Ho ricevuto una telefonata di un mio amico avvocato, che si occupa di brevetti e diritti d’autore. “Ho letto quello che hai scritto sulle misure di prevenzione, gli “indiziati” e l’applicazione anche agli assolti. Ma non è che, diciamo, hai un po’ esagerato? Che le abbiano addirittura applicate agli assolti…”.
Lo ho pregato di non fidarsi della mia parola e di perdere un po’ del suo tempo (veramente) prezioso a scartabellare “il codice antimafia” e, magari, un po’ della aurea giurisprudenza. E’ rimasto, come direbbero in Sicilia, “basito”. “ Ma siamo arrivati a questo punto?…”.
Non so se seguirà il mio consiglio o se si fiderà della mia parola. Intanto, però, ho cercato di fargli capire che questa faccenda la dice lunga sulla precarietà della fede nella ragione e nel portato del diritto fondato su quella che dovrebbe essere la ragione e nel sopravvivere testardo del “pregiudizio” (ciò che precede il giudizio) sul giudizio, la ragione, le prove, il processo “moderno”.
Gli ho pure detto, non so se per “consolarlo o per spaventarlo” che questo nostro sistema giuridico (e cioè quel che si dice essere il fondamento di ogni legge e di ogni regola processuale) solennemente riaffermato nella nostra oggi così maltrattata Costituzione, non si è affermato senza difficoltà e che, perciò, andrebbe difeso con accanimento addirittura sospettoso contro certe pretese di “superamento” da parte di riformisti bugiardi, somari ed imbroglioni.
Tanto per fargli un esempio gli ho parlato di una “scoperta” che ho fatto (io che non sono uno storico del diritto) qualche anno fa e che molto mi meravigliò e quasi mi divertì (ma c’era e c’è poco da scherzare).
Nel secolo XVIII, all’affacciarsi dell’”Età dei lumi”, il Governo di Malta, allora nelle mani del Gran Magistero dell’Ordine di quei Cavalieri, decise di provvedere ad una codificazione delle norme penali e processuali. Nel testo, elaborato da un “grande giurista” (o sedicente tale, quale ve ne erano anche allora, appositamente chiamato a Malta ed ordinato Cavaliere), oggi edito in una collana sulla legislazione preunitaria, trovai che a conclusione delle regole Maltesi del processo penale (ancora alquanto complicato ed un po’ rozzo), c’era una disposizione secondo cui “quando il colpevole (sic!) di un grave delitto dovesse essere assolto per mancanza di prove (sic! sic!) il Tribunale potrà ordinare che resti in carcere per un tempo proporzionale alla gravità del crimine ed alla quantità di prove potute raccogliere contro di lui”.
Un colpevole assolto! Ma a ben vedere quel Cavaliere-legislatore napoletano era un precursore del legislatore antimafia nonché della Sezione Misure di Prevenzione di Palermo e di altre nonché di Corti d’Appello e di Cassazione. Così è la storia.
E, visto che parlo di Malta e dei suoi Cavalieri che un tempo governavano l’Isola, mi viene in mente che uno di essi, Giovanni Verri, nobile milanese fratello dell’assai più noto (autore di “Osservazioni sulla tortura”) Pietro e di Alessandro, i corifei dell’Illuminismo lombardo, cadetto della nobile famiglia, e Cavaliere di Malta, non era mai potuto andare a caccia di pirati “barbareschi” (cioè Saraceni, Arabi d’Africa o Turchi come allora chiamavano tutti i Musulmani) perché l’avarizia (o il buon senso) del Padre gli aveva negato i soldi per campare ed “armare” una nave da combattimento. Libero da tale impegno il nobile giovane si era dato a caccia di donne, conquistando, nientemeno Giulia Beccaria, figlia di Cesare, il celebrato autore di “Dei delitti e delle pene”, noto come il manifesto contro la pena di morte. Dalle corna imposte dal cadetto sulla marchionale casata e sulla persona dell’altrettanto nobile (ma, pare, impotente, conte Manzoni) sarebbe nato Alessandro Manzoni, quello dei “Promessi Sposi”.
Le corna, del resto, avevano già attinto direttamente il capo del Marchese Cesare. Quando questi era andato a Parigi a raccogliere gli allori della sua fondamentale opera nella patria dell’Illuminismo, era raggiunto da disperate invocazioni perché tornasse dalla moglie, che temeva che, troppo trattenendosi il legittimo coniuge lontano da lei, facesse risultare nato troppo “prematuro” il bambino che attendeva (fratello ex matre di Giulia).
Il bambino, come se fosse nato realmente prematuro, morì presto, così le corna all’illuminismo giuridico furono, se non cancellate, dimenticate.
Ci pensò la sorella Giulia a non lasciarle occulte (non faceva mistero della vera paternità “maltese” del futuro grande romanziere).
Ma, poi, cornificare non solo gli illuministi, ma il frutto del loro pensiero, i principi del diritto da loro rinnovato, è divenuta abitudine costante dei legislatori e dispensatori di una giurisprudenza “di lotta”.
Il Cavaliere napoletano-maltese con la sua condanna al carcere per i “colpevoli assolti” trova oggi espliciti sostenitori.
Così è la vita e così e la storia.
Mauro Mellini – www.giustiziagiusta.info
Dedico questo articolo in particolare al mio Editore, l’ottimo Salvo Bonfirraro, che a novembre sarà a Malta al National Book Festival, con i suoi (ed anche con i miei) libri e che mi avrebbe addirittura voluto presente a tale bella manifestazione.
Con i miei migliori auguri, naturalmente.