Le dichiarazioni del Procuratore Nazionale Antimafia Franco Roberti, rese, non a caso, al “Fatto” quotidiano, cui abbiamo fatto cenno in un articolo di ieri definendole “arroganti”, debbono essere lette e meditate con attenzione.
Vi sono in esse, espressi con ammirevole sincerità, alcuni principi che sono l’essenza stessa dello stravolgimento del diritto nonché delle prevaricazioni del ruolo dei giudici e della magistratura requirente.
L’intervista al giornale “amico” del P.d.M. è stata, come sempre quelle del genere, una lamentela ed un “atto d’accusa” contro la classe politica perché “non collabora”, così, si direbbe, da non meritare gli sconti di pena per i pentiti. Non collabora e, dice Roberti, concorre al dilagare della corruzione, non ottemperando alle richieste “sane” delle Procure di dare un nuovo assetto, anzitutto, all’istituto della prescrizione.
Troppi reati vanno in prescrizione. Perché i magistrati non li perseguono e giudicano in tempo? Nossignori! tuona il Procurator Nazionale. Perché i politici, i Parlamentari, complici della delinquenza dei “colletti bianchi”, non adeguano i tempi della prescrizione a quelli del lavoro dei giudici.
La “prescrizione” è quell’istituto giuridico per il quale il reato, la sua perseguibilità, si “estinguono” per il passare di un periodo di tempo, proporzionato alla gravità del reato stesso. Istituto penalistico analogo a quello del diritto civile, che prevede l’estinzione dell’esigibilità dei debiti e di altro sempre per l’inutile passaggio del tempo.
Senza la “prescrizione” un’inchiesta per l’assassinio di Giulio Cesare non potrebbe estinguersi che per accertata “morte dei rei”, col rischio, magari, che la mancanza di un certificato di morte di Bruto, o di un altro dei congiurati, blocchi tale possibilità. Scherzi a parte, occorre dire che, vigenti tutti i codici di prima e di dopo l’Unità, la prescrizione non ha dato luogo ad inconvenienti. Ma negli ultimi anni della Prima Repubblica sono cominciate lamentele dei magistrati italiani infastiditi dal fatto che i termini di prescrizione “troncassero” il loro lavoro. Così è cominciato un balletto di proposte, di modifiche, “allungamenti”, e, poi ancora di altre modifiche dei casi di sospensione e di interruzione. La più bizzarra di tali “trovate” è stata quella di prevedere la sospensione della prescrizione nel tempo necessario per espletare una eventuale perizia psichiatrica. La logica (si fa per dire) di tale prelibatezza giuridica è evidente: “dite che siete matti? Bene, beccatevi un processo più lungo, così imparate!”
Ora il nostro Procurator Nazionale Roberti ha la soluzione della questione la quale, cosa scandalosa secondo lui, è determinata dal fatto che la legge, saggia perché fondata su un dato incontestabile dell’esistenza umana: il decorso del tempo, che tutto copre e tutto cancella, debba però essere applicata.
Perché, secondo Roberti, che sia previsto la prescrizione può andare anche bene, ma che addirittura debba essere applicata è uno scandalo.
A parte il fatto, direi, che c’è anche qualche magistrato che si vale della prescrizione per sputtanare qualcuno che gli sta sullo stomaco, senza bisogno di dover andare per il sottile con prove e questioni di diritto (non faccio i nomi, così per querelarmi dovranno tirare a sorte per vedere a chi spetta): l’accusato “se la è cavata con la prescrizione”. Lo scopo è raggiunto.
La logica (si fa per dire) del Roberti-pensiero sembrerebbe comportare che la sua proposta, la sua ingiunzione al Parlamento, sia quella di abolire il nefando istituto.
Ma Roberti non ama rompere con la tradizione, suggerire brutali cambiamenti. Ed allora? Allora è semplice: fare finta che non sia la “vecchiaia” di un delitto a comportare l’estinzione per amnistia, ma, invece, la “vecchiaia” del processo. Che cos’è un delitto? È, in fondo, il pretesto per un processo. “Vecchio” il processo, obsoleto e “prescritto” il delitto. Il delitto, in sé, quale che ne sia la gravità, per Roberti non “invecchia” mai.
Propone dunque che la prescrizione non decorra che dal momento in cui il fatto delittuoso è portato a conoscenza del P.M. (quindi l’esempio dell’assassinio di Giulio Cesare era azzeccato: alla Procura di Roma non vi è traccia di una denunzia, rapporto, istanza al riguardo, si può ancora procedere!) e pure si potrebbe per un furto avvenuto nel Medioevo. E poi: una volta che il P.M. richiede il giudizio a carico dell’indagato, la prescrizione non deve più decorrere.
Si direbbe che a prescriversi sia, dunque, il P.M., non il reato, ma forse qualcuno ci troverebbe a ridire.
E poi c’è chi mette in dubbio che l’Italia sia la culla del diritto!!
27.04.2016
Mauro Mellini