Caro Calcara, caro nel senso che Lei ben comprenderà se solo fa due conticini di quanto è costata allo Stato – quindi ai contribuenti – la sua collaborazione con la giustizia. Quella collaborazione la cui veridicità è oggi messa in dubbio da molti, oltre che dalle sentenze che hanno sancito in modo inequivocabile la sua inclinazione al mendacio.
Mi trovo a scriverle questa lettera aperta, in quanto, essendo Lei un “pentito”, il suo indirizzo deve rimanere segreto. Segreto, nonostante Lei stesso lo abbia strombazzato ai quattro venti, compreso sui social network, ogni qualvolta ha invitato i suoi estimatori ad aiutarla economicamente.
Qualche giorno fa ho ricevuto comunicazione di una querela sporta da Lei nei miei riguardi per una presunta – ma assai presunta – diffamazione a mezzo stampa. Non è la prima volta che ricevo una querela, ma posso assicurarle che ad oggi – a differenza sua – non ho mai riportato una condanna.
Non perché abbia potuto godere di varie prescrizioni, così come Lei per sua fortuna, risparmiandosi lunghi anni di carcere, bensì per essere stato giudicato innocente dai giudici e magistrati che hanno vagliato la mia posizione.
Le querele che ho ricevuto avevano lo scopo di intimidirmi affinché non scrivessi più sull’argomento – scopi mai raggiunti – e come Lei comprenderà, nonostante la certezza di non aver commesso alcun reato, non v’è dubbio che un senso di fastidio dinanzi la notifica di una querela lo si prova sempre. La sua querela, invece, ha peculiarità che altre non avevano. Non mi era mai successo infatti di scoppiare a ridere dinanzi una notifica. Mi è stato sufficiente apprendere il nome del querelante, per avere una reazione che in circostanze diverse non avrei avuto. Di questo devo ringraziarla. Mi ha regalato cinque minuti di ilarità in una grigia giornata che avrebbe messo di malumore chiunque.
Ma andiamo ai fatti. La sua querela risale a parecchi mesi addietro, quando ancora non avevamo avuto i contatti telefonici iniziati, e quasi subito terminati, ai primi del mese di giugno dello scorso anno.
Ricorda di avermi anche anticipato della querela nel corso delle telefonate, allorquando palesava l’intenzione di rimetterla, mentre io la invitavo ad andare avanti?
Bene, se ne ha chiaro il ricordo, ricorderà anche tutto quello che ci siamo detti nel corso di quelle lunghissime telefonate, grazie alle quali – nonostante a volte fossero noiosissime visto che i suoi monologhi tendevano a tessere le sue stesse lodi – oggi posso dimostrare a chiunque la correttezza di quanto avevo in precedenza scritto.
Sì, grazie alle sue accuse, finalmente potrei vederla costretto a rispondere dinanzi un giudice di quanto da Lei asserito, o confermato, in data successiva alla querela. Ricorda di quel tal Matteo Messina Denaro, il cui nome non lo dichiarò mai quando iniziò a collaborare con la giustizia nel’91? Ricorda quando mi disse che me ne avrebbe spiegato la ragione? Io un’idea me la son fatta. Spero sia la volta buona che, a distanza di oltre 27 anni da quando iniziò a collaborare, voglia darne spiegazione in un’aula giudiziaria, così che anche altri possano farsene idea.
Vorrà anche narrare del trasporto del tritolo destinato al Giudice Paolo Borsellino?
Ma di tutto ciò, ne ha mai parlato con il suo difensore? Gli ha mai raccontato dei contenuti delle nostre conversazioni – successive alla querela – che, come da sua espressa volontà, dovevano essere registrate e rese pubbliche?
Purtroppo, per Lei, temo di no. E me ne dispiaccio. Me ne dispiaccio per l’Avv. Antonio Corsentino, suo difensore legale, il quale dopo le più recenti sconfitte (certamente non per sua colpa ma a causa dell’imprudenza del suo assistito) si ritroverà a dover gestire un eventuale processo delle cui evidenze e relativi retroscena, son certo, non è stato reso edotto.
In attesa di questo, o altri, piacevoli incontri, spero le giungano graditi i miei più cordiali saluti.
Gian Joseph Morici