
Le vicende del Rubagalline dei due Mondi, il processone per “Mafia Capitale”, gli interventi dall’Alto dei cieli e dalle Finestre del Palazzo di Papa Francesco che lancia un mezzo “interdetto” proprio su Roma e, magari sulla stessa Città del Vaticano, hanno distratto l’opinione pubblica dalle vicende siciliane.
C’è uno scandalo Roma (e Vaticano). Ma ce n’è uno più clamoroso, incallito, contorto, dissimulato, esteso a Palermo ed in tutta la Sicilia. Se a Roma allo scandalo corrisponde un nome (che in realtà è più un simbolo-zimbello) che un protagonista, nell’oramai defenestrato Marino, in Sicilia il protagonista, in mezzo ad una schiera assai folta di primi attori, registi, spettatori plaudenti (paganti ed a sbafo) è indiscutibilmente Crocetta, che resta ben inchiavardato, in nome della democrazia antivoto popolare, dopo che un provvidenziale intervento di uno o più procuratori lo ha salvato da un farsesco, asserito suicidio, per una telefonata che neppure ricordava di aver fatto.
Roma, checché ne diranno i depositari del giure, non potrà mai aspirare ad essere la Capitale della Mafia anche se si vorrà “aggravare” con il riferimento ad essa, il normale, storico “magna-magna” capitolino, come “Mafia Capitale”.
Palermo, che continua ad esser considerata l’indiscussa capitale della Mafia, è oggi la non abbastanza discussa capitale dell’Antimafia. Dell’antimafia criminale, vero “terzo livello mafioso”.
Il caso Saguto, ossia “confiscopoli”, è solo parte, anche se non indifferente, del marciume dell’antimafia criminale che strangola la Sicilia, la priva dei vantaggi dell’inarrestabile declino della mafia, rischia di dare nuova vita e nuovi orizzonti alla latente mafiosità.
E, al contempo, ridicolizza la democrazia, i valori delle libere istituzioni, mette a nudo le incongruenze addirittura ridicole del Partito Democratico (che in Sicilia è più Monocratico che altrove ed al contempo, il più fragile e farsesco).
Crocetta ha in questi giorni varata la sua Giunta “Crocetta quater”, cioè la quarta in tre anni, dopo, (anzi, durante), un tiro e molla con il Partito Democratico. Ma prima che i nuovi (si fa per dire) Assessori si insidiassero, la “controparte della sua trattativa (c’è, signori P.M. di Palermo, una trattativa “Stato-Crocetta”: allarme! allarme!) cioè “Roma”, il potere centrale, il P.D., Renzi, hanno gridato alla violazione di quanto convenuto. Così è nata una Giunta “Crocetta quater bis”. Manco Totò ci sarebbe potuto arrivare.
Intanto la magistratura, il cui partito, il P.d.M., ha assunto le funzioni di servizio d’ordine e di vigilanza per il governo Renzi e per il P.D., si trastulla con le “interpretazioni” delle baggianate e delle acrobazie che sono state compiute per realizzare, o piuttosto per occultare, un atto di giustizia quale l’assoluzione di Calogero Mannino. Travaglio, la cassa di risonanza della ghitarra estremista del P.d.M., tuona che, “reato o non reato, la trattativa c’è stata”. Già, c’è stata la trattativa. Ad esempio quella per indurre Scarantino alla calunnia, che ha portato ad ingiuste condanne all’ergastolo per diverse persone: non era bastata la solita trattativa con la “mafia pentita”. Sono corse anche intimidazioni e minacce.
Scandalo tra gli scandali.
E, intanto l’economia siciliana, tra le cavolate di Crocetta, le sanguisughe dei suoi amici “industriali antimafia ed antipizzo”, la minaccia incombente di confische per “sospetti di legami mafiosi”, con conseguenti restrizioni e deviazione del credito, infrastrutture edificate da “industriali antimafia” ed aspiranti tali che si sbriciolano, langue, invece di decollare. Una delle regioni potenzialmente più ricche e disgraziate d’Italia è divenuta la metafora di uno sfascio e di una miseria inestirpabile.
Crocetta è un’altra delle facce del P.D.
Come Marino. Senza neppure quel tanto di divertente (si fa per dire) di quel giullare.
La Sicilia come metafora, scriveva Sciascia.
Chi può ora dargli torto?
Mauro Mellini