(Dal ponte di Verona ai Musei Capitolini)
La storia della copertura delle statue nude dei Musei Capitolini per non turbare l’animo sensibile dell’Ayatollah petrolifero iraniano può sembrare uno scherzo, un equivoco, una topica dell’Ufficio Cerimoniale di Palazzo Chigi.
Non è così. Purtroppo nel nostro Paese ci sono sempre stati a tutti i livelli persone e personaggi affetti da eccesso di cerimonialità, di servilismo cerimonioso e, magari, di moralismo bacchettone da frequentatori di bordelli.
Mi viene in mente un episodio degli anni del dopoguerra, quelli dell’imperversare di un redivivo clericalismo bacchettone e concordatario, dell’Italia di Gedda e dei Comitati Civili.
A Verona, durante la guerra, come era avvenuto in varie città per diminuire i rischi di distruzioni e danneggiamenti in caso di bombardamenti, erano state rimosse e portate in un luogo relativamente più sicuro le statue dei cavalli che ornavano il ponte sull’Adige.
Quei cavalli pare ostentino attributi sessuali particolarmente rigogliosi, considerati una sorta di portafortuna della Città.
Finita la guerra si diede mano a togliere via quelle misure di difesa del patrimonio artistico e si preparò il ritorno dei cavalli al loro posto sul ponte.
Ma il Vescovo della Città fece sapere che quell’esposizione sfacciata dell’apparato genitale delle marmoreee bestie avrebbe turbato l’innocenza dei veronesi. Verona era una delle roccaforti del clericalismo più bacchettone e del potere economico-politico della Curia Vescovile e, di conseguenza, della Democrazia Cristiana.
Si soprassedette alla ricollocazione di quelle indecenti bestie. Ma l’eccesso di pruriginoso pudore del santo Vescovo divenne oggetto del grasso umorismo (tipico sottofondo degli ambienti clericali) dei veronesi.
Accadde che per Carnevale, alla sfilata dei soliti carri allegorici carnevaleschi, un gruppo di studenti portò dei cavalli con delle merlettate mutande, così da non provocare turbamenti di Sua Eccellenza reverendissima.
Oggi i cavalli sono al loro posto e, per fortuna, non si è proceduto alla loro mutilazione. Un po’ di spirito goliardico ha, alla fine, sgominato, non solo a Verona, e non solo in fatto di statue di marmo certi bacchettonismi episcopali. Non è stata cosa da poco, come non era una personale baggianata di un prelato un po’ rimbambito quella episcopale impuntatura. Qualcuno, non ricordo chi, aveva detto che la Controriforma aveva messo le mutande al Rinascimento. E molti dipinti rinascimentali erano stati “ritoccati” con l’apparizione di pudibonde mutande in quadri ed affreschi in diverse parti d’Italia.
Oggi non sono i Vescovi ad imporre il loro bacchettonismo, ma gli Ayatollah d’altissimo livello e potere petrolifero.
Ma c’è sempre qualcuno che mette in mutande questa nostra povera Italia.
E ci sono sempre dei cerimonieri ultracerimoniosi con i padroni del vapore, dei voti o del petrolio, pronti a coprire le “vergogne” di statue e non solo di statue.
E ci sono Ayatollah nostrani che si turbano magari, alla vista di cavalli nudi o di statue patrimonio della cultura dell’Umanità e non degli impiccati sulle altissime autoscale in funzione di forche.
Dopo averle messe al Rinascimento c’è chi ha messo le mutande al Risorgimento.
Da noi, del resto, la Controriforma non ha mai avuto bisogno di una Riforma.
Mauro Mellini