società di betting che vengono visti in Italia durante partite internazionali trasmesse in televisione sul territorio italiano. Oltre al danno di cui abbiamo parlato poco fa c’è quindi la beffa di società di betting che scelgono di investire in sponsorizzazioni all’estero e fanno comunque pubblicità visibile in Italia comparendo sulle maglie di squadre straniere le cui partite sono diffuse in tv anche in Italia».
Secondo alcuni esperti della normativa riguardante i giochi, il dibattito andrebbe trasferito in ambito comunitario, puntando a una disciplina valida per tutti gli stati membri. La ritiene una strada condivisibile?
«Comparando la normativa italiana con quella europea, emerge evidente la forte asimmetria – a tutto svantaggio dell’Italia – nel trattamento del fenomeno. Italia, Lettonia e Lituania sono gli unici tre Paesi membri dell’Unione europea che vietano la pubblicità dei giochi in forma assoluta. Nel resto d’Europa, invece, il divieto di pubblicità riguarda gli operatori illegali, mentre quelli legali operano in un contesto in cui la pubblicità è possibile, anche se fortemente regolamentata e orientata a tutela dei consumatori attraverso una comunicazione commerciale ricca di informazioni. In Premier League, da sempre considerata il benchmark per la riconosciuta capacità di generare risorse, il 50% dei club ha come sponsor di maglia una società di gaming, per un importo di quasi 80 milioni di euro annui, e in tutti gli stadi sui led a bordocampo appaiono pubblicità di aziende di betting. Addirittura in Championship, l’equivalente della Serie B italiana, sono 17 su 24 le squadre con questo tipo di sponsor. In Spagna, nella Liga, 19 squadre su 20 sono sponsorizzate da aziende operanti nel settore betting. Credo sia urgente una riflessione sulla disparità che sta subendo il nostro Paese all’interno dell’Europa».