Parlare del pentito Vincenzo Calcara e della docta ignorantia di Socrate, quel suo “io so di non sapere”, può apparire una contraddizione in termini. Eppure, è proprio parafrasando il grande filosofo greco, il “so di sapere, quindi non so” di Calcara, propalatore di verità dispensate a magistrati, inquirenti e giornalisti (non dobbiamo dimenticare che secondo il pentito per prendere per fessi giudici e carabinieri bastava solo un po’ di fantasia) che possiamo cercare di capire il personaggio che per decenni ha calcato le scene di quelle aule giudiziarie – non dei teatri – che lo hanno visto protagonista indiscusso di una famosa opera di Carlo Goldoni: “Il bugiardo”.
La nostra storia ha inizio il 22 giugno di questo anno ma affonda le proprie radici nel lontano 1969, quando la notte del 17 ottobre, nell’oratorio di San Lorenzo a Palermo, venne rubata la preziosa “Natività” del Caravaggio.
Una storia di quasi mezzo secolo fa, ancora oggi irrisolta, ma che proprio nei giorni scorsi ha preso una direzione che in molti ritengono sia quella giusta.
La commissione Antimafia con una propria indagine autonoma, grazie a nuovi elementi emersi, alle dichiarazioni del pentito Gaetano Grado e anche ad alcune nuove dichiarazioni del pentito Francesco Marino Mannoia, ha dato l’input alla riapertura delle indagini, stando alle cui iniziali risultanze, l’opera rubata da ladruncoli di quartiere, poi divenuti uomini di mafia, finì nelle mani di “cosa nostra” per poi essere rivenduta a un mercante d’arte svizzero.
A gestire questa vicenda, alcune famiglie mafiose palermitane e i boss Stefano Bontade, capo del mandamento “competente” per il furto, e Gaetano Badalamenti, all’epoca a capo dell’intera organizzazione mafiosa.
Ma torniamo al 22 giugno, quando un articolo a firma della giornalista Chiara Giannini (Il Giornale), dal titolo “Così i Messina Denaro rubarono il Caravaggio”, sembrava dover dare adito all’esistenza di una nuova pista da indagare.
Chi è l’uomo che con queste sue indicazioni farebbe pensare a una pista trascurata dagli investigatori? Vincenzo Calcara, il pentito onnipresente quando si parla di grandi crimini. Dall’attentato al Giudice Borsellino, a quello al Papa, al delitto Calvi, al Rostagno, alla scomparsa di Emanuela Orlandi, non c’è un solo caso dove non compaia il nome di Calcara.
Poteva essere diversamente nel momento in cui l’opera del Caravaggio assurgeva a nuova visibilità mediatica?
Colpevoli della scomparsa dell’opera, i Messina Denaro, la cui casa – si legge nell’articolo della Giannini – era frequentata «da tombaroli e mercanti d’arte». E anche intorno a Riina, di cui il boss di Castelvetrano era il braccio destro, ruotavano strani personaggi.
Cosa potesse entrarci Riina in quel lontano 1969, quando l’alba dell’epoca dei corleonesi era ancora lontana e comandava la vecchia mafia dei Badalamenti, dei Bontade e degli Inzerillo, è un mistero, ma se lo dice Calcara lui lo sa.
Calcara infatti fa anche il nome del presunto referente di “cosa nostra” per l’arte, il quale avrebbe probabilmente venduto all’estero il quadro, precisando che “non si sono impossessati solo del Caravaggio, ma anche di moltissime altre opere d’arte trafugate dalla Mafia”. Perché poi usare la M maiuscola per scrivere la parola “mafia”, è da capire, ma tant’è, e grazie a Calcara, abbiamo risolto il mistero della scomparsa dell’opera. Sarà vero?
Sono sufficienti poche ore per fugare ogni dubbio. 23 giugno, ore 08:30, “Inviato Speciale”, “Rai Radio 1”, al microfono la giornalista Rita Pedditzi.
La prima sorpresa è l’intervista alla collega giornalista Simona Mazza, che ricorda come nel 2014 scrisse un libro con il pentito Vincenzo Calcara, intitolato “Dai Memoriali di Vincenzo Calcara – Le cinque entità rivelate a Paolo Borsellino”, e in quell’occasione Calcara affermava che il dipinto veniva esibito durante i cenacoli con gli alti vertici mafiosi. “Improvvisamente però – continua la Mazza – ritratta e dice di non ricordare più nulla”. Ma come non ricorda nulla? Soltanto il giorno prima, alla giornalista de “Il Giornale” aveva fatto realizzare lo scoop del coinvolgimento dei Messina Denaro… “E’ un vuoto di memoria?” si chiede Simona Mazza.
Calcara, sa o non sa? Non c’è da meravigliarsi, non più tardi del 3 giugno, prima ancora che si desse l’avvio alle indagini sulla scomparsa della tela del Caravaggio, nel corso di un’intervista telefonica da me condotta, Vincenzo Calcara – le cui parole potete ascoltare nel video – a una precisa domanda sull’argomento, rispondeva: “Io non so niente!”.
Quindi? Perché la giornalista de “Il Giornale” l’ha intervistato sulla scomparsa del Caravaggio e per quale motivo ha indicato nei Messina Denaro i responsabili?
A smentire l’ennesima castroneria di Calcara, ci pensa il magistrato Marzia Sabella, la quale nel corso dell’intervista condotta da Rita Pedditzi, ha precisato come la leggenda metropolitana dell’esposizione della tela durante i summit di mafia, non sia mai stata presa in nessuna considerazione.
Interessanti anche le dichiarazioni di un altro pentito, quel tale Francesco Marino Mannoia, che all’epoca venne coinvolto nella scomparsa della tela, che ha definito la leggenda dell’esposizione durante i summit, come una “buffonata”.
Questo era quanto affermato da Calcara nel libro tratto dai suoi memoriali: “
Il dipinto veniva esibito durante i cenacoli con gli alti vertici mafiosi. C’era assolutamente del torbido nell’amore viscerale per i quadri, a volte venivano patteggiati con i proprietari stessi, altre volte venivano esportati illegalmente o semplicemente tenuti nella pinacoteca di casa per il solo gusto di possederli.”
Dunque? Dunque nulla, di cosa meravigliarsi se il 22 giugno, dopo aver rilasciato l’intervista alla giornalista Chiara Giannini, la stessa sera, alla mia precisa domanda su cosa avesse detto del Caravaggio – come potete ascoltare dalla sua stessa voce nel video – la risposta è stata: “No…no… io sul Caravaggio non è che so niente… per carità…”
Bene, la Giannini ha intervistato uno che non sa niente di quello che era l’argomento dell’intervista. Forse non basta un po’ di fantasia per prendere per fessi solo i giudici o i carabinieri – come aveva affermato Calcara tanti anni fa, mentre era detenuto in Germania – forse la stessa tecnica gli è tornata utile anche con i giornalisti. E anche oggi, che è sufficiente fare una qualsiasi ricerca su internet per rendersi conto delle discrasie di talune affermazioni del Calcara, ancora c’è chi ci casca…
Parafrasando un altro grande, quel tal Luigi Pirandello di “Uno, nessuno e centomila”, potremmo dire “centomila, nessuno e uno”: Vincenzo Calcara!
Gian J. Morici
P. S. Come nell’opera “Il Bugiardo”, resta da sperare che il finale possa riservare un lieto fine. Lelio Bisognosi, il bugiardo protagonista dell’opera del Goldoni, messo alle strette ammise le proprie colpe e promise che mai più avrebbe mentito. A buon intenditor poche parole…
Il mio assistito Vincenzo Calcara mi incarica di svolgere alcune precisazioni in ordine all’articolo de quo.
Segnatamente il Calcara mi chiede di evidenziare come egli non ha mai rilasciato dichiarazioni sul Caravaggio della cui sorte certamente non sa nulla, bensì ha sempre rimarcato di avere a suo tempo parlato agli inquirenti del signor Gianfranco Becchina, noto mercante d’arte, il quale, a dire del Calcara, era vicino ai Messina Denaro e referente di cosa nostra per l’arte.
Il Calcara con riferimento all’opera del Caravaggio non ha mai affermato con certezza la sorte toccata alla stessa, ma dietro precise domande in tal senso ha sempre esternato semplici sue impressioni e sensazioni sulla scorta del ruolo – a dire dello stesso mio assistito – rivestito dal Becchina e dei collegamenti di quest’ultimo con alti ambienti di cosa nostra.
In relazione, poi, alle argomentazioni apparse sul libro della giornalista Mazza, Calcara mi chiede di riferire che le medesime sono frutto esclusivamente della fantasia della giornalista-scrittrice, quale corollario delle dichiarazioni alla stessa rilasciate da Calcara sempre relative al personaggio Becchina.
Nessuna riconduzione delle dichiarazioni di Vincenzo Calcara sul ruolo di Becchina, alla pregevole opera del Caravaggio, può e deve essere attribuita al mio cliente.
Tanto Vincenzo Calcara, mio tramite, si vede costretto a precisare.
avv. Antonio Consentino
Gent.mo Avv. Consentino
come da Sua cortese richiesta, ho pubblicato le precisazioni che il Suo assistito Le ha riferito di voler pubblicate.
Come certamente Ella ben sa, nell’articolo de “Il Giornale”, a firma della giornalista Chiara Giannini, il Suo cliente fa più volte riferimento all’opera del Caravaggio, così come appare chiaro fin dal titolo del succitato articolo: “Così i Messina Denaro rubarono il Caravaggio”.
L’occhiello del pezzo, riporta testualmente: Roma – «Il quadro del Caravaggio? Chiedetelo a Giovanni Franco Becchina dove è»: Vincenzo Calcara, pentito di mafia ed ex braccio destro di Francesco Messina Denaro (padre del latitante Matteo) non ha alcun dubbio riguardo alle sorti della «Natività con i santi Lorenzo e Francesco d’Assisi», la pala trafugata dall’oratorio di San Lorenzo, a Palermo, il 18 ottobre 1969.
Andando oltre nella lettura, troviamo altri riferimenti alla tela del Caravaggio: “All’epoca, ma già da anni prima, la casa di Messina Denaro era frequentata «da tombaroli e mercanti d’arte». E anche intorno a Riina, di cui il boss di Castelvetrano era il braccio destro, ruotavano strani personaggi. «Tra questi prosegue c’era Becchina. Sono stato il primo a fare quel nome ai magistrati. Lui era il referente di Cosa Nostra per l’arte. Sapeva come commerciare con l’estero. Per questo in molti gli commissionavano i furti. E non si sono impossessati solo del Caravaggio, ma anche di moltissime altre opere d’arte trafugate dalla Mafia».”
Appare incredibile come il Calcara possa negare l’evidenza dei fatti, nonostante la narrazione degli stessi non possa suscitare altro, in chi legge, se non ilarità.
A prescindere infatti dalle considerazioni della Dott. Sabella, della giornalista Mazza e, per ultimo, del pentito Francesco Marino Mannoia, che già da sole meritano particolare attenzione, non meno importante è il riferimento a Salvatore Riina, il quale all’epoca dei fatti non era certamente al vertice di “cosa nostra”, aspetto questo di non poca importanza, che dimostra, ancora una volta, se mai ve ne fosse bisogno, come il Suo assistito faccia una confusione tale da alimentare – così come hanno scritto i magistrati – il dubbio dell’appartenenza del Calcara “cosa nostra”.
Rispetto la vicenda che vede coinvolta, suo malgrado, la giornalista Simona Mazza, desidero risponderle con una domanda: A Suo giudizio, è possibile che una giornalista riporti proprie ricostruzioni fantasiose di fatti inseriti in un libro il cui solo titolo già ce ne indica i contenuti e la loro chiara attribuzione?
Se rispondesse a verità quanto affermato da Calcara, la “fantasiosa giornalista” (le risparmio le considerazioni da parte del Suo assistito, rispetto le quali La invito a farsi fornire le registrazioni integrali delle conversazioni con me intercorse) non andava redarguita dall’autore dei memoriali, che oltre ad aver letto il libro lo ha pure presentato in diverse circostanze?
Inoltre, mi permetta di suggerirle di farsi consegnare TUTTE le registrazioni delle telefonate. Sono certo che rimarrà stupito da quanto avrà modo di appurare.
Un’ultima cosa ancora, ed è veramente l’ultima, posto che il Suo assistito mi ha annunciato di aver già mosso nei miei riguardi una querela per diffamazione – rispetto la quale lo avevo già invitato ad andare avanti – anticipandomene una seconda per l’articolo de quo, La prego, nell’ipotesi in cui Calcara decidesse di retrocedere dall’azione legale, di sconsigliargli la remissione della querela, visto che posso assicurarLe fin d’ora che non sarebbe dal sottoscritto accettata.
Qualora invece le presunte querele promosse dal Suo assistito, fossero solo frutto di fantasia, mi pregio comunicarLe che sarà mia cura rendere noto ai lettori quanto accaduto, riservandomi ogni possibile azione che riterrò opportuna, nelle apposite sedi giudiziarie e per ogni grado di giudizio, ciò anche in considerazione del linguaggio che adopera il Suo cliente per perorare le proprie cause.
Cordialmente
Gian J. Morici