In uno scritto delirante Marco Travaglio “dice la sua” sulla “trattativa Stato-Mafia” (cioè ridice, ripete, insiste, vaneggia). Sempre la solfa dei suoi articoli e, non dimentichiamolo, del suo “recital teatrale”: “A me, interessano poco i reati, e molto i fatti”. Non si direbbe: allora perché tante preoccupazioni per la sorte del processo e perché tanto insistere, ad esempio, sulla “colpevolezza” del Generale Mori, che, come lui dice è Mori, è De Donno che ammettono l’esistenza della Trattativa?
Ma, a parte De Donno e Mori, che sono imputati in quel grottesco processo, a fare trattative con la mafia, a tentarle, intavolarle, vederle fallire, oppure concluderle, legalmente o illegalmente, a nome dello Stato o in nome proprio, nell’interesse o contro gli interessi dello Stato sono stati in molti. Poiché Travaglio non bada ai reati, non dovrebbe gridare al sacrilegio, se affermo, dichiaro, sostengo che uno che ha trattato (e concluso la trattativa) con la mafia, con quella parte di essa che gli è riuscito “agganciare”, fu Giovanni Falcone.
Che altro fu l’individuazione, l’aggancio, il do ut des con pentiti del calibro di Buscetta e di tutto un “ramo” della mafia, se non una “trattativa”, coronata da indiscutibile successo, compiuta nell’interesse dello Stato, ma al di fuori e contro le leggi dello Stato (la legge sui “pentiti è del 1992) con promesse, non si sa bene come mantenute, di “benefici premiali” che la legge non prevedeva e non consentiva, con metodi di induzione alle rivelazioni (peraltro sempre “guidate” e limitate, come poi dissero i postumi apologeti di Falcone che giustificarono ciò con il fatto che Falcone non riteneva maturi i tempi per aggredire il “terzo livello”?
Certo c’è trattativa e trattativa. Quella addebitata a Mori, a Mannino ed a molti altri sarebbe stata una trattativa perché lo Stato (di qui il nome d’uso di tutta la vicenda) con il suo consenso, con una sua legge, cioè con un atto legittimo per eccellenza (la legge non è solo quella che piace ai Komeinisti dell’Antimafia) avrebbe dovuto concedere impunità, seppure parziale, ai mafiosi che fossero voluti uscire di scena, desistere da certi reati (stragi, etc.). Trattativa legittima con oggetto e finalità legittimi perché lo Stato, la legge non fanno cose illegittime.
Dico subito che queste forme di mercato non mi sono mai piaciute. Ma sono inevitabili, per una “giustizia di lotta”. Quando ero deputato mi opposi alle leggi antiterrorismo, leggi speciali “di lotta”. Senza essere un profeta, dissi e ripetei che questo avrebbe comportato, alla fine del fenomeno terroristico, atti di “clemenza” e peggio, di impunità per gente che si era lordata di sangue e che doveva pagare colpe non meno gravi di questa dei “comuni”. Così è avvenuto.
Qualcuno (anche, come è stato detto al cosiddetto processo della “trattativa”, Luciano Violante, il fondatore del Partito dei Magistrati) avrebbe voluto una legge sulla “dissociazione” dei mafiosi analoga a quella di cui hanno fruito i terroristi (un errore manifesto e clamoroso).
Ma qui non parliamo di errori o di leggi provvide. Checché ne dica Travaglio, o si parla di reati o si parla di niente: chiacchiere invece che storia.
Ora torniamo a Falcone: trattativa per trattativa, dal punto di vista del diritto e della giustizia (dei fatti veri o presunti, che possono essere giudicati più o meno adatti ai recital teatrali non me ne fotte niente) la trattativa ascritta a Mori (ed anche e soprattutto a Mannino) è lecita, non è reato. Quella che fece Falcone con una parte della mafia era illecita. Il grande successo nella lotta alla mafia non muta di un et tale giudizio. Aggiungo che se a Falcone fosse riuscito di estendere la sua trattativa a tutta la mafia, lo avrebbe fatto volentieri secondo il metro della “giustizia di lotta”, ciò avrebbe certamente, comportato, oltre al fatto che forse sarebbe ancora vivo, un successo clamoroso. Ed avrebbe anche ottenuto una legge che rendesse legittimi i “benefici premiali” e, quindi, trattativa e voleva si trattasse. Che, lo ripeto, il suo sia stato un grande successo della “ragione di Stato” che manco Pannella avrebbe pensato di dover scongiurare con qualcuno dei suoi digiuni per questa sua ultima serie digiunatoria, che pare abbia avuto questo oggetto.
Questa è la realtà. Questa la comparazione tra gli oggetti di culto e le demonizzazioni dei fanatici dell’Antimafia.
Questo lo sprezzo della ragione e del diritto degli impostori del grande recital della politica italiana.
Mauro Mellini