Una storia vera, narrata da Baldassare Carollo, che fa amaramente riflettere su una frase di George Christoph Lichtenberg: “Le leggi, anche le migliori si possono solo rispettare o temere, ma non amare”.
Il 9 settembre come preannunciato dall’allerta della protezione civile un temporale infernale scatenò tonnellate d’acqua sulla Sicilia. Dalle nuvole nere come pece e carbone sopra i Faraglioni di Scopello, sulle due torri antiche e sui caseggiati della vecchia tonnara, la pioggia frammettendo un velo grigio alla vista scrosciava su tutto, tamburellava ritmi afgani sulle tegole, frusciava sui canaloni, picchiettava sulle foglie della monumentale ficara sotto la quale un gruppetto di persone cercava di ripararsi. Il resto del marfaraggio era deserto, i bagnanti erano scappati alle prime gocce. Solo una gatta pezzata, frutto di oscuri incontri genetici, allattava i suoi micetti costernata di fronte all’ordine triste delle cose.
Proprio quella mattina si doveva eseguire lo sfratto di Zi Giuvanni dalla sua stamberga, un pianterreno di tre metri per quattro ricavato da un magazzino che era la sua tana da più di quarant’anni. Zi Giuvanni con i suoi 84 anni è la memoria storica del luogo. Ha assistito alle ultime tonnare, le sue orecchie hanno ascoltato le strane leggende dei vecchi pescatori che raccontavano dei poteri magici dei faraglioni, di vascelli fantasma e sirene. C’era quando da dentro la camera della morte i tonnaroti avevano tirato sull’impiantito di sassi uno squalo bianco di 9 metri i cui denti erano stati estratti e distribuiti fra i pescatori e gli attori di una troupe cinematografica che stava girando. Per lunghi anni è stato il custode del complesso e vi abita sia in estate che in inverno. E’ l’anima del posto, ne è ormai un’emanazione diretta, come lo spirito di un castello scozzese.
Senza Zi Giuvanni la tonnara stessa non esiste. Perciò, pensavo, se si fosse davvero proceduto allo sfratto c’era da credere che tutti quei caseggiati sarebbero stati risucchiati per incanto nel nulla. Lo sfratto è voluto dalla maggioranza degli azionisti della tonnara che nel frattempo è divenuta una specie di albergo e stabilimento balneare: anche quella stamberga deve produrre denaro e invece Zi Giuvanni non paga più l’affitto per protesta contro la gestione poco chiara. Condivide da vent’anni quel buco con Vittorio un amico affetto dalla terribile sla, lo ha accolto fin da quando gli artigli della malattia lo avevano ridotto nella sedia a rotelle. Pian piano Vittorio restava sempre più paralizzato. Fino alla stasi nel letto.
Ogni sera per tutti questi anni hanno visto il tramonto seduti insieme sotto il fico, diventando più che fratelli.
Una notte di luna piena videro un’apparizione incredibile di un capodoglio nel mare fra i faraglioni, sentirono il suo respiro asmatico provenire come dai fondali soprannaturali del buio smisurato.
Per Vittorio questo luogo è rimasto l’unica ragione di vita. Parla con il mare, piange di fronte ad esso, lo prega, sente la voce stessa di Dio che lo consola con il mormorio delle onde di cui solo lui decripta le sillabe segrete. Adesso è ridotto a un mucchietto di trenta chili d’ossa inchiodato come un Gesù Cristo nel letto, con le piaghe da decubito, immobile, spastico, muto, alimentato dall’amorevole moglie che gli apre la bocca e gli mette dentro gli omogeneizzati.
Ma quella mattina questo non interessava alla proprietà e non interessava all’avvocato della proprietà che se ne stava ritto sotto un ombrello con una borsa di cuoio in attesa dello sfratto esecutivo spettinato dal vento e bagnato dal temporale in un’espressione da Gorgone.
Per solidarietà con Zi Giuvanni erano arrivati quelli del coordinamento ‘Mare Libero’ che si battono da anni per il libero accesso al mare, che manco a dirlo, la proprietà ha chiuso, nonostante l’area demaniale, per ricavare altro denaro con l’imposizione del pagamento di ingresso. Era arrivato per primo Simone, l’indomabile responsabile ai lavori pubblici del comune, che faceva il diavolo a quattro per l’ingiustizia della cosa e perfino il sindaco in persona. Ma nemmeno questo interessava alla proprietà. Forse sarebbe interessato ai due medici giovanissimi ignari di tutta questa storia mandati allo sbaraglio dalla nomina del tribunale. Si trattava di un corpulento ragazzo barbuto dal marcato accento palermitano e di una bella ragazza in jeans strettissimi, scarpe da tennis, tatuaggio al collo. Arrivarono insieme all’ambulanza e all’ufficiale giudiziario che si sedette al tavolino per redigere sveltamente il verbale.
Visitarono il malato in cinque minuti e sicuri conclusero che poteva essere trasportato tranquillamente anche in quella giornata di uragani che sembravano fuggiti da un libro di Conrad per riversarsi proprio qui. A nulla valse la protesta di un medico psichiatra che conosceva da anni le fragili condizioni mentali del malato, a nulla il pianto e le implorazioni della moglie che minacciava di legarsi al letto con una catena.
Zi Giovanni, che nella sua vita ne aveva viste di tutti i colori, in un angolo si limitava a scuotere la testa sotto l’effigie di Padre Pio impotente anche lui di fronte al volere inflessibile della proprietà. No, nemmeno ai giovanissimi medici importava tutto questo. La ragazza dottoressa uscendo dalla casetta si sedette sotto il fico e si rilassò rollandosi una cartina con il tabacco trinciato con il metodo “a bandiera” che solo gli esperti sanno fare. Tutto era incredibilmente pronto per trasportare il povero Vittorio il quale tremava per il terrore e che probabilmente sarebbe morto d’infarto non appena lo avessero toccato. Il sindaco protestò fermamente, chiamò il prefetto, cercò un accordo con la controparte che rimase nelle sue posizioni senza pietà. Fu anzi ordinato di chiudere l’ingresso alla tonnara. Nessun turista doveva vedere quella triste storia. La moglie si mise a urlare e si barricò in casa legandosi al letto del marito per far rispettare le sue volontà. La risposta fu immediata, furono chiamate le forze dell’ordine per far eseguire lo sfratto. Quanta ingiustizia sotto il cielo! Mi chiesi come può Dio, se esiste davvero, permettere tanta disumanità.
I rappresentanti della proprietà continuavano ad insistere dicendo che la legge doveva essere rispettata subito. Tutti erano attoniti e impotenti. Fu a questo punto che Vittorio aprì gli occhi e guardò il cielo per un secondo.
Mi piace pensare che Dio in persona, che non aveva ascoltato le mie proteste, venne in soccorso al povero malato, in tutto simile al figlio che morì in croce.
Improvvisamente il temporale aumentò a dismisura la sua intensità, sembrò voler spazzare via ogni casa dalle fondamenta da quel posto senza misericordia. Improvvisamente il dirigente delle forze dell’ordine capì, improvvisamente arrivò una telefonata dal prefetto, improvvisamente allo zi Giuvanni fu fatta firmare una proroga dello sfratto.
Ora io credo che in effetti la legge è legge e deve essere fatta rispettare. Dura lex sed lex. E i proprietari dal punto di vista formale avranno forse ragione. O forse semplicemente i poveri non hanno le stesse possibilità di spendere per difendersi.
Ma mi chiedo perché non esista un tribunale di giudici che sentenzi sulla disumanità.
Ecco se esistesse un tribunale siffatto, io credo che l’ergastolo a volte non sarebbe sufficiente.