Agrigento – Il manto azzurro avvolge la riva nell’attesa quasi infinita che cali l’ultimo raggio, mentre la sabbia brucia ancora.
Stabilimento balneare della PS. Caffè letterario “Sulla strada della legalità” organizzato dalla questura di Agrigento e dall’”Associazione Emanuela Loi”. Poliziotti. Così come poliziotto è Fabio Fabiano, presidente dell’”Associazione Emanuela Loi”.
L’evento, moderato da Enzo Alessi, vede la presenza di due scrittori, Piergiorgio Di Cara, autore di “Cammina, stronzo. Sbirri a Palermo”, e Francesco Paolo Oreste, autore di “Il cortile delle statue silenti”. Due scrittori, due poliziotti, per raccontare due libri che narrano di vite vissute, di emozioni, di notti di lavoro, di paure e di dubbi.
Leggi le prime pagine di “Cammina, stronzo. Sbirri a Palermo” e intraprendi un viaggio che ti porta lì, sulla moto che va verso la centrale. Ascolti le voci dei tuoi compagni, della tua squadra e da lì a poco è azione, adrenalina, quel sapore ramato che ti riempie la bocca. La tua mano scende a cercare un freddo che non trova dentro un’immaginaria fondina. Personaggi veri, vivi e la narrazione con una forte connotazione realistica, con le sue immagini, con le sue voci, ti porta dentro al sogno ad occhi aperti dove vivi le loro esperienze. Notti insonni, manette, spari. La quotidianità di un poliziotto che vive una città che solo di notte, quando è deserta, sembra normale.
Poliziotti che combattono il male, forgiati da mille esperienze, scolpiti nel granito. Come granitica appare la figura dell’autore, il commissario Piergiorgio Di Cara, che sembra non tradire alcuna emozione. Sembra. Almeno fin quando non legge di quella notte per lui così importante. Quella notte quando con i colleghi, dopo mesi d’indagini, sente lo sconforto e le parole sembrano voler uscire violente dalla bocca “ma chi ce lo fa fare?”. Già, chi ve lo fa fare. Poi l’auto si ferma in Via D’Amelio, dinanzi quelle foto e un collega che fino a quel momento era rimasto zitto alla guida dell’auto sbotta: “Loro ce lo fanno fare!”
Un ricordo che brucia ancora, che brucia più dell’esplosivo che si portò via le vite di Paolo Borsellino, Agostino Catalano, Vincenzo Li Muli, Walter Eddie Cosina, Claudio Traina e Emanuela Loi, unica donna della scorta del Giudice, risparmiando miracolosamente la vita Antonino Vullo, unico sopravvissuto che si risvegliò poi in ospedale in gravi
È adesso il turno di Francesco Paolo Oreste. “Il cortile delle statue silenti”. Un altro viaggio che scruta dentro l’anima di ogni poliziotto. Ogni pagina è un pugno che ti toglie il respiro per poi giocare con le corde dell’anima portandoti all’interno di una selva nella quale le piste si confondono. Carnefici, vittime, storie di chi ricorda e provoca dolore. Storie di uomini e donne, belve e agnelli allo stesso tempo, frutto di una società che recide il male senza curare.
Un male raccontato senza censure, quasi fosse un poeta maledetto, infetto e in grado di infettare. L’autore stupisce, emoziona, fa vivere storie di vite vissute, di dolore fisico, di dolore dell’anima. Di Cara ci aveva portato dentro la squadra, nelle vie, nella vita di ogni giorno di un poliziotto, Oreste ci fa conoscere i pensieri più intimi i dubbi che portano ad un interrogativo al momento ancora insoluto, quello di chi serve la legge ma si chiede se il suo compito sia solo questo, se non sia anche quello di capire, di aiutare, di impedire che gli ultimi della società debbano arrivare ad esser tali o tali debbano restare.
Leggi le pagine del libro e ti senti vacillare. Rabbia, pietà, commozione, odio, diventano un tutt’uno indistinto che avvolge te e i personaggi mentre cerchi disperatamente un sorso d’acqua o una boccata di fumo che ti tolga il groppo di gola e riporti al proprio posto i pensieri.
Non si può odiare e provare pietà. Non è possibile provare rabbia e commozione al contempo. Questo pensavi prima d’aver letto “Il cortile delle statue silenti”.
A distanza di quattro anni mi trovo nuovamente a scrivere di Francesco Paolo Oreste, il figlio di quel sole, quel mare e quella roccia vulcanica, di cui è intrisa la materia della sua terra. “Il cortile delle statue silenti” è figlio di un dolore profondo, di rabbia, speranza e inquietudini.
Due autori diversi, due libri diversi. In comune il desiderio di Giustizia, la speranza, la voglia di combattere per cambiare le cose e due poliziotti che non vogliono saperne di vivere una quotidianità fatta di orari d’ufficio e di giorno di paga.
Tra il pubblico, un uomo vestito di blu guarda, ascolta, pesa ogni parola. Il questore di Agrigento, il Dottor Mario Finocchiaro, guarda quegli uomini. Questi, seppure provengono da altre questure, sono i suoi poliziotti…
Gian J. Morici