Io il 16 Marzo di quell’anno c’ero. No, non fisicamente a Via Fani, ovviamente, ma ero abbastanza grande da ricordare lo stupore, lo sgomento, i telegiornali, la città blindata.
Io e mio padre giravamo per Roma durante il periodo di Pasqua per un lavoretto che mi aveva trovato, e ci fermavano in continuazione con il mitra spianato. Roma era di fatto in uno stato di guerra, e ci rimase per molto tempo anche dopo, quando fu chiaro che il corpo di Aldo Moro chiudeva quel tragico rapimento iniziato nel sangue e finito nel sangue. I più giovani forse neanche sanno chi era Aldo Moro, forse neanche chi erano le Brigate Rosse, e soprattutto perché quell’evento sanguinoso fu il cardine di una strategia che andava avanti da anni e che di fatto tentò disperatamente di impedire un’evoluzione del Paese in senso socialista e probabilmente ci riuscì.
Perché Aldo Moro? Perché proprio lui? E perché a tutti fu chiaro dal primo momento che lo statista sarebbe morto? Cosa sappiamo di ciò che è successo veramente in quei giorni, noto o meno noto? Non è questo il luogo per scrivere un trattato, anche perché a partire dal bellissimo “La tela del ragno” del Senatore Flamigni, molto è stato scritto e detto. Credo tuttavia che ricordare sia il modo migliore per onorare il sacrificio – perché di questo si è trattato – di Aldo Moro e degli uomini della scorta, in nome di una presunta stabilità atlantica che nascondeva in parte, e forse non solo in parte, il desiderio di mantenere stretto un potere politico ed economico facendo sponda sulla minaccia dell’“altro”, il comunismo (minaccia reale e concreta), che di fatto si frantumò solo dopo la caduta del Muro di Berlino nel 1989.
Per ricordare dobbiamo partire da Aldo Moro, dalla sua figura e dagli avvenimenti di quegli anni. Moro era l’alfiere di una politica che voleva distaccarsi dalle pulsioni monarchiche e fasciste che ancora permeavano l’Italia degli anni ‘50 e ‘60. Fu il pontiere di un dialogo con una parte del Paese che di fatto dalla fine del Governo di unità nazionale dopo la fine della guerra non aveva avuto più accesso alle leve del potere. Il principale alleato, gli Stati Uniti, vedeva nell’Italia di allora un punto debole nello schieramento atlantico, con quel trenta per cento di comunisti che animavano dentro e fuori le istituzioni la vita politica e che cercarono in tutti i modi, leciti o meno, di continuare a gestire le strategie del Paese escludendo di fatto un terzo della popolazione da qualsiasi decisione.
Quando i tumulti del ’68 resero impossibile continuare il sonnolento tran-tran dei governi democristiani, fu chiaro che il Paese, come tutti gli altri paesi occidentali, voleva un cambiamento. Per allentare la pressione anche la DC cominciò a concedere spazio alle idee di sinistra, anche se malvolentieri. Ecco che nasce in quegli anni lo Statuto dei Lavoratori, e grazie ad una pressione montante viene approvata la legge sul divorzio e relativo referendum. Nel frattempo però la fiducia dell’alleato nei confronti della DC non era ai massimi livelli, e fu chiaro che alcune iniziative – segnatamente Gladio, il piano “Solo” di De Lorenzo, il golpe Borghese fermato all’ultimo secondo utile – erano tentativi di sudamericanizzare l’Italia con governi antidemocratici di estrema destra e l’eliminazione fisica degli antagonisti. Mentre il paese correva, forse ignaro, questo pericolo, Aldo Moro era forse l’unico dotato del raziocinio e dell’intelligenza necessaria per capire che le grandi riforme per un Paese come l’Italia non potevano essere portate avanti da una parte sola. Capì che la DC era una minoranza e che le pressioni esterne potevano far saltare il sistema, senza adeguati aggiustamenti. E soprattutto capì che il PCI di Berlinguer era un interlocutore credibile per dialogare. Quando però cercò di veicolare questa idea agli americani, fu personalmente e fisicamente minacciato da Kissinger in persona, l’allora Segretario di Stato americano, in un drammatico confronto negli USA, che fece ammalare Moro per la violenza verbale e le minacce sottintese.
Moro non cambiò idea e forse era anche consapevole del sacrificio che lo attendeva e, se non lo era, lo divenne durante la prigionia, come si evince dalle sue lettere, sempre più accorate e nervose. Sfortunatamente per Moro, oltre all’interesse dell’alleato americano di farlo fuori in un modo o nell’altro, arrivarono a convergenza altri interessi di segno in parte opposto, che trovarono nell’eliminazione di Moro un elemento a favore dei loro progetti. I servizi segreti italiani, prima di tutto, infiltrati dalla P2, un’associazione segreta di stampo antidemocratico strettamente legata a Gladio e alla CIA. La P2, alla quale aderirono molti dei gestori di potere dell’epoca, con nomi eclatanti come Berlusconi e Maurizio Costanzo, aveva di fatto il controllo di tutto il comitato di emergenza messo insieme da Cossiga, Ministro dell’Interno e strettamente affezionato a Gladio. Inutile dire che la morte di Moro avrebbe fatto comodo alla P2, e che le indagini non furono adeguate, indipendentemente dalla prova muscolare dello spiegamento di forze.
Poi c’erano le Brigate Rosse, braccio armato di una insofferenza operaia e popolare, all’epoca ancora considerati “compagni che sbagliano”. In teoria le BR non avevano interesse ad uccidere Moro, dopo l’azione eclatante a Via Fani del suo rapimento. Anzi, una gestione della sua liberazione magari per motivi umanitari, avrebbe fatto enormemente crescere la loro popolarità e avrebbero potuto ottenere in cambio molte concessioni. Ma le BR avevano un capo che a quanto pare prendeva ordini dalla CIA attraverso un'”associazione culturale” francese, la Hyperion, e si risolse per l’omicidio quando molti, anche all’interno del gruppo che gestiva Moro, erano contrari, come ad esempio Morucci e la Faranda.
Poi c’era la DC. Moro era scomodo, aveva spezzato la consuetudine filoamericana, voleva dialogare con il PCI, insomma, era un bel rompicoglioni. Nessuno lo voleva veramente morto, forse non credevano che sarebbe veramente stato ucciso, ma la famosa “linea della fermezza” che adottò il governo del compromesso storico fu la causa principale della morte di Moro, lasciando le BR senza scuse. La stessa linea fu disconosciuta in altre occasioni. La più eclatante fu per la liberazione di Ciro Cirillo, oscuro politicante campano, per il quale fu pagato un lauto riscatto.
Anche il PCI fece la sua parte. Aveva forse le motivazioni più chiare: distinguersi politicamente e culturalmente dalle BR, che invece cercavano di accreditarsi come i “veri” comunisti, mentre Berlinguer cercava di distinguere il più possibile. Un cedimento del PCI sarebbe stato considerato collusione. Eppure, la linea della fermezza che il PCI sposò in pieno fu poi interpretata come cinismo e realpolitik. Chissà, forse Berlinguer in quel caso perse una buona occasione.
Infine il Vaticano. Sappiamo tutti della religiosità di Moro, e delle trattative che le BR attraverso Morucci portarono avanti. Quando al Papa fu chiesto di intervenire, si affacciò e chiede il rilascio di Moro “senza condizioni”. Non fu certo la prima volta che un Papa nella storia avallò una condanna a morte, ma fu certo l’unica che ho sentito con le mie orecchie. Insomma: Moro era il ponte tra destra e sinistra e nessuno, né a destra né a sinistra, voleva che questo ponte rimanesse in piedi e fu abbattuto senza tanti scrupoli.
Il resto, i dubbi, le questioni irrisolte, le dietrologie, la ricostruzione storica di quei giorni forse sono anche inutili. Ma vale la pena ricordare alcuni passaggi di questo romanzo incredibile che è stato il rapimento Moro e l’Italia degli anni ’70, attraverso delle domande a tutt’oggi senza risposta. Perché alle 9 di mattina del 16 marzo un ufficiale dei servizi segreti era a Via Fani prima della strage della scorta, asserendo una volta scoperto di essere stato “invitato a pranzo da un amico”? Chi era il BR biondino che sparò la quasi totalità dei colpi a Via Fani che andarono a segno in maniera precisa e militare, mentre notoriamente le BR non sapevano neanche tenere un’arma in mano? Perché le BR avevano un covo – quello di Via Gradoli – in un palazzo per il resto appannaggio di strutture affiliate ai servizi segreti italiani? Perché durante la perquisizione del palazzo da parte delle forze dell’ordine quell’appartamento non venne aperto con la forza, e due anni dopo fu compilato un falso resoconto dell’operazione? Per quale motivo, su indicazione di chi, e dietro quale ricompensa la Banda della Magliana – formata da criminali comuni di stampo neofascista – predispose e fece ritrovare il falso comunicato BR che affermava che il corpo di Moro si trovava nel Lago della Duchessa, con grande spiegamento di forze e media per l’inutile ricerca? Chi diede veramente a Romano Prodi la dritta su Via Gradoli, che lui mascherò da “informazione uscita durante una seduta spiritica” provocando non l’ilarità della stampa ma la ricerca serrata nella cittadina di Gradoli in Abruzzo, quando in realtà bastava bussare ad una porta di Via Gradoli?
Dove fu tenuto veramente Aldo Moro? Dove hanno tenuto le BR Moro prima di far ritrovare il cadavere, appurato che con lo spiegamento di Polizia di quei giorni era impossibile come asseriscono loro che qualcuno potesse guidare una Renault Rossa tranquillamente fino al centro di Roma? E’ vero che la sabbia ritrovata nei pantaloni di Moro è compatibile con quella che si trova a Ninfa, oasi verde a cinquanta km da Roma, di proprietà della famiglia Caetani, il cui palazzo nobiliare si trova a Via Caetani, dove il corpo senza vita dello statista fu fatto ritrovare? E’ un caso che le eredi Caetani abbiano sposato degli alti ufficiali dei servizi segreti militari statunitensi e che tutto ruoti intorno al loro palazzo? Chi uccise veramente Aldo Moro? Di misteri, o forse questioni non tanto misteriose, il caso Moro ne è pieno. Ne hanno parlato libri, trasmissioni televisive e decine di processi con centinaia di migliaia di pagine di resoconti, interrogatori e testimonianze.
Il fatto rimane che con la morte di Moro, e della sua scorta, probabilmente il paese ha perso una grande occasione.
Rodocarda