Se il Califfo dello Stato Islamico, al-Baghdadi, ha utilizzato il termine “jihad vulcanica”, non lo ha fatto per caso e neppure per scherzo. Come recita un documento rilasciato oggi dai siti jihadisti, l’IS per il mondo musulmano è come un vulcano pronto ad eruttare. L’Arabia Saudita, lo Yemen, l’Egitto, la Libia e l’Algeria, sono soltanto l’ultimo esempio di come il Califfato possa estendersi oltre i confini geografici al cui interno era nato.
“I nuovi ordini di al-Baghdadi – recita quest’ultimo documento – sono ancora più significativi che l’annuncio del Califfato stesso dato nel giugno scorso, visto che l’espansione del Califfato è così gigantesca da spostare il campo di battaglia dalla Siria e dall’Iraq a tutto il mondo musulmano.”
Scoppiata la scintilla in questi paesi, la popolazione, così come avvenuto in Siria e Iraq, sarà costretta a prendere una posizione. Accettare di vivere all’interno dello Stato Islamico o combatterlo.
Perché dobbiamo temere lo Stato Islamico
L’Italia è uno di quei paesi che lo Stato Islamico vede come nemici da sconfiggere. Roma è simbolo del Cristianesimo, gli “infedeli” che secondo le regole dettate dal Califfo vanno sconfitti e le cui donne devono essere rese schiave dei fondamentalisti islamici. L’Italia, inoltre, fa parte della coalizione internazionale guidata dagli Stati Uniti che hanno dichiarato guerra all’IS.
A tal proposito, sarebbe opportuno porsi qualche domanda e poi fare delle considerazioni. È l’Occidente ad aver dichiarato guerra allo Stato Islamico o è quest’ultimo ad aver dichiarato guerra all’Occidente? Inoltre, gli Stati, possono dichiarare guerra ad un qualcosa che non sia un’altra nazione, un altro Stato? La domanda, tutt’altro che banale, come vedremo più avanti ha una sua precisa motivazione per esser posta.
Sappiamo con certezza che molti jihadisti hanno lasciato l’Europa per andare a combattere in Siria e in Iraq. Sappiamo pure che molti di loro sono tornati o torneranno e che una volta rientrati nei paesi di provenienza rappresentano un pericolo per l’ordine democratico e per la sicurezza degli stessi. Quello che non sappiamo con certezza, forse per inefficienza di quanti ci governano e ci hanno governati, quanti jihadisti sono passati dall’Italia sia per andare a combattere che di ritorno. Quanti sono quelli che vivono nel nostro paese e quanti quelli che hanno varcato le nostre frontiere per raggiungere altri Stati europei.
Inutile ricordare come altri Paesi membri dell’UE ci hanno già rimproverato la nostra incapacità persino nel monitorare i movimenti migratori e procedere al fotosegnalamento dei migranti.
Infatti, solo in data 25 settembre 2014, una circolare del Ministero dell’Interno recitava: “Com’è noto, lo straordinario afflusso di oltre 130.000 migranti che sono giunti quest’anno sulle coste italiane ha suscitato grande preoccupazione in ambito nazionale ed europeo. Peraltro, alcuni Stati membri lamentano con crescente insistenza, il mancato fotosegnalamento di numerosi migranti che dopo essere giunti in Italia, proseguono il viaggio verso i Paesi del Nord Europa”.
Evidentemente fino a quella data, i responsabili, o gli “irresponsabili” del nostro governo, erano presi da tutt’altre cose che non il garantire la sicurezza della nostra nazione, di quella dei suoi abitanti e dell’Europa intera.
Qual è la popolazione di musulmani radicali presenti in Italia? Quale il background socio-economico di queste persone e la loro volontà di unirsi alla jihad? Cosa stiamo facendo per arricchire il nostro ordinamento giuridico per impedire che jihadisti si portino sui luoghi di combattimento sotto le insegne dell’ISIS e cosa per evitare che possano tornare e compiere atti di terrorismo in Occidente? In molti Paesi, dagli Stati Uniti, all’Inghilterra, alla Francia, i governi si sono attivati per incoraggiare la popolazione e le stesse famiglie di aspiranti jihadisti a segnalare comportamenti sospetti o le intenzioni di chi vorrebbe andare a combattere in Siria o in Iraq. A tal proposito sono stati istituiti numeri verdi e siti web. L’obiettivo è quello di impedire l’afflusso di nuove reclute che vadano ad ingrossare le fila delle milizie dell’IS e, al contempo, quello di avviare progetti di de-radicalizzazione che possano recuperare coloro ai quali è stato fatto “il lavaggio del cervello” da parte di pseudo-religiosi di sette devianti che manipolano psicologicamente i nuovi adepti alimentanto in loro odio e violenza. E in Italia?
Quanti jihadisti di ritorno da Siria e Iraq sarebbero pronti a compiere attentati in Europa? Dire che la jihad è alla nostra porta e che ci troviamo dinanzi ad un fenomeno senza precedenti non è di certo un’esagerazione. Attacchi in Europa e, probabilmente, in Italia, secondo molti analisti d’intelligence sono solo una questione di tempo.
Senza fare paragoni con quanto accade attualmente in MO o con quello che fu l’11 settembre, non è difficile immaginare che possano avvenire attacchi su piccola scala e con tecniche rudimentali.
Stato o Terrorismo
I francesi per non chiamarlo “Stato” hanno preferito usare il termine “Daesh”, tratto dall’acronimo arabo “Dāʿish”. L’ONU e alcuni singoli Stati fanno riferimento allo Stato Islamico semplicemente come “organizzazione terroristica”.
Togliere quella dignità conferita dal nome “Stato”, potrebbe sembrare sul piano dialettico una grande vittoria, anche se, come accade spesso, si tratta più di una vittoria formale che non nella sostanza.
Iniziamo con l’interrogarci su cosa s’intende con il termine “Stato”. Secondo più fonti consultate, uno Stato è un’entità politica che applica un potere sovrano su un territorio e sulle persone che nello stesso vivono o che allo stesso appartengono, esercitando una forma di governo che si qualifica nel momento stesso in cui avviene un accentramento del potere che guida le scelte politiche, economiche, amministrative e militari di un territorio. Ovviamente, per potere essere uno Stato, esso deve dotarsi di un ordinamento giuridico, di un proprio governo, di forze armate e di forze di polizia.
La sua legittimazione può avvenire con il consenso dei cittadini, grazie a politiche di assistenza economica, sanitaria e quanto altro, gestite da un apparato amministrativo secondo precise procedure, ma anche, come avvenuto in epoca recente, a seguito di guerre civili o di religione. Gli Stati che hanno un proprio ordinamento giuridico e le qualità succitate, battono moneta propria, adottano documenti di riconoscimento dei propri cittadini e si dota di tutte quelle strutture che ha un apparato burocratico che caratterizza ogni singolo Stato moderno.
In molti potrebbero sollevare la prima obiezione secondo la quale lo Stato Islamico non ha un suo territorio. A quel punto, seppure ancora oggi con una certa instabilità, verrebbe da chiedersi come vorremmo chiamare tutti quei chilometri quadrati che in Siria e in Iraq sono sotto il totale controllo dell’IS. Innegabile poi il fatto che lo Stato Islamico si è dotato di un proprio esercito che con le centinaia di carri armati, blindati, semoventi, pezzi di artiglieria e persino qualche jet da combattimento ne fanno qualcosa di diverso da una semplice organizzazione terroristica.
E cosa dire delle forze di polizia presenti in tutte le aree controllate? Anche sotto questo profilo è innegabile che assistiamo a una evoluzione di quello che poteva inizialmente essere visto come un fenomeno terroristico. Sul piano dell’ordinamento giuridico va evidenziato come l’IS abbia istituito propri tribunali che applicano le leggi islamiche. In questo caso, se riconosciuto, potremmo parlare di “Stato confessionale”.
Inoltre, lo Stato Islamico sta guidando i territori sui quali esercita il suo governo effettuando le scelte politiche, economiche, amministrative, militari e di assistenza economica e sanitaria ai cittadini, ai quali vengono forniti nuovi documenti, seppur non riconosciuti da altri Stati, e si è anche dotato di una propria moneta che, a prescindere dal valore nominale, essendo realizzata in metalli nobili (oro e argento) ha un valore intrinseco che non può non essere riconosciuto. Ci piaccia o meno, ci troviamo dinanzi ad un’entità, se così vogliamo chiamarla, la cui evoluzione da organizzazione terroristica in qualcosa di diverso è già avvenuta e il cui futuro, sotto questo profilo, è tutt’altro che scontato.
Abbiamo spesso sentito dire che l’Italia è un paese che aborrisce la guerra. Questo non ci ha però impedito di ricorrere all’uso delle armi impegnando le nostre Forze Armate nelle cosiddette “missioni di pace”. Questa volta però combattiamo, o aiutiamo a combattere, una guerra contro un qualcosa di non ben definito. Questa entità, che consideriamo “organizzazione terroristica”, che oltre al nome di “Stato” si struttura sempre più in maniera conforme a quello che vorrebbe rappresentare.
Siamo in guerra
Proviamo ad immaginare di trovarci di fronte ad un’altra nazione che ci ha dichiarato guerra (lo Stato Islamico l’ha dichiarata a tutto l’Occidente); una nazione i cui eserciti stanno occupando porzioni di territori che appartengono ad altri Stati. In un caso del genere, la nostra azione militare o di supporto ad altre forze alleate rientrerebbe in quello che è il legittimo diritto di uno Stato sovrano a difendersi da un paese nemico che dichiara una guerra.
A prescindere dai possibili interventi nei luoghi che sono attualmente interessati dagli eventi bellici, questa differenza formale nel chiamare le cose con il proprio nome, senza ricorrere all’ipocrisia finto-pacifista di chiamare “missioni di pace” quelle che a tutti gli effetti sono azioni di guerra, si tradurrebbe in qualcosa di più sostanziale visto che saremmo costretti ad applicare la legge penale militare.
Legge penale militare di guerra
Art. 4 Legge penale militare di guerra in relazione ai luoghi.
“La legge penale militare di guerra si applica, per i reati da essa preveduti, quando essi siano commessi nei luoghi che sono in stato di guerra o sono considerati tali. Nondimeno, durante lo stato di guerra, la legge penale militare di guerra si applica, per i reati da essa preveduti, anche se commessi in luoghi che non sono in stato di guerra o non sono considerati tali:
1) quando sia espressamente disposto dalla legge;
2) quando dai reati medesimi possa derivare un nocumento alle operazioni militari di guerra o ai servizi relativi, ovvero alla condotta della guerra in generale.”
Anche in tempo di pace sarebbe applicabile:
Art. 5 Applicazione della legge penale militare di guerra in caso di urgente e assoluta necessità.
“Nei casi straordinari, in cui ragioni di urgente e assoluta necessità lo richiedano, può, con decreto del Presidente della Repubblica, ordinarsi l’applicazione, anche in tempo di pace, della legge penale militare di guerra, in tutto il territorio dello Stato o in una o più parti di esso. Nel caso prevenuto dal comma precedente, il territorio, relativamente al quale è disposta l’applicazione della legge penale militare di guerra, è equiparato, agli effetti dell’applicazione stessa al territorio in stato di guerra. La disposizione del comma precedente si osserva anche in ogni altro caso, in cui, a norma di questo codice, è disposta l’applicazione della legge penale militare di guerra in relazione a luoghi che non sono in stato di guerra”.
Cosa verrebbe considerato un appartenente allo Stato Islamico che commettesse un reato contro lo Stato Italiano
Art.13 Reati commessi da militari nemici contro le leggi e gli usi della guerra.
“Le disposizioni del titolo quarto, libro terzo, di questo codice, relative ai reati contro le leggi e gli usi della guerra, si applicano anche ai militari e a ogni altra persona appartenente alle forze armate nemiche, quando alcuno di tali reati sia commesso a danno dello Stato italiano o di un cittadino italiano, ovvero di uno Stato alleato o di un suddito di questo”.
Si potrebbe obiettare che un civile dello Stato Islamico in Italia non è un appartenente alle Forze Armate
Art. 59. Spionaggio militare.
“E’ punito con la morte (1) [c.p.m.g. 27] con degradazione il militare, che, per favorire il nemico, si procura o tenta di procurarsi documenti, oggetti o notizie (2), che possono compromettere la sicurezza di una piazza, di un forte o posto militare, di una nave militare o da trasporto, di un aeromobile militare o da trasporto, di un arsenale o altro stabilimento militare, ovvero di zone di adunata, di azione o stazione delle forze armate terrestri, marittime o aeree, o comunque delle forze armate dello Stato; anche senza essersi introdotto nei luoghi suindicati [c.p.m.p. 88]. La stessa pena si applica al militare, che, per procurarsi documenti, oggetti o notizie in favore del nemico, si introduce in alcuno dei luoghi indicati nel comma precedente [c.p.m.g. 82, 83, 84, 90]”.
Art. 61. Militare nemico che si introduce travestito in luoghi d’interesse militare.
“Il militare delle forze armate nemiche o qualsiasi altra persona al servizio dello Stato nemico, che s’introduce travestito (1) in alcuno dei luoghi indicati nel primo comma dell’articolo 59, è punito con la morte (1) mediante fucilazione nel petto. Se il colpevole, per travestirsi, ha indossato una uniforme militare italiana, la pena è della morte (1) mediante fucilazione nella schiena”.
Art. 62 Aiuto o informazioni a spie o ad altri agenti nemici.
“Chiunque [c.p.m.g. 14] dà o procura ricovero, aiuto o informazioni a una spia o ad altro agente nemico, è punito con la morte (1) [c.p.m.g. 27] con degradazione [c.p.m.g. 82, 83, 84]”.
Art. 66. Rivelazione di segreti militari al nemico.
“Il militare che rivela al nemico, in tutto o in parte, lo stato o la situazione delle forze armate terrestri, marittime o aeree, il piano di una operazione o spedizione, gli accampamenti o le posizioni, i segnali di qualunque natura, i luoghi di rifornimento, lo stato delle provvigioni in armi, munizioni, combustibili, viveri o denari; o, in generale comunica al nemico documenti, oggetti o notizie (1), che possono produrre il nocumento enunciato nel primo comma dell’articolo 59, o comunque favorire le operazioni delle forze armate nemiche, ovvero nuocere alle operazioni militari dello Stato italiano, è punito con la morte (2) [c.p.m.g. 27] con degradazione [c.p.m.g. 86]”.
NB (1) La pena di morte, per i delitti previsti dal Codice penale militare di guerra, è stata abolita dall’art. 1, L. 13 ottobre 1994, n. 589 che, ad essa, ha sostituito la pena massima prevista dal codice penale (ergastolo –ndr).
Quella che può sembrare solo una forte provocazione (applicazione di quanto sopra a seguito di riconoscimento di uno stato di guerra) se dovessimo valutarla alla luce di queste disposizioni permetterebbe di avere nell’immediato l’adeguata risposta giuridica all’eventuale operato di quanti dovessero pianificare o portare a termine azioni contro la sicurezza dello Stato italiano e contro l’incolumità dei cittadini, sotto l’egida del cosiddetto “Stato Islamico”.
Gjm