Il libro e’ stato presentato a Puebla (Messico) il giorno 7 novembre 2016 presso la Facolta’ di Sociologia dell’Universita’ statale,e il 10 novembre presso la Escuela Libre de Derecho (Universita’ privata) – Mercoledi’ 16 novembre il libro sara’ presentato a Citta’ del Messico.
I due autori si sono soffermati sulle linee principali del libro e, rispondendo alle numerose domande del pubblico (in gran parte docenti e studenti universitari) hanno svolto alcune considerazioni cosi’ riassunte.
SCENARI DELLA CRISI DEL MONDO
Con l’inizio del nuovo secolo, all’orizzonte del nostro futuro si profila una tendenza inquietante, maturata nell’ambito delle oligarchie neoliberiste dell’Occidente: il frequente ricorso alla guerra, anche locale, come risposta ai problemi insorti con la crisi globale.
Tale tendenza è insita nella natura violenta, nella stessa dinamica del capitalismo internazionale. Tuttavia, oggi, appare anche come una reazione metodica alle difficoltà crescenti d’imporre il suo modello politico-culturale e consumistico.
Più che un fenomeno ciclico, essa parrebbe denunciare una difficoltà, perfino un declino, non tanto del sistema capitalistico in se stesso quanto dell’egemonia occidentale sul terreno dell’economia e della cultura.
Siamo a un cambio d’epoca? Si vedrà, nel tempo.
Intanto, appare necessaria un’analisi più puntuale, più precisa dei sanguinosi conflitti aperti in varie parti del pianeta; vere e proprie guerre locali che provocano morte e distruzioni, specie laddove più si concentrano le principali riserve minerarie, di energie fossili (petrolio e gas), di acqua e di beni alimentari. Con questo libro cercheremo di analizzare, in particolare, la situazione di due aree fondamentali del Pianeta, ricche di materie prime e di contrasti sociali, dove tali processi sono in corso d’opera: l’America Latina e la regione Mena (acronimo di “Middle East North Africa” comprendente il Medio Oriente e il Mediterraneo) nelle loro relazioni con le nuove superpotenze dell’economia e della finanza.
C’è chi sostiene che tale conflittualità sia propedeutica al “nuovo ordine internazionale” e pertanto necessaria per garantire la transizione dal vecchio ordine al nuovo.
Eppure, dal crollo dell’Urss e del sistema dei Paesi a economia socialista (Comecon) è passato un quarto di secolo e la “transizione” può dirsi compiuta, almeno sul terreno politico ed economico. Tuttavia, il “nuovo ordine” non è arrivato o, peggio, si presenta come un nuovo, pericoloso disordine internazionale.
Ideologicamente, il neo-liberismo ha vinto ed è dilagato anche nei territori ex socialisti. A cominciare dalla Cina che si ostina a proclamarsi socialista seppure la sua economia sia perfettamente inserita nel sistema globale di produzione capitalista.
Sul campo non restano più forze antagoniste organizzate, potenze rivali capaci di contrastare il disegno del vincitore.
A seguito di una guerra così lunga e snervante (anche se “fredda”), finita senza spargimento di sangue e con la resa incondizionata del “campo socialista”, (per la prima volta nella storia un “impero” si arrende al nemico senza colpo ferire!), era lecito attendersi che “scoppiasse” la pace, che seguisse un periodo di grande fervore costruttivo, di crescita compatibile con l’integrità degli eco-sistemi e ri – equilibratrice degli storici divari fra Nord e Sud, di benessere condiviso, ecc.
Invece, sta accadendo, esattamente, il contrario. Dopo la “vittoria” del campo neoliberista, probabilmente truccata[1], sono scoppiate le guerre regionali, religiose, tribali che insieme fanno una guerra più grande, micidiale, una “ guerra infinita” che per Papa Francesco è la “terza guerra mondiale”, non dichiarata.
Venti di guerra soffiano in ogni direzione e alimentano conflitti che sembrano divenuti insanabili, specie in alcune regioni del mondo meno sviluppato (Medio Oriente, Africa, ecc), disegnano scenari terrificanti che generano e alimentano paure e smarrimenti nei popoli.
Secondo “Armed Conflict Database – 2015” dell’IISS (International Institute for Strategic Studies), nel 2014, sono stati 42 conflitti armati fra i più sanguinosi e distruttivi che hanno provocato 180.000 vittime (in gran parte civili) e 12.181.000 di rifugiati in diverse regioni del mondo.
Da notare che bel 8 di tali conflitti si svolgono nella regione Mena (Libia, Egitto, Israele – Palestina/Gaza, Iraq, Siria, Libano, Yemen), mentre altri 14 in Paesi asiatici e africani di prevalente e o importante tradizione islamica, alcuni detentori di rilevanti risorse petrolifere e di gas (Nigeria, Nagorno- Karabach, Cecenia, ecc). Visto l’alto numero dei conflitti (il 52%) in atto in questa categoria di Paesi), si potrebbe pensare a una sorta di “guerra all’Islam”. La religione c’entra poco o nulla: la guerra è per l’accaparramento degli idrocarburi che, in buona misura, si trovano nel sottosuolo dei territori dell’Islam.
Nonostante ciò, la globalizzazione neoliberista procede decisa e spietata, senza tener conto delle perdite in vite umane, delle gravissime conseguenze sociali e ambientali, degli squilibri politici e territoriali prodotti.
Impropriamente, la chiamano “crisi”, in realtà si tratta di una colossale sistemazione degli assetti produttivi e di poteri che mira al dominio globale,
La “crisi”, infatti, evolve provocando emarginazioni sociali e povertà e nuove concentrazioni di ricchezza, intolleranze razzistiche, politiche di rapina supportate da vili commerci di uomini e di armi, omologazioni culturali e pensiero unico, egoismi e militarismi, ecc.
Così procedendo, il XXI° rischia di caratterizzarsi come il secolo della disuguaglianza e del terrore. Se il XX° fu detto “il secolo breve” (che breve non fu) il XXI° potrebbe passare come il secolo della guerra endemica, infinita, dell’esplosione degli odi razziali e di nuove povertà.
Questa è, oggi, l’atmosfera che sovrasta il mondo e deprime lo spirito pubblico, soprattutto quello europeo, occidentale. Con l’aggravante che non s’intravvede una via d’uscita.