Siccome salire sul carro del vincitore non mi è mai piaciuto, ho deciso che salirà sul carro del perdente, ma solo per buttarlo di sotto, sperando che nel ruzzolone capisca qualcosa, per la prossima volta che passerà un carro da queste parti.
Dopo la sconfitta – per certi versi immeritata – della Nazionale contro la Germania, c’è stato un florilegio di aggettivi epici: il minimo sindacale era “eroi”, per passare a “invitti” (pare che perdere ai rigori non valga), fino a “sensibili” (per due lacrimucce che hanno versato dei giovani milionari con residenza fissa a Formentera). Dato però che io so perché hanno perso, e lo sapete anche voi pure se non volete ammetterlo, userei aggettivi più ruvidi diciamo: fessacchiotti? sciocchini? ingenuotti? Mettetecelo voi, l’aggettivo che più vi aggrada. Ma tanto avete capito dove voglio andare a parare.
I nostri hanno perso, e giustamente, perché ad un certo punto la retorica del gruppo, della scalata dell’Everest, del soli contro tutti, dopo due partite buone ha creato la convinzione a questa squadra di anziani/mediocri che fossero diventati tutti dei padreterni. E nel momento in cui bisognava tirare fuori i famosi e famigerati attributi, e mettere l’occhio della tigre, come diceva Velasco, ecco che le spine dorsali si sono liquefatte, i testicoli avvizziti, e di conseguenza i muscoli rammolliti. I nostri hanno perso perché non hanno capito – e alcuni di loro ormai non lo capiranno più perché non avranno altre chance – che i veri campioni, quelli che fanno l’impresa, non sono MAI arroganti, presuntuosi, presupponenti. Sono sempre umili, affamati, incazzati con il mondo, e nel momento giusto tirano fuori qualcosa che gli altri non hanno. Avete capito bene: le palle. Ma avete visto Pellè? No dico: Pellè. Non Klose, o Di Stefano, o Maradona, e neanche un Luca Toni. Pellè, di fronte al più grande portiere del mondo, nell’occasione che potrebbe farlo ricordare per sempre, come Totò Schillaci durante le notti magiche, nella chance della vita arrivata a oltre trenta anni, che fa? Lo prende per il culo. Ti faccio lo scavetto, dice. Il cucchiaio.
Ora, signori, un attimo di raccoglimento per evitare che le nostre giugulari esplodano troppo presto. Me lo immagino, ‘sto presuntuoso di Pellè, che cosa avrà pensato: faccio come Totti, la sparo grossa, se me riesce bello come sono mi sono sistemato per tutta la vita, il gesto con la manina diventerà il simbolo di un’Italia sbarazzina e mai doma, un’Italia di lotta e di governo, consapevole della propria forza e pronta a irridere l’avversario, come quando le legioni di Varo si mettevano a testuggine contro i barbari e contestualmente gli facevano il segno dell’ombrello. Peccato che i barbari si presero tre vessilli imperiali dopo aver sbaragliato le legioni imperiali, e l’ombrello a Varo glie lo misero in quel posto, così come i loro discendenti sabato sera. Che poi, prima di tutto Totti la battuta la fece a Buffon, e non al portiere avversario. Che se andava male, tutti zitti. E poi, lo dico da laziale: Totti è Totti, uno che in serie A ha giocato tipo diecimila partite e segnato duecentomila goal, Campione del Mondo, uno che il cucchiaio non solo lo sa fare, ma lo insegna all’università. Invece tu, caro Pellè, sarai ricordato non per tutto quello di buono che hai fatto durante questo campionato del mondo, ma perché sei un gagà senza cervello, che nel momento topico hai fatto lo sciocco, e hai tirato una mozzarella. E Zaza? Poveraccio, non è neanche tutta colpa sua. Entra al 119esimo e due figure, e lo piazzano davanti a un dischetto. E la prima palla che toccherà – e anche l’ultima – è un rigore che deve andare dentro. Certo, ha tutte le giustificazioni, povero cocco.
Ma allora se vogliamo un mollaccione che non la butta dentro, la prossima volta ci vado io a tirare il rigore. Lo faccio volentieri, e anche gratis, tiè: mi date qualche biglietto della tribuna d’onore per gli amici e va bene così. Per non parlare di Bonucci. Ma santo iddio, hai fatto tanto lo sborone, ti sei andato a prendere il pallone, l’hai buttata dentro per il pareggio, e poi quando il rigore vale doppio che fai? La tiri dall’altra parte? Ma non vi siete guardati milioni di video, letti migliaia di statistiche, studiato tutta la storia dei rigori dal calcio medioevale a oggi? Non lo sapete che la seconda volta bisogna tirare dalla STESSA parte? Sempre sempre sempre. Invece che ti fa il Bonucci? Tira in bocca al portiere. Altra mozzarella. E vi risparmio il Darmian, che poveraccio davvero lui, non doveva neanche avvicinarcisi al dischetto del rigore, gli si leggeva in faccia che se la stava facendo addosso.
L’occhio del tacchino. Ma Darmian, te lo ricordi Grosso nel 2006? Pensi che lui fosse più tranquillo di te? Però si è concentrato, ha tirato una botta forte che più forte non si può, e fine della storia. Te hai appoggiato la palla, che in confronto le mozzarelle di Bonucci erano pecorino stagionato. Ecco, avete, abbiamo perso perché non avevamo la spina dorsale, per non dire altro. Perché tra tatuaggi, pettinature incollate, orecchini coi brillanti, e lezioni di napoletano, vi siete dimenticati che nel calcio, come nella vita, conta una sola cosa: buttarla dentro. E possibilmente evitare di farsela buttare.